Monday 26 March 2018

Coming up for air

Back with myself again,
All my fears
Just like a ball and chain.
And I know,
Although I am alone,
I’m at home,
Here with my selfish pain.

Anche se non avessi letto nulla su di lei prima di ascoltare la sua musica, credo che avrei comunque intuito che Siobhán Donaghy non stava bene quando ha scritto i suoi due album, Revolution In Me e Ghosts. C’è sempre qualcosa che accomuna le persone depresse e ci permette di riconoscerci. Katia ci riesce dagli occhi: c’è qualcosa nello sguardo che le rivela immediatamente se qualcuno soffre di depressione, ed è così che si è accorta della mia prima ancora che lo facessi io.
Io invece ci riesco dalle parole: ci sono certi modi di esprimersi, certe descrizioni di stati d’animo che sono troppo specifici per essere inventati. Non sono i soliti cliché di Morten Veland che scrive: “All my dreams decline, they fade away and die”, o Tuomas Holopainen con: “It is the end of all hope to lose the child, the faith”, o Lana del Rey e i suoi “I’m a sad girl, I’m a sad girl, I’m a sad girl, I’m a sad girl”. No, quelli sono piagnistei generici, imbellettati per sembrare profondi al fan che gioca al male di vivere perché è annoiato. Chi ci è passato davvero è molto più specifico.
E io nelle parole di Siobhán mi ci rivedo tantissimo.
Narra la leggenda che Siobhán (per inciso: si legge “Shivòn” ed è il corrispettivo irlandese di Giovanna) abbia lasciato le Sugababes fuggendo da un’intervista in Australia passando per la finestra di un bagno. La leggenda è stata smentita, ma le Sugababes le ha lasciate davvero: i contrasti interni erano esacerbati dalle pressioni degli adulti e lei non ha retto al peso ed è entrata in depressione. La scrittura di entrambi i suoi album ha fatto parte del suo processo di guarigione.

Conoscendo bene lo stato mentale, empatizzo con un po’ tutta la sua musica, ma Coming Up For Air colpisce una risonanza perfetta per quello che è il mio stato interiore attuale. C’è una frase in particolare che mi ha dato i brividi: “Although I am alone, I’m at home here with my selfish pain”. A Katia questa frase non è piaciuta perché considerare “egoista” uno stato d’animo come il dolore è sbagliato, ma io credo che sia proprio questo il punto. La cosa peggiore della depressione, per me, è il non permettermi di validare le emozioni. Stare come sto, soffrire come faccio, senza un apparente motivo mi fa sentire irrazionalmente egoista: non è nemmeno la solita tiritera che c’è chi sta peggio e ha problemi più gravi, è che penso sempre che il mio stato sia un peso o una fonte di preoccupazione per chi mi vuole bene. Ammettere anche a me stesso che, sotto la maschera di allegria e simpatia che proietto per gli altri, sto soffrendo mi fa sentire ancora più in difetto, e ascoltare Siobhán che descrive uno stato d’animo così simile al mio mi ha aiutato.
Parte del processo di guarigione è accettare che potrò essere una fonte di preoccupazione per gli altri, ma non è una mia responsabilità: non ho scelto di essere depresso, ed è uno stato in cui devo dare priorità al mio, di benessere. Devo essere egoista e indirizzare le mie energie non verso la maschera per gli altri, ma verso il riconoscimento e l’accettazione dei miei stati d’animo. Solo così potrò esorcizzare davvero quella cosa indefinita che ho dentro.

Riallacciandomi maggiormente al titolo, comunque, sono stanco di sentirmi annegare: per questo ho iniziato a lottare per guadagnare la superficie e respirare. Dopo aver scritto il post precedente e averlo davvero inviato a chi di dovere, mi sono preso un pomeriggio per me: una gita al parco di Miramare per catturare Pokémon, completamente solo se non per Ghosts di Siobhán nelle orecchie. È stato liberatorio e mi ha messo di ottimo umore: una vera boccata d’aria dopo una lunga apnea. Ora sono certo che è questa la strada che devo seguire.

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