Friday 9 August 2019

Slowmotion Apocalypse

Non è che sono cattivo e lo faccio apposta a tenermi le cose dentro per mesi e mesi quando sono arrabbiato, invece che dirle subito in faccia: è che non sono abituato ad arrabbiarmi, tutto qui. O meglio, a farlo davvero e per più di cinque minuti.
Tolto lo scatto d’ira per una qualche situazione contingente, che se ne va con la stessa rapidità con cui è arrivato, o l’esasperazione per i fascistoidi nazionali, o l’irritazione per il ciclista che non rispetta il codice della strada, mi considero una persona poco incline alla rabbia. Ci vuole qualcosa di davvero, davvero vile per farmi arrabbiare sul serio – beh, anche qualcosa in meno se è diretto alle persone che amo, ma la mia soglia di tolleranza di ciò che si può fare a me è molto alta. Quando qualcosa la supera, mi coglie alla sprovvista perché non sono abituato a vedere quel limite superato, è un’eventualità improbabile.

Per questo non mi accorgo subito di essere davvero arrabbiato: è un processo graduale. Ho bisogno di tempo per realizzare che più sento quella certa persona, meno voglia ho di farlo. Che qualcosa si è rotto e non riesce a tornare a posto. Che quando penso a lei, lo faccio sempre meno col sorriso e sempre più con una smorfia. Che la shade che le ho lanciato una, due, cinque, dieci volte non è solo perché l’occasione si presta a una bella battuta, ma perché ho del rancore da esorcizzare in qualche modo. Che ciò che ha fatto non è solo l’ennesima scemenza che posso lasciar correre, ma mi ha ferito o colpito seriamente e quei sentimenti non se ne andranno via dall’oggi al domani.
La mia rabbia è un’apocalisse in moviola, un processo inesorabile ma lento, passo dopo passo, epifania dopo epifania: mi ci vuole un po’ per realizzare il tumulto interiore che la presenza di qualcuno mi causa. Così finisce che per le prime settimane o addirittura mesi, tutto sembra andare come al solito. Poi pian piano inizio a raffreddarmi, le comunicazioni rallentano, si diradano, diventano monosillabiche. E alla fine esplodo, asfalto la persona in questione con tutte le argomentazioni che ho avuto tempo di maturare prima di quel confronto, e sembra arrivare quasi dal nulla per una cosa vecchia di mesi.
E naturalmente, visto che un rancore è per sempre che DeBeers spostati coi tuoi diamanti, finisce che vado avanti per mesi a lanciare shade e acido senza la minima provocazione, perché nel frattempo i sentimenti di cui non mi sono reso conto sono suppurati e hanno bisogno di uscire.

Ma non è cattiveria. Non è falsità, né ipocrisia, né non dire le cose in faccia. È semplicemente che non sono mai preparato a sentirmi davvero tradito, specie dalle persone di cui mi fido, e quindi mi ci vuole un po’ per processare lo stato d’animo.
Più tempo passa da quando mi combini qualcosa di davvero brutto a quando ti leggo vita, morte e miracoli, più significa che l’hai fatta grossa, devi preoccuparti e ti conviene mettere una pietra sopra al nostro rapporto.
Perché il rovescio della medaglia è che, per quanto mi piacerebbe imparare a perdonare e lasciar correre, porto rancore per molto più tempo di quello che mi serve per processarlo all’inizio.

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