Tuesday 30 November 2021

I miei due cent su Cingolani

Roberto Cingolani: (technically) right for the wrong reasons.
Se non conocete la notizia andatevela a googlare per i dettagli, ma il sunto è che Cingolani, Ministro della Transizione Ecologica, ha detto che è inutile studiare quattro volte le Guerre Puniche, la scuola dovrebbe fornire una “cultura tecnica” (lingue, informatica) propedeutica alle professioni del futuro.
E niente, iniziamo a spacchettare la cosa, perché ci sono due discorsi paralleli da tenere qui.

(Technically) right: è vero che il curriculum scolastico italiano, specie nelle materie di cultura generale come storia o geografia, è profondamente fallato. Cosa non sorprendente, visto che è tutt’ora basato su una riforma di novantotto anni fa promulgata sotto il fascismo. Cingolani non ha torto: ho studiato tre volte le Guerre Puniche ma mai come si deve il Novecento – un secolo un filino carico di avvenimenti le cui conseguenze si fanno ancora sentire, ma che viene sfiorato di corsa negli ultimi due mesi del grado scolastico di turno. Il che è fisiologico, visto che questo secolo bello denso di storia ancora non c’era, ai tempi di Gentile, ma penso che sia anche il residuo di un progetto deliberato del regime fascista: imprimere bene nella testa dei giovani la grandezza di Roma Antica in modo da fomentare la nostalgia per alimentare il nazionalismo, mantenendoli intanto ignoranti sugli sviluppi più recenti in modo da non dare loro i mezzi per comprende la situazione socio-politica e mantenerli il più manipolabili possibile.
Ma non è solo quello: da una parte, ho studiato tre volte Scipione e Annibale ma ho imparato qualcosa della storia della mia regione, la Sardegna, a trentadue anni suonati da Wikipedia nei due giorni in cui ero costretto a letto dopo la seconda dose di vaccino e non sapevo cosa fare; dall’altra, ho studiato tre volte il Risorgimento ma la Guerra dei Trent’Anni, uno degli avvenimenti chiave della storia europea, la conoscevo solo di nome e l’ho approfondita da solo sempre a trenta e passa anni su Wikipedia.
La falla del sistema, in questo caso, è ripetere per tre volte lo stesso curriculum verbatim (in maniera sempre meno approfondita, perché arrivi al liceo e la prof dice: “Ma tanto queste sono cose che già sapete”) invece che distribuirlo in base all’età degli studenti. Ai gradi inferiori si dovrebbe studiare la storia del proprio territorio e della regione – che è anche più facilmente comprensibile visto che i bambini possono trovare un riscontro immediato visitando i luoghi in questione – passare quindi alla storia antica e quella italiana, per poi approfondire quella mondiale e concentrarsi sul Novecento.
Così sì che si darebbe agli studenti un curriculum più bilanciato e comprensivo, e magari si imparerebbe qualcosa di più sul Novecento dall’istruzione pubblica invece che da The Crown su Netflix.
Poi, parallelamente a questo,  bisognerebbe rafforzare anche l’insegnamento di materie più pratiche, soprattutto le lingue, in modo da dare la formazione più completa possibile.

For the wrong reasons: il problema è che il discorso di Cingolani non era incentrato sul miglioramento del curriculum di storia della scuola pubblica italiana, quanto sulla solita lagna trita e ritrita, che le materie umanistiche sono inutili e bisogna concentrarsi solo su quelle tecniche che hanno un’applicazione pratica,
Che, onestamente, anche basta: è la più subdola forma di propaganda capitalista, che un’istruzione efficiente debba essere finalizzata non all’arricchimento della cultura della persona, ma solo della tasca del futuro padrone. Che tutto il tempo speso ad apprendere nozioni che non siano prontamente marketizzabili sia sprecato. Che quel che conta è solo la futura produttività dell’individuo anche a discapito (come in questo caso) della sua crescita personale.
Nel suo libro Bonsai (1995, uno dei miei libri formativi), Christine Nöstlinger definiva la scuola la “Macchina Normalizzatrice Statale”, il luogo dove, secondo il protagonista del libro, qualunque forma di creatività, individualità e pensiero fuori dagli schemi va a morire. La scuola capitalista, quella che Cingolani immagina, è proprio questo: una fattoria di piccoli e obbedienti ingranaggi spogliati di qualunque valore al di fuori di quanto produttivi possano essere nel piccolo impiego che viene assegnato loro per massimizzare i profitti degli imprenditori.
E questo è sbagliatissimo.

La scuola dovrebbe trovare il tempo – e le si dovrebbero allocare i fondi – per insegnare lingue, informatica, ma anche diritto ed economia, accanto a storia, geografia, filosofia, latino, storia dell’arte, musica. Le materie propedeutiche a navigare il mondo moderno e sì, anche il suo mercato del lavoro, non dovrebbero arrivare a discapito della cultura generale, e vice versa. E onestamente, parlare di sistema scolastico inadeguato dopo trent’anni di costanti tagliai fondi è abbastanza ridicolo.
E se proprio vogliamo parlare di stralci al curriculum attuale, strano come Cingolani non si sia lamentato di come studiamo tre volte di San Paolo e della sua folgorazione sulla via di Damasco. O di come almeno una volta per grado di studi mi sia infortunato gravemente sotto l’incompetenza del professore di diseducazione fisica di turno.

La lotta tra materie “concrete” e cultura “astratta” esiste solo nella mente del capitalismo, ma non dovrebbe avere posto nella scuola; tantomeno nella vita culturale di un Paese in cui, se proprio vogliamo mettere un codice a barre su qualunque cosa, le maggiori risorse sono proprio la storia, l’arte, la cultura, la musica.
Oltretutto, se proprio vogliamo parlare di logica capitalistica, forse, invece che trasformare la scuola in una fabbrica di ingranaggi già perfettamente competenti nel mondo del lavoro, sarebbe il caso di delegare almeno parte della responsabilità della formazione tecnica del personale alle aziende stesse. Così magari, dovendo pagare la formazione di tasca loro, inizierebbero a trattare i dipendenti come un investimento a lungo termine da tenersi stretto con gratifiche e condizioni di lavoro etiche, invece che come pezzi sostituibili non appena finisce il contratto di “apprendistato” in cui lavorano gratis.
Così, è solo un’idea.

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