Tuesday 23 November 2021

Riflessioni su Kate Moss

Mentre scorrevo Tumblr, in uno dei vari blog di fotografia di moda che seguo è spuntata una foto di Kate Moss. Quella Kate Moss.
Sempre perché in “2007, when size zero was the rage” io ero, come per Britney, troppo cool per la cultura pop mainstream, degli scandali e della conversazione pubblica su Kate Moss mi arrivò ben poco. Eppure a tutt’oggi, quando vedo una sua foto la mia prima reazione è clutch my pearls e inorridire perché OMG, che pessima influenza ha sui giovani.
Ecco, pensate a quanto pervasivo dev’essere stato lo sfruttamento mediatico di questa donna se perfino in me, che non ho calcolato di striscia il mondo della moda fino al 2011, si è talmente sedimentata l’idea che Kate Moss sia problematica che ancora oggi, nell’anno del Signore 2021, la prima immagine che leggere il suo nome o vedere la sua faccia mi evoca sono giovani ragazze che, solo trovandosi nelle vicinanze di una sua fotografia, precipitano in una spirale di droga e anoressia da cui usciranno solo coi piedi avanti.

Ora, lungi dal voler santificare Kate Moss o affermare che non fosse un personaggio da prendere con le pinze, però questo senso di allarme, questo volerla droppare come una patata bollente ogni volta che un’opera che la contiene mi capita per le mani è un filo esagerato e vorrei analizzarlo per liberarmene.
Anche perché, un po’ come Britney, era figlio della sua epoca. Gli Anni Duemila sono stati un periodo davvero orribile e violento.
Perché chi era, alla fine, Kate Moss? Era solo una ragazza con un disturbo alimentare e un problema con la droga che sono stati sfruttati e fetishizzati da una parte, e gonfiati e demonizzati dall’altra. Non era il carnefice dell’innocenza delle adolescenti della mia generazione: era una vittima dello showbiz e degli standard di bellezza come chiunque altro. (Per la cronaca, lei ha sempre negato di aver avuto disturbi alimentari, era solo che “Nel B&B non c’era cibo”, o “Nessuno mi portava a cena”; certo, Kate.)
Poi per carità, è giustissimo che abbia pagato lo scotto dello scandalo della cocaina, o di aver commentato con leggerezza che “Nothing tastes as good as skinny feels” (anni dopo si è pubblicamente pentita di quell’affermazione), ma la stampa si è accanita su di lei come se fosse l’origine del problema, non un sintomo e una vittima (fermo restando che bisogna sfatare il mito dei “role model” dei giovani e smettere di usarli come capro espiatorio per la propria inadeguatezza genitoriale).
Oltre a lei, c’è stata molta altra gente che si è arricchita con l’estetica “heroin chic” che le è stata cucita addosso. C’è chi ha pascolato intorno alla sua immagine da hard-drinking bad party girl per anni, salvo poi cadere dal pero e disconoscerla quando è saltato fuori che un problema di uso di sostanze ce l’aveva davvero. Il problema è stato, anche qui, che invece che mostrare compassione verso un essere umano in difficoltà, si è proceduto a glamourizzare e sfruttare la cosa.
E anche per quanto riguarda i problemi alimentari, ammettiamo pure che sia naturalmente magra e non abbia un problema di, ahem, “non trovare cibo nel B&B”: è Kate Moss, presa, vestita, fotografata e messa in copertina o in una campagna di moda il problema, o piuttosto il fatto che, accanto a una Kate magra non si siano messi anche altri tipi di fisico fino a praticamente l’altro ieri? Kate Moss aveva i suoi problemi di cui occuparsi, non le si può addossare alla sua magrezza la colpa di non mostrare alternative al pubblico.

E niente, questo è quanto avevo da dire su Kate Moss, ennesima vittima della mancanza di empatia degli Anni Duemila che nella celebrity culture ha raggiunto la sua apoteosi. Spero di aver demistificato i problemi che ho con lei, così da non fermarmi al viso o al nome nel giudicare una foto artisticamente valida, perché la cultura di massa mi ha instillato un’antipatia atavica per l’ennesima donna che ha vittimizzato.
Kate, probabilmente non mi starai mai simpatica (anche perché diciamocelo, si può essere una top model e subire pressioni e angherie senza diventare problematici, chiedi a Karen Elson), ma non meritavi di essere trasformata in una red flag ambulante.

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