Wednesday 23 March 2016

Spero solo che questo momento storico passi

Fra le varie ragioni che ho per amare Bruxelles come città, la maggior parte sono frivole – me ne rendo perfettamente conto. Altre sono sconosciute perfino a me: semplicemente, mi è sempre piaciuta. Quando ero piccolo, nella nostra libreria c’era una collana chiamata Paesi e Popoli e io ero totalmente affascinato dalla sezione sul Belgio e Bruxelles nel volume dedicato all’Europa centro-occidentale. Il disegno qua sopra l’ho fatto a cinque o sei anni copiandolo dalla foto dell’Atomium sul libro (fra l’altro, è grazie a quella foto che ho imparato cosa sono gli atomi) perché… non lo so, mi piaceva da impazzire e basta. Insomma, per farla breve, Bruxelles ha per me un valore affettivo enorme sin da quando ho memoria e sono riuscito a fangirlarla perfino nel breve momento in cui l’ho attraversata sul treno da Charleroi ad Anversa; è inevitabile che gli avvenimenti di ieri mattina mi abbiano scosso parecchio anche a livello personale.
Già in occasione degli attentati a Parigi ho speso i miei due centesimi su quanto la reazione a disastri del genere sia inevitabilmente soggettiva e non ci si possa fare una colpa se una tragedia nella Ville Lumière ci colpisce più di una che succede Timbuctù. In un certo senso, quindi, penso sia normale che i fatti di ieri non abbiano lasciato un’impressione altrettanto grande su quelli che non sono cresciuti disegnando l’Atomium. Bruxelles non è una città iconica come Parigi: sì, è la sede del Parlamento Europeo, la capitale di quel posto dove fanno il cioccolato buono, ci sono i mulini a ve… – ah no, vero, quella è Amsterdam – e questo è più o meno ciò che l’internauta medio sa. Non tantissimo su cui costruire una risposta emotiva colossale come quella dello scorso novembre.

C’è però una cosa che mi preoccupa, in tutto ciò: e se stavolta avessimo reagito con meno clamore anche perché, passato lo shock per Parigi, abbiamo iniziato ad abituarci? Se queste cose, che già nella nostra mente sono faccende di ordinaria amministrazione “in quei posti lì”, iniziassero anche da noi a essere fatti straordinari, sì, ma che sotto sotto si sa di potercisi aspettare?
L’idea che facciamo meno caso alla tragedia perché abbiamo iniziato a rassegnarci ad essa è abbastanza spaventosa. L’idea che la possiamo accettare come parte di come vanno le cose e smettere di reagire è una prima sconfitta. Certo, da una parte è quacosa che succede sempre “a qualcun altro” finché non capita a noi. Dall’altra, vedere queste cose sentendosi del tutto impotenti e indifesi è una sensazione orribile, ma è pur sempre una reazione. Se la nostra coscienza individuale smette di impressionarsi e infuriarsi, presto smetterà anche la nostra coscienza collettiva, e allora sarà troppo tardi.

Side-eye preventivo a quelli che “adesso sappiamo anche noi come si sentono in Medioriente”: credo fermamente che l’idea di civiltà ruoti intorno a far star meglio tutti, non far star peggio anche noi. Se pensate che anche noi ci meritiamo un assaggio di orrore quotidiano perché c’è chi lo vive già, forse dovreste fermarvi un attimo e riconsiderare un attimo la vostra visione del mondo, just saying.

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