Su Facebook seguo una minima parte dei miei amici: quasi tutti li tengo lì ma li ho oscurati dalla mia dashboard per la stupidità dei contenuti che pubblicano. Così, la quantità di post sull’11 settembre che mi ha invaso il feed ieri è stata talmente irrisoria da non farmi nemmeno realizzare che giorno fosse. Me ne sono reso conto solo quando, aprendo deviantART, mi sono ritrovato un post di ringraziamento accompagnato da una gif delle Torri Gemelle sullo sfondo della bandiera americana.
Inutile dire che questo sfogo di patriottismo mi ha irritato non poco: tutti bravi a riempirsi di foto e gif delle Torri Gemelle, e intanto al loro posto hanno costruito quell’obbrobrio del 1WTC.
L’11 settembre 2001 me lo ricordo come se fosse ieri. Avevo dodici anni. Stavo guardando la tv e avevo messo le repliche della Melevisione in mancanza di alternative. L’episodio era quello sul “compleanno” dello spettatore, che ricordavo essere particolarmente noioso, per cui sotto sotto speravo che lo interrompessero. Chiedi e ti sarà dato, TG3 edizione straordinaria. La North Tower in fiamme. Nelle successive ore sono rimasto incollato allo schermo in preda all’orrore, assistendo allo schianto sulla South Tower, al suo crollo, fino al collasso della North Tower. E lì il mondo è crollato addosso a me.
Molti di noi, che sono stati bambini negli Anni Novanta, ricorderanno le variegate serie di videocassette della DeAgostini. Io seguivo avidamente quelle su l’Universo di Piero Angela e quelle di Città del Mondo, in cui ti descrivevano un po’ di storia, cultura e cose interessanti da vedere delle principali città mondiali. Anche il mio migliore amico Roberto seguiva Città del Mondo, e ovviamente la nostra videocassetta (e città) preferita era la prima della collana, New York. Conoscevamo quei quaranta minuti di video a memoria (credo di essere tutt’ora in grado di citarne alcuni pezzi), ma nonostante ciò lo riguardavamo a intervalli regolari fantasticando sul giorno in cui finalmente avremmo visitato la città: quali grattacieli visitare per primi, quali tenere per ultimi, quali quartieri avevano la precedenza. Il suo grattacielo preferito era l’Empire State Building. Io adoravo il Woolworth Building e il Chrysler Building (sì, il Neogotico e l’Art Déco mi piacevano già in tempi non sospetti), e avevo anche un debole per il World Financial Center, specie il Three (quello col tetto a piramide) e il Winter Garden. Ma indovinate quali erano i miei grattacieli preferiti?
È imbarazzante e non ricordo di chi fosse stata l’idea, ma eravamo talmente presi da questo nostro sogno di visitare New York che alle elementari avevamo anche disegnato delle strip di fumetti antropomorfizzando i grattacieli di New York e dando loro mille avventure. E ovviamente, mentre le sue strip si incentravano sull’Empire State Building, le Torri Gemelle erano le protagoniste delle mie. Non so nemmeno perché fra tutte le meraviglie architettoniche di New York trovassi quelle due scatole di cemento così belle e affascinanti, ma la visita al terrazzo panoramico al centodecimo piano della North Tower sarebbe stato il culmine della mia vacanza a New York. La città e la sua skyline erano talmente entrati a far parte del nostro immaginario e delle nostre aspettative che la amavamo davvero tanto.
Quando ho visto le torri in fiamme, il mio sogno newyorkese mi si è letteralmente sgretolato davanti. Non capivo. Cosa diamine era successo? Perché non spegnevano quell’incendio sulla North Tower? Lì per lì sembrava ancora una brutta faccenda ma innocua, non ci voleta tanto a gestirla. Almeno fino a quando il secondo aereo (o qualunque cosa fosse) si è schiantato contro la South Tower. Lì mi si è gelato il sangue: non era più un caso.
Quel pomeriggio ho pianto come si può piangere quando l’infanzia termina. Non mi importava nulla, assolutamente nulla, delle persone lì dentro, di quanti si buttavano nel vuoto dalla disperazione, di quante soffocavano per il fumo, del loro terrore, dell’aspettativa. Potevano morire tutti fino all’ultimo: a me importava soltanto che quell’incendio si spegnesse e quei due grattacieli non crollassero. E al diavolo il Pentagono, quello poteva essere raso al suolo, per quanto m’importava. Quando gli inviati tagliavano ad Arlington avrei ammazzato pure loro, dato che bevevo febbrilmente ogni secondo delle immagini delle Torri Gemelle che mi scorreva davanti, sperando in qualcosa, qualsiasi cosa, che rimettesse tutto a posto.
Ci fu un’ironia davvero crudele, perché dal momento del secondo impatto fino alla fine ho sperato contro ogni logica e buon senso. La prima a crollare è stata la South Tower. E io, in lacrime, speravo ancora: la North Tower è la mia preferita delle due. Fa’ che si salvi almeno quella. Anche solo quella, qualsiasi cosa, anche se crolla la punta, ma fa’ che il grosso si salvi. Tutt’ora sono incredulo quando leggo che l’intera faccenda è durata poco più di un’ora e mezza: io ricordo un pomeriggio eterno, ore e ore e ore di orrore isterico davanti alla tv, fino a quando una delle cose che, per quanto irrazionalmente e infantilmente, amavo di più al mondo è scomparsa senza lasciare traccia.
Nel mio essere ancora poco più che un bambino, le notti successive ho avuto gli incubi: il crollo dell’Empire State Building, del Chrysler Building, dell’allora PanAm Building, uno o più a notte. Con Roberto ci eravamo persi di vista da quando eravamo andati alle medie, ma in quelle settimane ci siamo visti ogni giorno, scandagliando radio, tv e giornali in cerca di notizie precise: tanto per cominciare, quanti piani delle Torri Gemelle si erano salvati? Dai, era impossibile che fossero crollati tutti, e se almeno una decina erano ancora in piedi, le avrebbero sicuramente ricostruite. Ricordo ancora come lui cercasse di rassicurarmi dicendo che aveva sentito per certo che almeno qualche piano era ancora in piedi. Rassicurazione che è crollata quando un’amica della Mater che vive a Brooklyn ha confermato (per telefono, allora non c’era Skype) che non era rimasto nulla. Niente. Ground Zero.
Anche dopo che, superato lo shock immediato, io e Roberto siamo tornati a non vederci, sono rimasto incollato ai notiziari per capire qualcosa. Tutt’ora non mi frega nulla di quanta gente sia morta nell’attacco e negli eventi che si sono succeduti da allora. Le guerre che ne sono seguite mi hanno irritato da morire, e ucciderei Bush con le mie mani non solo perché, contrariamente a qualsiasi teoria del complotto più o meno assurda, quella sull’11 settembre la reputo abbastanza plausibile, ma anche e soprattutto perché è colpa sua se non posso portarmi lo shampoo nel bagaglio a mano. Ma la vicenda che ho seguito con maggiore trepidazione, se non addirittura ansia, sono state le decisioni dell’amministrazione di New York sul destino di South Manhattan. Rassicurato che Three World Financial Center non rischiava davvero di crollare nonostante i danni, e che il Winter Garden sarebbe stato restaurato completamente, rimaneva il più grosso punto interrogativo: cosa ne sarebbe stato della skyline di quell’angolo di mondo? Avrebbero ricostruito tutti e 110 i piani e 415 metri di quei due grattacieli? Ovviamente no. Fu una delusione, ma almeno speravo che non avrebbero messo nulla al loro posto.
Con la quasi approvazione del progetto dell’allora Freedom Tower, il mio amore per New York è sostanzialmente morto. Mi sono sentito tradito. Infantilmente, mi ci sento ancora, e l’interesse non è mai davvero tornato. Certo, il progetto dell’epoca era molto più brutto perfino dell’obbrobrio che stanno completando adesso, ma è il fatto in sé che mi ha oltraggiato. Ed è per questo che le mille immagini patriottiche delle Torri Gemelle, le sviolinate dei notiziari, i due fasci di luce nel cielo, oggi, a completamento dei lavori quasi avvenuto, mi urtano tanto. Lo so che per il resto del mondo quei grattacieli sono i simboli di una tragedia, ma tutto ciò che riesco a pensare è: se continuate a vagheggiarle così tanto, perché diamine non le avete ricostruite così com’erano, brutti idioti?
New York alla fine l’ho visitata nel 2005. Sebbene mi sia divertito, non è stata l’esperienza memorabile che immaginavo da piccolo. Ok, la compagnia del Guasto non era delle migliori, ma a prescindere da lui, i momenti che mi sono rimasti più impressi, a parte la vista su Ground Zero, sono state l’acquisto della mia prima fotocamera e lo shopping sfrenato al Virgin Megastore di Times Square. Il Winter Garden e la terrazza panoramica dell’Empire State Building sono stati bei momenti, ma la verità è che ho visitato la città come avrebbe fatto qualsiasi turista, senza viverla o preoccuparmi davvero di scoprirne la magia. Mi sono goduto più Niagara e le città canadesi nel resto del viaggio, se devo essere sincero. La Grande Mela è stata solo una metropoli tentacolare, per molti versi spaventosa, per tanti altri
affascinante, rinchiusa in una teca trasparente, lontano da me. Perché un pomeriggio di fine estate di tanti anni prima, la morte per me più dolorosa in un massacro d’importanza storica è stata quella del mio sogno d’infanzia.