Monday, 26 March 2018

Gone

Never will I let you down.
The reasons why I hide will stay unknown
Until I’m gone.
You will find a better way:
Let tales be told, find voices to sing
When I am gone.

Ci sono due categorie di persone nella mia vita: quelle che ho conosciuto prima e quelle che ho conosciuto dopo.
Prima e dopo, ovviamente, di essermi ridotto nello stato in cui mi trovo ora.

Non che sia bravo in generale a mantenere i contatti con la gente, ma con le persone del prima mi riesce ancora più difficile. Credo di contare cinque, massimo sei persone del prima con cui parlo su base semi-regolare – e con quattro di loro si parla di argomenti molto specifici e raramente personali.
Con le persone del dopo, beh, è comunque difficile, ma meno. Mi hanno già conosciuto così, magari nemmeno si aspettano che parli molto di me, di cosa succede nella mia vita, di come sto, di dove mi vedo fra due o tre anni.
Ma le persone del prima? Mi vengono in mente quattro nomi in particolare, persone con cui mi rendo conto di aver allentato enormemente e ingiustamente i rapporti, e a cui mi riprometto, ogni tanto, di scrivere domani. O domani. O magari domani. Giusto per far sapere che penso ancora a loro, che vado a ficcanasare sui loro social e mi piace osservare come procede la loro vita. E, in quei momenti, mi mancano. Anche se dal modo laconico in cui rispondo ai loro messaggi o ai post che mi pubblicano in bacheca non si direbbe.
Perché pensare a loro e sentirne la mancanza non mi porti a contattarle e fare due chiacchiere, come sarebbe logico e naturale, è complicato. Come dicevo, chi mi ha conosciuto dopo non ha un termine di paragone attraverso il quale vedermi: sono così, è un dato di fatto, poco male. Ma chi mi ha conosciuto prima, probabilmente, si immaginava che sarei diventato un filino diverso da come sono ora. Probabilmente ricorda un Alessandro con un sacco di cose da raccontare, con una vita piena, delle aspettative, dei progetti per il futuro le cui fondamenta si impegnava a gettare nel presente. Ora, le mie conquiste sono essere funzionale nel breve termine, nel quotidiano, su cose che la gente normale dà per scontate.
Se dovessi aprire quella chat, avrei il terrore di sentirmi chiedere: “E tu, che mi racconti?”. E più tempo lascio passare, più la cosa mi spaventa, perché mi ritrovo con sempre meno da raccontare a fronte di ciò che loro stanno facendo nella loro vita. “Ah, sai, ultimamente va proprio bene: questo mese sono riuscito a fare la spesa due volte di fila senza farmi venire un attacco d’ansia o rimandare al giorno dopo; ma congratulazioni per la casa nuova!”.

E in realtà non è nemmeno tanto che temo il loro giudizio: mi rendo conto che è tutto nella mia testa e lo sto semplicemente proiettando. È che ho paura di farle preoccupare, perché oggettivamente mi preoccuperei se sapessi che loro stanno così.
No, ok, chi voglio prendere in giro? Ho davvero paura di essere una delusione, perché l’Alessandro che hanno conosciuto era milioni di volte meglio di come sono ora, e loro se ne rendono conto tanto quanto me.

E niente, eccomi qui. Il post lo pubblicherò, ma non so se lo linkerò alle quattro o cinque persone in particolare a cui ho pensato mentre scrivevo.
Se deciderò di linkartelo, o se ci capiterai qui per caso, sappi che non ho smesso di farmi sentire perché non ti voglio più bene, che mi manchi e mi sento anche abbastanza in colpa per essere diventato un fantasma. È che non posso ingannarti come inganno le persone che mi conoscono da meno tempo: tu sai come sarei potuto essere sulla soglia dei ventinove anni, puoi intuire quanto le cose siano andate male e ho paura che ne rimarrai delusa. Non sono nemmeno del tutto sicuro di essere la stessa persona con cui hai fatto amicizia, o se questa versione di me possa piacerti. Tutto qui.

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