Sunday, 11 March 2018

Diatesi

Come far capire all’utonto medio di Grindr che la sessualità non è solo una questione fisica ma anche e soprattutto mentale? Questa sì che è una bella domanda.
Ovviamente, in questo sono inclusi i ruoli sessuali. Se ricevessi un centesimo per ogni volta che qualcuno dà per scontato che io sia passivo e poi si sorprende, ché “con quel fisico non ti avrei detto attivo”, potrei comprarmi un’isola privata in Finlandia. Sì, utonto medio di Grindr, peso cinquanta chili. Sì, ho i tratti del viso delicati. Sì, non ho il vocione. Sì, il mio pene è nella media. Sorpresa: il ruolo sessuale è una questione in primo luogo mentale. Il mio corpo può sembrarti quel che ti pare, è ciò che c’è nella mia testa a fare la differenza e decidere cosa vorrò e non vorrò fare a letto.
Ecco, sono come i verbi deponenti in latino: sembrano passivi, ma in realtà sono attivi. Già, utonto medio di Grindr, esistono cose del genere. Mind = blown.


Da qui, il problema diventa mio, ed è scoperchiare la latta di vermi che è, per me, la “questione mentale”. Perché sono convinto che al mondo esistano due tipi di solo-attivi: quelli che non lo prendono perché je fa un male cane, o perché sono un pozzo senza fondo di nevrosi. Ovviamente io appartengo alla seconda categoria.
Ora, non che escluda in assoluto di fare il passivo in vita mia. È una di quelle cose che esistono nel cassetto del “un giorno, magari”, posta un’intesa di un certo tipo, la serietà del rapporto, la necessità di reciprocare un tipo di attaccamento più profondo da parte del partner e, soprattutto, un’assoluta fiducia. Nel sesso casuale, invece, lo escludo a priori per diverse ragioni.

Quella più facile da ammettere è che sono un control freak. Lo sono un po’ in tutti gli aspetti della mia vita e il sesso non fa eccezione (spesso con conseguenze disastrose, tipo non sentire nulla perché non mi lascio andare, e fingere che pornoattori levatevi). Posto il reciproco consenso, a letto sono il tipo che si impone, che guida senza molta sottigliezza la testa giù, che fa voltare, che decide quando e come far venire chi; d’altro canto, mi raffreddo subito se l’altro prova a imporsi con me.
Ho il costante bisogno di avere in mano la situazione, di conservare un margine di manovra, di essere il meno vulnerabile dei due: dare il mio corpo a qualcuno in quel modo mi toglierebbe quest’impressione e mi farebbe sbarellare di brutto.
Thanks but no thanks.

Parlando di vulnerabilità, c’è poi il problema di quando le cose finiscono. Dato che il mio presupposto è che i rapporti di questo tipo finiscano nel peggiore dei modi e qualsiasi piccolezza possa essere usata per ferirsi a vicenda (chissà come ho ricevuto quest’impressione, mh?), non potrei mai dare un’arma così potente in mano a qualcuno.
Perché è triste da dire, ma nel mondo omosessuale tutti adorano i passivi fra le lenzuola, ma al di fuori li coprono di disprezzo: nonostante tutte le battaglie e le relative conquiste, anche dentro la comunità prenderlo nel sedere è ancora vissuto come degradante. Darsi “della passiva” è l’insulto più comune, scherzoso o meno, fra gli uomini gay, la fonte di gossip più ricca e, in generale, un motivo di giudizio.
Per questo, dovesse un’amicizia con benefit finire col sangue amaro, è più difficile che uno vada in giro a dire con disprezzo “Da quello mi sono fatto scopare” che “Quello me lo sono scopato”, se l’intento è rovinare la reputazione. Fare solo l’attivo è una polizza in caso tutto vada per il peggio.

Side note, in parte ciò avviene anche col sesso orale. Solo che succhiarlo richiede una certa competenza e bravura. Per questo, l’eventualità che qualcuno, finito tutto in malora, vada a dire in giro “Quello me l’ha succhiato” non mi paralizza così. Al massimo, si sogghigna e si ribatte: “E sono pure bravo a farlo, bitch”, è più facile trasformarlo in un motivo di vanto che di vergogna.

E poi ho avuto l’epifania. Non mi ero mai soffermato a pensarci prima ma, nonostante tutto, io sono la prima vittima del pregiudizio. Già solo rileggere questo post lo prova in maniera inconfutabile: questa visione è talmente pervasiva, sia dentro che fuori dalla comunità omosessuale, che ne sono tutt’altro che immune.
Alla fine, è questo il vero motivo per cui mi rifiuto di fare il passivo: la mia mascolinità è sempre stata messa in dubbio. Sempre. Non sono mai stato Gaston, non mi è mai davvero interessato esserlo, ma sono sempre stato giudicato per questo. Una, due, tre, mille volte.
Per quanto intellettualmente sappia che i costrutti eteronormativi non siano assoluti, che ognuno possa essere uomo o donna a modo suo, che il bambino che legge i libri e ascolta la musica classica e guarda Sailor Moon e preferisce giocare in casa con le Lego e i peluche non è meno maschietto di quello che rutta, scoreggia, guarda le Tartarughe Ninja, gioca per strada e urla a più non posso, ho talmente interiorizzato queste critiche costanti che sono cresciuto estremamente insicuro della mia mascolinità. Un po’ è naturale che mi scatti il rifiuto di espormi all’ennesima potenziale fonte di giudizio, specie perché c’è una facile alternativa che, in un certo senso, funziona invece da riaffermazione della mia mascolinità.
In sostanza, oh merda, sono vittima degli stessi pregiudizi che combatto negli altri.
Non è una cosa facile da ammettere e razionalizzare. Anche se per anni e anni, fin dall’infanzia, ho lottato contro le aspettative sociali per essere me stesso nei miei termini, ho finito per cedere proprio nell’aspetto più personale della questione. Ma riconoscerlo è il primo passo per isolare e iniziare a demistificare uno stato d’animo e un modo di vedere le cose che, intellettualmente, so già essere stupidi.

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