Thursday 22 August 2019

Elizabeth Taylor

I feel like Elizabeth Taylor,
This could be a movie.
I feel like Elizabeth Taylor:
Red lips, dark hair, alone in my trailer,
Under my white shirt, heart like stone,
Wearing fake designer and pearls.

Sono figlio di una straniera. Sono anche gay.
Non avrò sperimentato cose tipo violenza fisica, ingiustizie sul posto di lavoro o in esercizi pubblici,  o altri soprusi con un impatto così radicale sulla qualità della mia vita, ma sono comunque due i fronti sui quali ho conosciuto la discriminazione. Discriminazione low-key, quotidiana, apparentemente inconsequenziale, magari buttata lì perché è l’appiglio più facile per offendermi quando “secchione” non funziona, ma che, un colpo alla volta, segna.
È per questo che prendo molto sul serio il tema, soprattutto in un momento storico in cui le minoranze, tutte, di qualsiasi tipo, sono usate sistematicamente come capro espiatorio per coltivare consenso politico in mancanza di contenuti reali.
Mi manda in bestia quando atti anche piccoli di discriminazione vengono giustificati come “uno scherzo”, “una ragazzata”, “una battuta” come se questo non li rendesse l’ennesimo colpo, per quanto piccolo, che quella persona riceve da tutta la vita. Mi manda altrettanto in bestia, però, quando la persona in questione si erge a vittima perpetua e interpreta qualsiasi cosa, per quanto scollegata, come atto di discriminazione pur di non assumersi le responsabilità degli effetti che il suo comportamento ha sugli altri.

Oggi, ad esempio, una signora sul pullman Alghero-Sassari ha passato due terzi del viaggio attaccata al telefono: lei parlava a voce altissima, gli interlocutori parlavano a voce altissima col viva voce, e dopo un po’ la cosa ha iniziato a pesare agli altri viaggiatori. Le è stato chiesto cortesemente di abbassare la voce da due passeggre: la prima l’ha ignorata, la seconda l’ha presa a voci e parolacce. Quando la Mater è intervenuta in toni neutri, ha perso la testa, si è alzata dal sedile e si è scagliata contro tutti: “tu, vecchia con la pelle cadente”, “tu con le spalle scoperte”, parolacce a non finire, un impressionante thesaurus di sinonimi di “prostituta”, voce roca dalle urla. Alla Mater non è riuscita a trovare di meglio che: “tu, con quel cappellino di Regina Elisabetta Seconda e gli occhiali da sole di Elizabeth Taylor”. Il tutto piuttosto unilateralmente, perché gli altri passeggeri, più che darle di maleducata e cafona, non hanno fatto. A una certa, l’autista ha dovuto fermare il pullman e intervenire, dicendole con una pazienza invidiabile che doveva calmarsi e tornare a sedere, e che il fatto che le fosse morto un famigliare non la autorizzava né a urlare al telefono, né a insultare i passeggeri.
A quel punto, lei inizia a puntare il dito a casaccio e urlare che siamo tutti razzisti.
E no, nessuno aveva minimamente menzionato né il suo velo, né il vestito di foggia mediorientale.

La prima cosa che ho provato è stata incredulità per essermi sentito dare del razzista. Perché se anche avessi dei pregiudizi – e sì, ne ho – li tengo per me e non li esterno, specie non ai diretti interessati. Non deve necessariamente andarmi a genio l’intera umanità: presi in generale, interi gruppi di persone possono avere “caratteri” che stridono con il mio proprio come i singoli individui; ma riconosco a ciascuno il diritto fonramentale di vivere la sua vita, fintanto che non arreca danno a me, e non intendo metterci becco con quelle che sono semplici divergenze con me. Nel concreto, l’unica discriminante su come mi rapporto al prossimo sta nelle sue azioni e opinioni: l’intolleranza la risevo a cafoni, bigotti, ipocriti, arroganti e deliberatamente ignoranti.

E infatti, superata l’incedulità, la cosa che mi ha fatto infuriare è stato proprio il fatto che la signora si sia giocata quella carta per pararsi il sedere. Perché ripeto, io faccio parte di due minoranze e ho subito discriminazioni per entrambe, so di cosa si tratta. Così come so bene che far parte di una minoranza non ti rende automaticamente una vittima se ti si muove una critica e non ti esime dal prenderti le tue responsabilità.
Lì la discriminazione è stata fatta non verso l’unica donna musulmana, ma verso l’unica persona che ha urlato al telefono per tutto il viaggio come se fosse a casa sua, ignorando gli altri passeggeri. Non è stata apostrofata sgarbatamente, ma le è stato chiesto di abbassare la voce. Perfino quando lei ha fatto precipitare la situazione nessuno, e sottolineo nessuno, ha fatto alcun commento sulla sua provenienza, il suo aspetto, o altro riconducibile alla sua etnia.
Mi fa infuriare che una cretina tenti di farsi scudo di un problema reale e tremendamente attuale perché non ha altro modo per giustificare la sua cafonaggine. Mi fa infuriare perché, pur di manipolare il discorso per non assumersi le sue responsabilità, invalida la lotta di altre persone che le discriminazioni le vedono davvero. Perché così il primo salveeneeano che passa può generalizzare e dire: “Ecco, non è vero che c’è emergenza razzismo, sono tutti piagnistei, in realtà sono critiche legittime”. Sono le cose a cui quelli che ritengono che i loro pregiudizi siano un motivo sufficiente per rovinare le vite altrui non vedono l’ora di attaccarsi: non solo non puliscono la coscienza della “vittima”, ma danneggiano l’intera sua categoria.
Quindi, ragazzi e ragazze, prima di gridare al razzismo, all’omofobia, alla misoginia, fermatevi un attimo: siete davvero gli unici stranieri / gay / donne a essere attaccati, o siete gli unici che, indipendentemente da questi aspetti, si stanno comportando in un certo modo che può essere fastidioso? Rifletteteci prima di farvi scudo a spese di noialtri.

Per quanto riguarda Elizabeth Taylor, infine, la Mater aveva addosso un vestito estivo sui toni del verde, un filo di perle di giada, un cappello a tesa larga, degli occhiali da sole e il rossetto: era semplicemente vestita bene. Il fatto che la cafona lì abbia sentito il bisogno di attaccarsi a quello non fa che confermare il mio discorso di ieri sulla cultura dell’invidia: avere un vantaggio, anche se solo percepito, è una colpa; equità è far stare tutti peggio.

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