In realtà non ricordavo il giorno preciso: l’ho dovuto ricostruire con un po’ di calcoli partendo da altri avvenimenti di cui so effettivamente la data.
All’epoca non ci diedi così importanza, semplicemente mi trovavo in vacanza-studio in Inghilterra (la mia primissima), ci avevano portati in gita a Oxford, avevo trovato un negozio di musica, ero entrato e avevo scoperto che davano due CD da 13 sterline ciascuno a 20 in totale se li prendevo assieme. Così, scelsi American Life di Madonna come secondo CD per avere lo sconto su Fallen degli Evanescence.
All’inizio, verso giugno, il video di Bring Me To Life mi aveva turbato non poco, e non in senso del tutto positivo. Ma dato che la canzone mi si inchiodava in testa ogni volta che la sentivo e la cantante non solo era davvero bella, ma aveva una voce straordinaria, incredibilmente personale ed espressiva, una di quelle che riconosceresti ovunque ad occhi chiusi, me la feci scaricare da Giovanni (all’epoca avevo ancora la 56 kb/s e mi affidavo a lui per ogni questione di download) e inserire in un cd di canzoni sfuse da portarmi in viaggio. E trovandomi il CD, con quella copertina azzurra così magnetica, con quegli occhi, decisi di comprarlo per sentire com’era il resto della musica di questi “Evànescens” (a “Evanèsens” ci sarei arrivato solo molto dopo).
Ricordo tutto di quel viaggio in pullman da Oxford al college di Bradfield: il centro prima, la periferia poi della città che scorrevano davanti ai miei occhi sulle note di Going Under e Bring Me To Life, l’autostrada su Everybody’s Fool, i campi di grano, dorati sotto il cielo blu intenso, sui quali, ascoltando My Immortal, sembrava quasi di volare, le macchie di alberi, i piccoli paesi non lontano dalla strada su Haunted, Tourniquet e Imaginary, la zona appena più brulla su Taking Over Me. E su Hello, My Last Breath e Whisper, quando eravamo già in dirittura d’arrivo, il bosco che circonda il college. Sul serio, il primo ascolto di quelle tre canzoni in mezzo al bosco (eccetto la strada) è stato qualcosa di incredibilmente emozionante.
In realtà, non fu fino al giorno dopo che mi innamorai totalmente della musica degli Evanescence, quando, durante la pausa pranzo, mi spaparanzai sull’erba all’ombra di un albero (con, ironicamente, alla mia sinistra il piccolo cimitero del college e alla mia destra gli edifici neo-gotici della mensa) e ascoltai Going Under provando a seguire il testo. Nonostante Bring Me To Life mi piacesse, fu quella canzone a conquistarmi: la misi in repeat fino all’ora delle lezioni, e poi di nuovo durante la cena, e tutta la sera. E American Life? Credo di avergli dato uno o due ascolti… settimane dopo.
Il resto, come ben sapranno quelli che mi conoscono da prima del 2008, è storia: accantonate le t.A.T.u., Avril Lavigne, Alizée e quant’altro, per tutta la prima superiore non ascoltai praticamente altro. Ad eccezione, di tanto in tanto, del singolo di My Immortal, che comprai non appena sentii la Band Version e mi sciolsi in lacrime davanti al video (la prima edizione del disco non aveva quella versione come bonus track). Quando a natale 2004 uscì Anywhere But Home, il mio disco di Fallen aveva letteralmente i segni dell’usura, e fortuna che arrivò Missing a impedirmi di continuare ad abusarne. E non contento, mi impegnai a creare FMV di Final Fantasy VIII per ogni canzone del disco. Oh, e non si contano i pomeriggi incollato a Mtv aspettando il video del momento per poterla guardare, Amy, che all’epoca era la donna più bella del mondo per me. O le googlate clandestine in aula d’informatica a scuola per stipare quante più foto possibile sui floppy disk da portare a casa.
Erano ancora i tempi di WinMix quando, cercando altre canzoni live from Cologne (come le b-side dei singoli di My Immortal e Everybody’s Fool) io e Giovanni scoprimmo titoli strambi come Lies, Where Will You Go? o Anywhere, e con enorme sorpresa scoprimmo dell’esistenza di Origin, Evanescence EP, Sound Asleep e tutte le demo (fan 1 – Pescy 0). A quell’epoca avevo già l’iPod, così, sia sul traghetto andando a Roma per natale, sia nelle interminabili ore di pullman da Alghero a Parigi nella gita scolastica di seconda, spaziavamo di canzone in canzone ascoltando praticamente solo quello – sporadicamente intervallato da qualcosa di Wishmaster dei Naituiss, che mi avevano già fatto conoscere, ma non c’è da sorprendersi se di fronte a Origin e al resto della compagnia me lo filassi relativamente poco. Ci vollero i Within Temptation con Enter, che scoprii casualmente sul finire del 2005 grazie a “Evanescence feat. Within Temptation – Restless” che circolava su eMule, per riuscire a diluire consistentemente gli ascolti degli Evanescence, specie quando scoprii il resto della loro discografia (all’epoca ero già stato in America ed ero tornato con tutti i CD dei Naituiss, che ora ho sbolognato a Jonah, ma continuavano ad essere ascolti relativamente sporadici e concentrati per lo più sulle solite tre-quattro canzoni). Fu solo con i Delain, nell’autunno 2006, che iniziai ad ascoltare seriamente anche altra roba, sempre all’interno del genere (ricordo che qualcuno tentò di passami Venus dei Theatre of Tragedy, ma non me la filai di striscio… ah, errori di gioventù). Non prima, ovviamente, di un monitoraggio quotidiano e ossessivo del sito del fanclub italiano per tutta l’estenuante durata delle sessioni di registrazione, mixaggio e mastering di The Open Door, che tutt’oggi non ho idea come riuscii ad aspettare senza uccidere qualcuno.
Da lì in poi, il mio rapporto con la band lo ritrovate accuratamente documentato su questo blog, a partire dall’entusiasmo per l’uscita di The Open Door, per il concerto con meet & greet di quell’anno, il Metarock a Pisa nel 2007, vari sogni con Amy, Missing finalmente suonata live… e ovviamente Amy che decide di andare solista e la sua improvvisa e traumatica (per me) caduta dalle mie grazie nel 2008. Il periodo di rancore, la presa di coscienza del fatto che, contrariamente a ciò di cui cercavo di autoconvincermi, live fosse mediamente tremenda, il taglio di capelli, il suo trasformarsi in Pescy, la soap opera con i We Are The Fallen e l’improvviso ritorno di fiamma di Pescy per gli Evanescence, fino alla cocente delusione dell’ultimo album della band e la mia speranza che se ne vada solista al più presto.
Insomma, in dieci anni sono cambiate un mucchio di cose, sia nella mia vita, sia nella band, sia nel mio rapporto con essa. Ma Fallen è ancora uno dei miei dischi preferiti e lo considero tutt’ora la svolta della mia adolescenza. I due poster sono ancora appesi al muro, qui ad Alghero, e lì rimarranno finché la parete non si scrosterà da sola. E anche ora, nonostante tutto ciò che è successo, mentre riascolto Fallen ripenso a quei giorni in Inghilterra e alla magia di una nuova scoperta che sarebbe diventata, nel tempo, importantissima per la mia crescita. A quanto amo quelle canzoni, a quanto mi hanno dato e a quanto mi hanno aiutato durante i piccoli, grandi drammi dell’adolescenza.
In alto i calici, e un grazie sentito a Ben, David e Amy per la loro musica.