Saturday 3 August 2013

Never forgiven

I was just a kid that you could not forgive because it’s harder.
I was just a kid and all I really wanted was my father.


La cosa bella di avere un padre che a malapena conosce l’italiano è che puoi cantargli in faccia Guilty di Marina mentre siete in macchina e toglierti il peso senza che lui si renda conto di nulla. Con qualche deviazione di significato qua e là, diciamo che questa canzone ci riassume abbastanza dettagliatamente. Tanto, anche se quello guilty è lui, e io quello che lo deve perdonare, la condanna a subirlo ce l’ho io.

Il paese è sempre, squallidamente uguale a se stesso. Le bambine di oggi hanno lo stesso taglio di capelli di quelle di vent’anni fa (l’orribile caschetto/scodella anti-caldo), i giovani di oggi frequentano gli stessi bar di quelli di vent’anni fa (spesso assieme agli ex-giovani di vent’anni fa), le vecchie di oggi (e quelle di vent’anni fa, che non crepano mai) vanno alla stessa messa per il povero coglione che, per noia o chissà cosa, si è schiantato contro un albero a bordo cunetta correndo a 190 km/h in una strada dove se vai a 80 è già un suicidio certo (vent’anni fa le macchine non tiravano a 190, ma il tratto di strada dove i coglioni che corrono si schiantano è comunque sempre quello). E i fiori all’albero li hanno attaccati con tre giri di scotch da pacchi, che quasi quasi è una delle cadute di stile più trascurabili che si vedono qui in paese.
L’erba cattiva non muore mai, e tutte le mie zie sono vive e vegete. Acciaccate e rimbambite che fanno quasi tenerezza, ma più vive che mai. Sono schiattati solo i due vicini di fronte e una delle due villette l’ha comprata mio cugino con la moglie e i tre bambini che hanno adottato (tutti assieme per non separarli). Il tocco della moglie, una donna simpatica ed estrosa pur nella sua semplicità, si vede tutto, visto che il giardino è ben tenuto, il muretto è dipinto di un giallo vivace e c’è quel che di allegro provincial-chic che riesce a includere mobili in stile moderno, decorazioni etniche esotiche e tipici soprammobili locali che si mescolano trasformandosi in un kitsch che quasi quasi è simpatico. Tutt’altra storia rispetto a casa del fratello di lui, la cui moglie è la tipica donna di paese, con l’arredamento che ne riflette la natura risultando la copia cheap di quello della suocera.
Nel frattempo, la mia cugina ciellina ha deciso di consacrare la sua vita al giardino e al paese: ammiro sinceramente la dedizione con cui cura l’orto e il pergolato di vite, l’impressionante numero di specie diverse di rose che ha piantato accanto a ortensie, gardenie, glicini e chi più ne ha più ne metta, e riesce anche a trovare il tempo di fare da coordinatrice nella scuola dove insegna e presiedere alla ProLoco paesana organizzando di tutto e di più, dalla sagra della pasta fatta in casa al recupero filologico del dialetto passando per l’esposizione temporanea dei costumi meglio conservati. Del resto, è quasi coetanea della Mater, zitella e probabilmente ancora vergine poiché, appunto, ciellina, per cui è facile indovinare dove trovi tanto tempo e, ahem, energie da devolvere al bene comune e al capeggiare la vita culturale del paese. D’altronde è l’unica in grado di farlo, visto che non mi risulta che qualcun altro abbia qualcosa di assimilabile a una cultura, da queste parti. Di sicuro non l’ex compagno delle elementari che ho intravisto oggi al bar, sempre con la testa a forma di melanzana e le orecchie da Dumbo.

Ciò che è cambiato è invece la mia percezione fisica del paese: con ogni visita mi sembra restringersi ulteriormente. Il giardino della mia fidanzatina dei sei e sette anni, che un tempo sembrava una distesa sterminata di erba altissima tutta da esplorare, è oggi solo un giardino spazioso; Il muro che avevano costruito intorno a un cortile sulla strada per scuola è ora un muretto nemmeno troppo alto; e il muretto del giardino dell’ospedale, su cui mi arrampicavo per fare il mio numero da equlibrista, oggi quasi lo scavalco con una falcata. Tanti dei miei “amici alberi” non ci sono più (ho paura di andare a vedere se la mia quercia preferita c’è ancora o meno), quasi tutte le persone che conoscevo le ho completamente rimosse. Il senso di estraneità è assoluto.

Penso che domani mi troverò una scusa e mi farò riportare alla civiltà, dove potrò per lo meno beneficiare di un condizionatore d’aria, una connessione wi-fi e un letto in cui dormire. Non che qui si dorma per terra, eh, ma per qualche strana ragione non riesco a dormire su questo letto. Passo la notte a rigirarmi e, quando finalmente prendo sonno, riposo malissimo. Non vorrei fare il wiccan scoppiato, ma inizio seriamente a pensare che ci sia qualche presenza o energia negativa che aleggia in questa stanza. O forse sarà lo sguardo attento di Padre Pio, che mi guarda dalla foto che la Ziaccia ha poggiato sul comò: a conti fatti, non credo sia il massimo per conciliarsi il sonno…

No comments:

Post a Comment