Sunday 3 October 2010

Theatre of Tragedy: The Last Concert... Ever

Alla fine di una notte per molti insonne, per me stranamente immersa in un sonno di piombo, la giornata non inizia proprio al meglio: dopo due giorni soleggiati, il cielo di Stavanger è nuvoloso e minaccia pioggia da un momento all’altro. Se non altro, il tempo è intonato al mio umore e decisamente adatto ad un evento come quello che ci aspetta in serata. Mentre mi trucco e mi vesto ho la distinta impressione di prepararmi per un funerale, il che non è poi così lontano dalla verità. Quando poi, dopo pranzo, io e Simon incontriamo Eva e Andreas, il tenore emotivo della giornata precipita ulteriormente: Mommy e Daddy sono perfino più tristi che in The Breaking, i Theatre of Tragedy hanno concretamente cambiato la loro vita e posso solo immaginare come debbano sentirsi. Eva ed io sembriamo davvero madre e figlio: lei indossa un cappottino damascato sopra un corsetto blu abbinato ad una camicetta interamente in tulle ricamato con maniche a sbuffo, una gonna lunga ed un cappellino con veletta, mentre io sono vestito come a Londra, col paltò in broccato nero a rose sopra camicia bianca, cravatta sottile nera, jeans attillati e anfibi. Inizialmente ci rechiamo tutti e quattro al Folken, Andreas ed Eva che vanno nel backstage con la band ed io e Simon che aspettiamo Xavier ed altri del forum per un caffè. Alla fine loro non arrivano, mentre Mommy e Daddy escono dal locale perché i ragazzi sono decisamente impegnati con gli ultimi preparativi per il dvd e piuttosto nervosi. Così torniamo in albergo e cerchiamo un modo di ammazzare il tempo, anche perché nel frattempo inizia a piovere. Alla fine, Xavier ci raggiunge nella hall e riesce a tirarci un po’ su di morale, ed è con lui e un altro membro del forum che ci avviamo al Folken. Con mio grande disappunto noto che è già aperto e c’è gente dentro, ma la sala del concerto è ancora chiusa, per cui c’è ancora speranza per la prima fila.
In mezzo alla gente che affolla il bar del pianterreno troviamo anche Raymond, che si ferma a chiacchierare un po’ con noi. Quando gli chiedo se c’è un guardaroba dove posso lasciare il cappotto, lui si propone di accompagnarmi a lasciarlo nel backstage, e io ovviamente accetto. Saliamo le scale e io posso dare uno sguardo al palco, ormai allestito, individuare la posizione dei microfoni e prepararmi alla lotta per la conquista della prima fila. Dopo aver lasciato il cappotto su una gruccia, colgo l’occasione per salutare gli altri ragazzi e augurare loro buona fortuna, e noto che Nell ha i capelli mossi e tirati indietro (ha ingaggiato una parrucchiera professionista per il DVD), quindi torno giù dagli altri e mi lancio nell’operazione “Regalo d’Addio”.
Fra le facce note che affollano il bar, oltre ai numerosi membri della board vediamo anche Tommy Olsson, ex-chitarrista nonché principale mente dietro Aégis. Scambio due chiacchiere anche con lui e vengo a sapere che purtroppo è lì solo come supporter e non farà apparizioni sul palco. Ma d’altro canto è meglio così, i Theatre of Tragedy sono sempre stati una band con lo sguardo rivolto al futuro ed è giusto che a suonare sia l’attuale line-up. A questo proposito, sia tra le sue fangirl che tra chi le torcerebbe volentieri il collo serpeggia la curiosità su Liv Kristine: se si farà viva o no? Gira voce che sua madre dovrebbe fare una capatina per via del mancato genero Raymond (che, per assurdo, è il membro della band che serba meno rancore verso l’ex cantante, a parte Nell che si tiene saggiamente fuori dalla vicenda) e forse anche Carmen Elise potrebbe unirsi, ma alla fine non ho idea se la cosa fosse vera o meno. Ad ogni modo, alla fine Liv Kristine non si è fatta viva, il che non mi è certo dispiaciuto.
L’ora X si avvicina, ed io e i miei amici ci pariamo minacciosi davanti alla porta che dà sulle scale, in un crescendo d’impazienza. Appena lo staff del Folken dà il via libera, sono il primo a mostrare biglietto e tessera studentesca, dopo di che corro letteralmente su per le scale e poi attraverso la sala. Missione compiuta: il centro esatto della prima fila è mio. Gli altri mi raggiungono presto, e formiamo un fronte compatto di fan pronti a supportare i Nostri, oltre che scoppiare a piangere da un momento all’altro. Ma per fortuna è ancora l’entusiasmo per il concerto ad avere la meglio, per cui riusciamo anche a chiacchierare e scherzare allegramente.
Fra le varie persone che si avvicinano c’è anche Kristian Sigland, il marito di Nell nonché chitarrista e principale compositore dei The Crest, che purtroppo ci conferma la notizia del loro scioglimento, promettendoci però nuova musica in cambio. Dopo una breve chiacchierata con lui, torniamo a voltarci verso il sipario nero che nasconde il palco, in trepidante attesa.
Ancora non possiamo immaginarlo, ma ciò che ci aspetta dietro la tenda è un concerto davvero memorabile che merita in tutto e per tutto di finire su un DVD. Il suono è cristallino e si possono distinguere chiaramente tutti gli strumenti, a partire dagli accordi delle chitarre fino ad ogni singola sillaba cantata da Raymond e Nell, con solo il minimo strettamente indispensabile di seconde voci preregistrate in sottofondo. Niente ingombranti costumi di scena, niente scenografie pacchiane, niente giochi pirotecnici o megaschermi, niente orpelli inutili: solo un drappo nero con il logo come sfondo e la musica a dire le ultime parole di una band matura e sobria che non ha bisogno di contorni ridondanti:
1. Hide And Seek
2. Bring Forth Ye Shadows
3. Lorelei
4. Frozen
5. Ashes And Dreams
6. A Rose For The Dead
7. Fragment
8. And When He Falleth
9. Venus
10. Hollow
11. Storm
12. Image
13. Cassandra
14. A Hamlet For A Slothful Vassal
15. Fade

Encore 1:
16. Machine
17. Der Tanz Der Schatten

Encore 2:
18. Forever Is The World
Il sipario si apre sulle primissime note di Hide And Seek, e troviamo tutti i membri eccetto i due cantanti ai loro posti sul palco: Hein e Lorentz dietro, rispettivamente a destra con la batteria e a sinistra con la tastiera; Erik, il bassista che si è unito alla band per il tour, fra di loro; Vegard e Frank con le rispettive chitarre a destra e a sinistra. Il pubblico li accoglie con un applauso, che esplode in un ruggito appena Raymond esce sul palco e inizia a cantare: lo troviamo entusiasta ed in forma più che eccellente, e a dispetto della sua ormai leggendaria timidezza (che sul palco riesce a vincere solo a suon di alcool) non solo tira fuori un growl corposo e potente, ma interagisce riccamente col pubblico. Presto a lui si unisce la preziosa Rosa del sestetto, Nell, che indossa un paio di jeans attillati abbinati ad anfibi ed un bel corsetto rosso. Con voce sicura, la bella cantante subentra a Raymond per il ritornello della canzone, alternandosi a lui sulle linee vocali fino alla risoluzione finale.
Segue Bring Forth Ye Shadow, classico del primo periodo della band che infiamma subito il pubblico. È il primo vero banco di valutazione per la bella Nell da parte di chi non l’ha ancora mai sentita live, ma le aspettative non sono deluse e la ragazza si dimostra perfettamente a suo agio con le linee vocali. Purtroppo a questo punto i fotografi entrano in azione e si appropriano momentaneamente dello spazio fra le transenne e il palco, immortalando i frequenti momenti di vicinanza fra i due cantanti che interagiscono con naturalezza durante i duetti della canzone. La performance di Nell non è impeccabile in uno dei versi della parte centrale (ma almeno certe fangirl non potranno accusarla di playback), ma gli acuti finali vi pongono riparo dimostrando un sapiente uso del falsetto.
È dunque il turno di un altro dei classici della band, Lorelei, riproposta in una versione decisamente più martellante grazie all’instancabile batteria di Hein. Il pubblico risponde con calore, gridando il nome che dà il titolo della canzone appresso a Raymond sui ritornelli. Ancora una volta Nell dimostra una notevole padronanza delle note più acute, che escono fuori sicure e corpose, a dimostrare quella voce che, purtroppo, la produzione degli album ha troppo spesso nascosto dietro ai filtri.
Finita la canzone, i riflettori rossi che fino ad allora avevano dominato la scena cedono il posto a quelli blu. È l’inizio di una melodia gelida e delicata come il ghiaccio, l’intro della bella Frozen, dall’ultimo full length della band. Nell riserva una nuova sorpresa al pubblico che ancora non la conosceva dal vivo esibendosi sulle sue note più basse, che escono fuori corpose e piene (e credetemi, sono rimasto sorpreso anche io che l’avevo già sentita a Londra), dimostrando la reale ampiezza del suo registro. Raymond interviene solo fra una strofa e l’altra, lasciando la direzione del palco alla bella frontwoman e alla sua gestualità che descrive le parole della canzone.
Ma il cantante torna presto prominente sul palco non appena le note della moderna Ashes And Dreams seguono lo spegnersi della malinconica Frozen. I due vocalist si alternano sul fronte del palco fino all’inizio del ritornello, quando Nell riprende in mano la situazione. “Someone grew stronger, while some other pass” è enfaticamente mimato oltre che cantato, offrendo un motivo per tenere gli occhi incollati alla scena, oltre che le orecchie ben aperte.
Dopo due canzoni tratte dagli ultimi lavori della band, torniamo quindi ad uno dei classici storici, A Rose For The Dead dall’omonimo EP. Questa canzone può essere facilmente definita il cavallo di battaglia della nuova cantante fra i vecchi successi: non volendo togliere nulla né a chi l’ha preceduta, né al suo lavoro impeccabile di allora, la voce di Nell calza come un guanto sulle linee vocali, facendole proprie e infondendole di nuova emozione. Ancora una volta troviamo i due vocalist faccia a faccia (letteralmente) sul duetto centrale, offrendo un altro spettacolo visivo oltre che sonoro.
Finito questo classico, assistiamo ad un radicale cambiamento: dal loro periodo più oscuro ed estetizzante, i Theatre of Tragedy passano dritti a quello più industriale ed elettronico. È infatti il momento di Fragment, dal controverso album Musique, che colpisce il pubblico col suo beat inarrestabile. La band si scatena letteralmente, con Nell che ancheggia sensuale mentre Raymond canta e gesticola, e perfino il timido Vegard finalmente si anima. Il ritornello è una vera meraviglia, con Hein che scuote letteralmente il palco con il ritmo selvaggio della sua batteria invogliando il pubblico quasi a ballare. La canzone termina con il suo caratteristico muto, a cui Nell da tutta la potenza necessaria perché si senta e sia corposo, ed abbiamo dunque una piccola pausa nel concerto (per cambiare i nastri delle videocamere), che Lorentz riempie con un assolo alla tastiera.
Per gli ascoltatori più attenti non è difficile indovinare a che brano questa improvvisazione ammicca, e infatti, puntuale, ad operazione ultimata ecco arrivare And When He Falleth. Ancora una volta la band si dimostra all’altezza del suo glorioso passato, regalando una performance impeccabile di questa canzone che compie ormai quattordici anni. Le luci si spengono durante l’intermezzo che contiene il dialogo tratto dal film The Masque of the Red Death, a sottofondo del quale i ragazzi continuano a suonare. “Famine, Pestilence, War, Disease and Death: they rule this world”, il pubblico esclama appresso alla voce di Vincent Price, riprendendo la parte più celebre di questo intermezzo, fino a che i due cantanti non riprendono possesso del palco accompagnando la canzone alla sua fine.
A seguire è qualcosa che sembra quasi inedito, un’introduzione di tastiera e chitarra per la canzone successiva che inizialmente non si lascia riconoscere ed è una vera sorpresa per il pubblico europeo, visto che nel Vecchio Continente non è mai stata suonata durante il tour per l’ultimo album: è la celebre e beneamata Venus, una delle punte di diamante della discografia dei Nostri, nonché la canzone che, registrata alla meno peggio dal concerto di Mosca del 15 ottobre 2007, ha fatto innamorare perdutamente il sottoscritto di Nell e decidere di sentirla assolutamente dal vivo. E le mie aspettative non sono certo state deluse, con una performance emozionante di quella che è la mia seconda canzone preferita di questa band. Purtroppo la versione è la stessa dell’album live registrato con la precedente vocalist, quindi ha il finale accorciato, ma ciò non guasta la bellezza della canzone, finita la quale Nell si profonde in ringraziamenti al pubblico internazionale accorso per quell’ultima serata.
È dunque il momento di Hollow, un’altra delle highlights dell’ultimo lavoro dei Nostri. “I’ve come to realize this is gone tomorow” questa sera non è purtroppo solo un verso della canzone, ma la più triste delle verità: non c’è da sorprendersi, dunque, se io stesso debba aspettare l’uscita del DVD per sapere cosa succedeva sul palco, visto che a quel punto mi sono trovato costretto a cercare un fazzoletto per evitare di trovarmi tutto il trucco sul mento. Posso solo dire che musicalmente la performance è stata ancora una volta ottima, con Nell si è destreggiata perfettamente sia sulle note più basse che su quelle più alte della canzone. Il finale dal vivo ha un’energia straordinaria, di cui ho approfittato per scuotermi con un po’ di sano headbanging fino a ricacciare indietro le lacrime, pronto per la canzone successiva.
Storm, l’energico opener e unico singolo dell’omonimo album, irrompe quindi dagli amplificatori, e la band si scatena nuovamente, coinvolgendo il pubblico ed invitandolo a cantare appresso al ritornello. Nell si concede dei vocalizzi a piacere mentre Raymond canta il bridge, per poi concludere la canzone con l’ultimo ritornello.
Sulla stessa linea è la canzone successiva: i riflettori si spengo e, illuminata dalla luce arancione lampeggiante di due barre luminose montate sugli altoparlanti ai lati del palco, la travolgente Image fa letteralmente esplodere il pubblico, che inizia a saltare tanto da far tremare le transenne. Per la prima volta nella serata Nell è l’unica padrona del palco, che calca con grinta ancheggiando sensuale, salendo sugli altoparlanti di ritorno per cantare il ritornello e invitando il pubblico a scatenarsi ancora più di quanto non sia già.
È quasi irreale vedere come poi gli animi della band e dei fan si calmano per entrare nel mood della sofisticata Cassandra, durante la quale è invece Raymond a fare da padrone sul palco. Purtroppo la versione suonata è la Cheap Wine Edit, quella più breve che la band propone da sempre nei live, ma anche stavolta la performance riesce a rimediare e rendere la canzone comunque godibile.
Segue un altro classico storico, A Hamlet For A Slothful Vassal, l’opener dell’album di debutto. L’interazione fra Nell e Raymond è in perfetta sincronia con quella delle loro due voci, con lui che addirittura le sfiora più volte la schiena (Kristian, dal pubblico, ringrazia). Anche in questa canzone Nell dà il meglio di sé, rivelando per l’ennesima volta l’infondatezza dei pregiudizi delle fangirl di chi l’ha preceduta. Fra le cose divertenti accadute durante la canzone abbiamo Lorentz che abbandona la sua posizione dietro la tastiera per tutto il bridge, andando ad incitare il pubblico accanto a Raymond che canta. Alla fine del brano, Nell annuncia che la successiva sarebbe stata l’ultima dello show.
Ed ecco infine l’emozionante Fade, la ballata di punta di Storm. Spogliata dell’ingombrante e pessima produzione che ha subito nell’album, la voce di Nell in questo brano è più emozionante che mai, tanto da provocare non solo a me un ritorno delle lacrime. La canzone è proposta con un arrangiamento che si avvicina maggiormente alla versione demo, con la batteria che parte quasi subito accompagnando il pianoforte e delle chitarre decisamente meglio distribuite. E nonostante le lacrime, è impossibile perdersi uno dei culmini emotivi dello show: durante la parte strumentale precedente all’ultimo ritornello, non solo Raymond abbraccia Nell, ma le regala addirittura un bacio sulle labbra (a stampo, per la tranquillità del povero Kristian), una sorta di addio dopo quei sette anni trascorsi lavorando insieme. “End of the road, we all wait for this day”: come nelle lyrics della canzone, la fine arriva, e la band abbandona il palco, ancora acclamata dal suo pubblico.
In realtà, lo show non è ancora finito: tempo qualche minuto (per dare la possibilità a noi vedove di smettere di piangere) e le barre luminose riprendono a lampeggiare, e mentre suoni elettronici si insinuano fra le grida dei fan, i ragazzi tornano sul palco per altre due canzoni. La prima è l’energica Machine, singolo di punta di Musique. L’atmosfera si fa subito decisamente allegra, con la band che dà il meglio di sé in quanto a dinamicità e presenza scenica, compresi Vegard e Frank che sono notoriamente poco attivi. La fine si discosta dalla versione dell'album, con Nell che offre vocalizzi con la sua voce eterea prima del “I'm cheap to rent” finale.
È sempre su questa scia che l’encore continua con Der Tanz Der Schatten, altro classico intramontabile del secondo full length della band. Oltre a non incontrare particolari difficoltà nelle melodie, Nell si dimostra discreta anche con le lyrics in tedesco. Dopo aver interagito con Raymond quando le loro linee vocali si intrecciano, la bella cantante si rivolge al pubblico per dedicarci gli “Ich liebe dich” finali. La canzone è decisamente troppo movimentata per cedere il passo alla malinconia, così, quando la band esce, stavolta dal pubblico non piovono lacrime. Tuttavia, nessuno ha intenzione di tacere, e dalla sala si levano richieste per un’altra canzone.
Stavolta sono solo Nell e Lorentz ad uscire. Inizialmente, la cantante sembra volersi limitare a ringraziarci ancora una volta, ma infine annuncia quella che sarà l’ultima canzone dei Theatre of Tragedy: Forever Is The World, l’emozionante ballata conclusiva dell’omonimo, ultimo album della band. L’arrangiamento proposto è una versione semiacustica dal sapore delicato ed intimo, che vede la voce di Nell e la tastiera di Lorentz come uniche protagoniste per buona parte della sua durata. È in questa canzone che Nell dà prova di incredibile professionalità, cantando intonata nonostante lottasse contro le lacrime negli occhi e la gola che cercava di chiudersi. Purtroppo mi sono perso il momento esatto in cui il resto della band, eccetto Raymond, è tornato sul palco (sempre per questioni di pianto), ma sull’ultima strofa sono entrate anche batteria, chitarre e basso. È con questo superbo addio che la band conclude la setlist: Raymond raggiunge i suoi compagni e tutti assieme, compreso Erik, il bassista, fanno l’inchino. È questo il definitivo addio dei Theatre of Tragedy al loro pubblico.
Dieci minuti di lutto generale fra gli utenti del forum, durante i quali ci scambiamo abbracci e condividiamo singhiozzi e lacrime in particolare con Eva e Peggy, “clutching at straws, keep each other awake”. Nel frattempo, gli ormai ex Theatre of Tragedy hanno il tempo di rinfrescarsi e cambiarsi, e raggiungono il pubblico per concludere degnamente la serata e la loro carriera. Eva ed Andreas consegnano quindi il regalo d’addio a Hein, che è il primo ad uscire: una corona funebre di rose bianche con due drappi neri attaccati, uno con la scritta “In loving memory” e l’altro con la dedica “Your fans” e le firme di tutti gli utenti del forum che sono venuti a Stavanger. Dopo qualche parola con un Hein visibilmente commosso, individuo Lorentz vicino alla porta del backstage e gli chiedo di accompagnarmi a recuperare la giacca, dove ho alcune cose da farmi autografare. Quindi raggiungo Kristian (che, devo dirlo, dal vivo è un gran bell’uomo: fortunata Nell!), gli faccio firmare il booklet di Letters From Fire dei The Crest e commento il concerto con lui. Parliamo anche dei The Crest, e alla fine riesco a farmi promettere i demo della band appena lo pesco sul Male e gli passo il mio indirizzo email. A quel punto, scatta l’operazione “Troviamo Tommy Olsson”, che mi conduce al piano inferiore, dove il mastermind beve al bancone. Mi faccio firmare Aégis e Cassandra, lo saluto e torno su dagli altri. Nell è nel frattempo uscita dal backstage con addosso un magnifico vestito in stile impero in satin rosso scuro a pieghe ed una magnifica collana a rose, e la raggiungo. Ci abbracciamo, probabilmente qualche lacrima sfugge ad entrambi, e poi chiacchieriamo un po’.
La serata va avanti così, con qualche parola scambiata un po’ con tutti, Raymond che mi parla dei suoi ascendenti per un ottavo italiani dopo che Eva l’ha rimproverato per la cerniera dei pantaloni abbassata durante tutto lo show, Vegard che cerca di consolare lei e me, Andreas visibilmente in lutto, Lorentz che scarrozza in giro per la sala la corona di fiori e Hein che regala ad Andreas ed Eva la ormai diciassettenne pelle frontale della grancassa con il logo della band.
Ad una certa, fra i fan intravedo un viso noto: è Ailyn dei Sirenia, in compagnia di quella che mi viene indicata da Hein come la signora Veland. Mi avvicino anche a loro, scambio due parole con la bella cantante (sì, dal vivo è davvero molto bella, e per inciso non è vero che non sa parlare in inglese) e vengo così a sapere che le registrazioni per il prossimo album dei Sirenia inizieranno fra un paio di settimane (il che è una magrissima consolazione dopo lo split epocale di questa sera, ma per non deluderla sorrido e tengo la cosa per me), e quando lei si avvicina a parlare con Nell, Hein mi infila pure a fare una foto con loro due (che devo recuperare da qualche parte nel web, e nella quale sembrerò un panda perché ormai matita e mascara erano colati completamente).
Quando poi la folla di fan si dirada notevolmente, i ragazzi ci invitano nel backstage a sbevazzare un po’. Lì ho modo di conoscere la ragazza di Raymond, che individuo al volo dalla descrizione che me n’era stata fatta: “She’s got long hair, believe me”; Raperonzolo avrebbe di che invidiarla, dato che il long hair in questione le arriva sotto al sedere ed è in condizioni invidiabili; inutile dire che il discorso finisce dritto sui capelli, ma oltre a quelli la mia attenzione è catturata anche dal suo pendente in argento con il logo di A Rose For The Dead (il gioielliere che l’ha fatto è un vero artista). Purtroppo però arriva lo staff del Folken a rovinarci la festa e buttarci fuori, e così inizia il giro di saluti, fortunatamente non lacrimosi (presumibilmente perché avevamo già pianto prima tutte le lacrime disponibili). Con Lorentz e Vegard ho idea si tratti di un addio, visto che il primo ha ormai messo radici in Australia e il secondo è tutt’altro che interessato a suonare ancora, mentre con gli altri, in particolare Nell, è un arrivederci. Scendiamo le scale, e tutti vanno via eccetto Raymond, la sua ragazza, Eva, Simon, Andreas, Xavier, me e un paio d’altri. È così che la giornata più lunga finisce ormai alle quattro del mattino sotto una pioggia sottile in compagnia di colui da cui tutto era iniziato.
Ed ora non resta che elaborare il lutto ed aspettare speranzosi. Aspettare i progetti che nasceranno alle ceneri del Teatro, ma magari anche una reunion, forse, un giorno. Ed onorare l’incredibile e multiforme eredità che in diciassette anni di attività questa band ha lasciato non solo a noi, ma all’intero mondo della musica.
 
Thank you, Theatre of Tragedy, truly.
You’ll always be held dear deep within my heart.

2 comments:

  1. Letto tutto. Come vedi, nessun esaurimento nervoso! ù_ù Mi piace come tu abbia descritto ogni singolo istante.
    Comunque sia, sarebbe piaciuto tanto anche a me presenziare (e poi tu, in prima fila, dannato! XD)... Concordo sul fatto che i Theatre of Tragedy siano essenzialmente rivolti verso il futuro, e questo è un bene, anche se a volte mi sale nostalgia.
    E poi, mmm... Xhe tristezza la corona di rose bianche! Una cosa molto dolce però...

    Che dire, do want the DVD.

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  2. I Theatre of Tragedy sono una band talmente multisfaccettata che, almeno per quanto mi riguarda, hanno qualcosa da offrirmi per ogni umore: i primi lavori per quando mi sento accidiosamente contemplativo, per quando il Dandy che è in me reclama arte allo stato puro; i lavori del periodo Industrial per quando mi sento biondA e ho voglia di distrarmi, scatenarmi, divertirmi o semplicemente sculettare; gli ultimi per quando ho voglia di sublimare le emozioni più profonde e radicate. Ritengo una fortuna essere in grado di apprezzare tutti e tre questi aspetti, piuttossto che snobbarne alcuni, l'esperienza globale ci guadagna notevolmente.

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