Saturday, 27 February 2016

“Nessuno pensa ai bambini?!”

Uno dei grossi punti di discussione sul downgrade del DDL Cirinnà è lo stralcio della stepchild adoption. Che no, non è (solo) l’ennesimo dispetto ai froci, che sono stati politicamente riconosciuti non adatti a crescere dei figli, ma è un grosso problema col quale migliaia di bambini si ritroveranno a convivere. In Italia non si parla d’altro che di loro, che nessuno pensa a loro, che nessuno li tutela ma, con questi discorsi, proteggerli è proprio ciò che si è finito per non fare.
Parliamoci chiaro: in una società ideale, una legge sulla stepchild adoption sarebbe del tutto superflua. Le persone che circondano un bambino – che, non fa mai male ricordarlo, non ha chiesto di essere messo al mondo in un ambiente che non è in grado di gestire senza una guida e una protezione – dovrebbero per prime anteporre il suo benessere e comportarsi in modo da fargli trascorrere un’infanzia serena anche quando le circostanze non lo sono. In caso di separazioni, morte o bagarre, dovrebbero per prima cosa fermarsi e riflettere: quale accordo, quale sistemazione sarebbe meno traumatica per il bambino? Sarebbe meglio se andasse a vivere con la mamma o col papà che sta divorziando? Ora che ha perso il padre biologico, sarebe meglio lasciarlo con l’altro padre, con cui ha vissuto finora, o darlo ai nonni, agli zii, a qualcun altro? E, qualora non lo facessero, la giustizia dovrebbe intervenire concentrandosi esclusivamente su quello che è il bene oggettivo del bimbo, astenendosi da sentimentalismi e opinioni personali. E sì, voglio sperare che, da qualche parte, parenti o giudici del genere esistano ma, dato che non tutti sono così, è a questo che serve una disposizione superiore che li obblighi a schierarsi dalla parte del minore prima di tutto.
Perché si sa, chi ha un figlio di solito lo ama e, in una situazione di conflitto, qual è il modo migliore per colpire qualcuno? Passare stile carrarmato sulla cosa che ama di più. Così, nella vita reale, quello che dovrebbe essere uno sforzo di mettere da parte le divergenze e pensare al benessere del bambino diventa spesso una faida che coinvolge i genitori che divorziano, il parentado al gran completo, la scuola, l’intero quartiere, il paesino di gente annoiata in cui ‘sto povero bambino si trova vivere. Figuriamoci se magari la famiglia dell’ipotetico defunto non può vedere quel frocio che ha traviato il loro figliolo. E quelli che dovrebbero essere gli arbitri imparziali pronti a sbrogliare la matassa finiscono spesso per riversarci dentro i loro pregiudizi, prendere le parti di una delle fazioni e darle una mano, più o meno deliberatamente, a cercare di distruggere l’altra. Davvero, vorrei avere ancora fiducia in avvocati, giudici minorili, assistenti sociali, psicologi dell’infanzia e compagnia cantante, ma se dipendesse da me revocherei le loro licenze e li spedirei en masse a mendicare per strada.

Così, lasciando la questione del benessere del bambino alla coscienza del singolo (specie del singolo giudice), ci ritroviamo con dei mostri. Ci troviamo con parenti che mettono becco su qualsiasi cosa pur di tirare acqua al loro mulino. Ci troviamo con giudici antidivorzisti, o misogini o, in questo caso, omofobi, che iniziano a tartassare la parte che intenta il divorzio, che danno alimenti ridicoli, che affidano il bambino a un coniuge ma assegnano tutti i benefici patrimoniali all’altro così da tentare di costringerlo a rinunciare all’affido. Ci troviamo con assistenti sociali che ascoltano una sola campana e bambini che non possono dire loro che a causare il disagio sono le zie che parlano male della mamma, perché se lo fanno è di sicuro colpa della mamma che parla male dei parenti; che è lei che trascura i figli anche quando in realtà si fa il culo per mantenerli mentre l’ex coniuge le mette i bastoni fra le ruote. Ci troviamo con psicologi infantili che, invece che alleviare lo stress del bambino, fanno complicati giri di parole con la loro stupida vocetta nasale, il loro sorrisetto compiacente e la testa leggermente inclinata per arrivare a fargli dire quello che vogliono che dica. Ci troviamo con maestre che si attaccano a tutto, letteralmente tutto, per dimostrare che il bambino non è seguito correttamente – che sia la difficoltà a finire in tempo le operazioni disegnando e colorando i fottuti regoli sul quaderno o il fatto che “Suo figlio in prima elementare scrive delle frasi troppo complesse, perché non lo lascia giocare di più invece che farlo studiare così tanto?”. Tanto si sa: legalmente il bambino è un piccolo mentecatto che non è in grado di pensare con la propria testa, non serve a nulla chiedere a lui cosa preferirebbe fare, con chi vorrebbe stare, dove vorrebbe vivere. Anzi, se lo si fa e la risposta non è quella che ci si aspetta, partono le minacce di perizia psichiatrica per dimostrare che è stato plagiato.
Insomma, i bambini non hanno diritto di parola in merito e il coniuge (o, in generale, il parente) che rappresenta la migliore scelta può essere quello socialmente più debole e isolato: la donna senza famiglia alle spalle, lo straniero, in questo caso il frocio che, agli occhi della legge, è un perfetto sconosciuto. Per questo deve esserci uno strumento che riduca al minimo questa disparità. Perché prendete un padre gay che resta vedovo e deve vedersela con un giudice con pregiudizi, la famiglia numerosa del defunto marito (o della sua ex-moglie/madre del bambino), il paesino bigotto che gli dà contro: può spuntarla, può lottare con unghie e denti, dimostrare che il rapporto col bambino è proficuo ed è una scelta migliore dei nonni, degli zii, della cugina del padrino del fratello, dell’ex-moglie a cui fregava nulla di ‘sto bambino fino al giorno prima. Può farcela e ottenere l’affido. Ma sarà sempre un percorso lungo e tortuoso con una miriade di variabili impazzite che non farà bene al bambino. Perché no, non sono tanto ottimista da pensare che i pregiudizi che un giudice e un’intera comunità sono riusciti a riversare su una donna straniera che divorzia non possano a maggior ragione finire addosso a un frocio neo-vedovo che non ha diritti legali sul bambino. Un decreto chiaro e definito che dà proprio questi diritti non avrebbe impedito alla gente di mettersi in mezzo, ma almeno avrebbe vincolato la magistratura a dare una mano e non aggiungere ulteriore disagio. Avrebbe reso meno aggressive quelle battaglie legali che finiscono solo col trasformare il bambino in un piccolo adulto che deve centellinare ogni parola e azione per non scatenare un putiferio, e che a vent’anni diventerà un giovane vecchio inaridito che ne ha viste troppe ed è troppo stanco per godersi la vita.
Complimenti, Alfano: è questo che hai fatto.

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