Tuesday, 13 August 2019

Stilizzazione

Onestamente non mi sono mai soffermato sul fatto che Usagi Tsukino è giapponese. Cioè, tralasciando “Bunny”, tralasciando l'epurazione di tutto ciò che aveva connotazioni “troppo etniche” negli adattamenti italiani degli anime, anche se bene o male sapevo che le storie di Sailor Moon e molti altri anime erano ambientate in Giappone, non mi sono mai soffermato a pensare che, nella vita reale, quei personaggi avrebbero avuto tratti somatici giapponesi.
È una cosa stupida ma che, nell'era dei trigger warning e delle polemiche su Scarlett Johansson che whitewasha Ghost In The Shell, dà da pensare, spesso a discapito della stessa esperienza intrattenitiva.

Probabilmente è colpa dell'egocentrismo degli Stati Uniti che, nella loro convinzione di essere lo standard su cui si misura tutto il mondo, stanno esportando la loro mentalità e i loro problemi interni, con cui non sono mai scesi davvero a patti. Le questioni razziali americane non sono mai state risolte, così le tensioni permeano tutta la loro società, inclusa l'industria dell'intrattenimento. Ed ecco che partono le menate su chi ha castato un attore di quale etnia / nazionalità per rappresentare quale etnia / nazionalità: basti pensare al poplverone sollevato dal casting del nuovo Charmed perché le attrici non sono nero-latino-sokoviane nell'esatta percentuale dei loro personaggi. E dire che l'esistenza stessa di quello show è basata sullo scopiazzare il Charmed originale ma più woke, con un occhio di riguardo per lo share e i soldoni spremibili da le minoranze etniche, sessuali e di genere.

Non so. Sarà che, essendo europeo, prendo le differenze etniche come un dato di fatto, una banalità quotidiana, e trovo assurdo pretendere che un personaggio, che ne so, slovacco in una produzione tedesca, francese, spagnola o britannica sia necessariamente interpretato da un attore slovacco. Perché dai, abbiamo quarantaquattro paesi in Europa ed è impensabile che ogni cast contenga almeno un personaggio di ciascuna etnia (senza contare le minoranze in ogni singolo paese), se no la rappresentazione non è omnicomprensiva. Anche se immaginarlo è divertente: in ogni gruppo di amici da qualche parte in Europa deve sempre esserci almeno un amico sanmarinese, uno monegasco, un andorrano e un maltese. Praticamente vivono tutti all'estero.
Insomma, questo discorso della rappresentazione è figlio della società americana, nata in un paese grande come un continente ma con una popolazione nazionalmente uniforme e divisa per strati etnici trasversali nati dal razzismo, non dall'evoluzione storica di diversi popoli. È quindi assurdo pretendere di applicare un simile modello di società a prodotti culturali che provengono da altre parti del mondo in cui le cose funzionano diversamente.

Perché una Usagi Tsukino, pallida, bionda e con grandi occhi azzurri, nella mia mente di bambino bianco italiano si è registrata come bianca. Bianca, per me, è il default – non per supremazia o razzismo, non perché reputi le altre etnie sbagliate o inferiori, semplicemente perché lo sono io e lo è stato buona parte di quelli che avevo intorno da bambino. Sono sicuro che nella mente di un bambino giapponese, in cui giapponese è il default, si sarà registrata come giapponese.
Probabilmente, è proprio questa la magia degli anime: non essendo americani, possono permettersi la sottigliezza. Possono permettersi di essere talmente stilizzati che non sono identificabili in una specifica etnia: ognuno è libero di proiettarci dentro il proprio mondo, la propria quotidianità, la propria identità. E probabilmente è proprio questo che fa sì che il prodotto non di un continente, non di una macroregione, ma di un singolo paese, con tutte le specificità che questo comporta, riesca a raggiungere tutto il mondo senza che sia difficile immedesimarcisi, che nonostante le idiosincrasie culturali del Giappone non sembri fuori posto ma, anzi, qualcosa che potrebbe far parte del mondo quotidiano di ciascuno di noi.

È triste che ci siano persone che non lo capiscono e preferiscono creare divisioni partendo da qualcosa che è stato immaginato per essere il più universale e inclusivo possibile.

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