Tuesday 7 July 2020

Talk shit, get hit

Vorrei chiarire un piccolo dettaglio che i vari bigotti e troll qualcosa-fobi sembrano aver malinterpretato: quando un millennial si triggera e dice che trova offensiva qualche sparata di dubbio gusto che discrimina qualche minoranza, non significa che gli fa venire voglia di rannicchiarsi in un angolino e piangere; significa che vorrebbe prendere il cretino per i capelli e sbattergli la faccia contro la scrivania finché il naso non gli sporge dalla nuca.
Quindi, davvero, la battuta dei piccoli fiocchi di nevi troppo sensibili per stare al mondo inizia a puzzare di rancido, visto che l’immagine mentale che i “fiocchi di neve” hanno in testa è, nella maggior parte dei casi, questo:

 
Ecco, io in questo stato d’animo mi ci sto trovando moltissimo quest’anno, e per motivi che non hanno direttamente a che fare con me. Sono arrabbiato. Di più, sono furioso. Non riesco a tollerare che la società stia regredendo a questo punto. Prima che divenisse chiaro che avrei passato almeno la prima metà dell’anno dalla Mater, mi ero già anche preparato mentalmente a vari scenari che mi sarebbero potuti capitare in viaggio verso Trieste quando impazzava la xenofobia verso i Cinesi, così da non trovarmi pietrificato e intervenire se avessi assistito a scene di prevaricazione.
Allo stesso modo, sono stato piuttosto vocale sui social media per quanto riguarda gli avvenimenti di giugno, sia le proteste contro le violenze razziste negli Stati Uniti, sia l’uscita di testa della Rowling. Non ho postato tanto quanto altri, ma il fatto è che preferisco parlare seriamente che condividere meme a casaccio. Dopo tutto, mi rendo conto di vivere in una echo chamber, circondato da persone che la pensano come me: non ho davvero bisogno di convincere nessuno né fare appello a buoni sentimenti o empatia. Al contrario, il mio obiettivo, quando posto, è fornire degli spunti di discorso a persone che la pensano già come me, così che abbiano qualche munizione per rispondere al fuoco quando si trovano a pattugliare i confini della echo chamber.

In tutto questo, una parte di me si chiede perché abbia preso così a cuore la battaglia contro la transfobia nello specifico.
Credo che dipenda dal fatto che la comunità trans è una minoranza costretta ad affrontare ancora più pregiudizi, vessazioni, microaggressioni e difficoltà sociali, economiche e legali di quanto faccia io, uomo gay ma cisgender. Non riesco a non empatizzare. Non saprò mai, a livello emotivo, cosa significhi essere trans, ma mi rendo conto a livello intellettuale che già in partenza è una difficoltà in più da affrontare, senza nemmeno considerare il macrocosmo al di fuori della persona.
E mi rendo anche conto di quanto pervasiva sia la transfobia nel quotidiano, di quanto anch’io, prima di fermarmi a riflettere, buttassi con estrema disinvoltura il termine “travione” in giro: non nel riferirmi alle persone trans, ma per descrivere un certo modo di vestire, certe caratteristiche del viso (specie femminile), la voce che mi veniva quando avevo mal di gola. Una battuta senza intenti offensivi, ma basata su un pregiudizio che oltretutto mescolava cose alquanto diverse fra loro.
Ecco, è per questo che trovo importante sostenere la causa anche se non mi coinvolge personalmente: proprio perché è stata talmente invisibile fino all’altro ieri che finivo per alimentarla senza nemmeno volerlo davvero.

Alcune cose sono più scusabili quando manca la consapevolezza, ma non per questo fanno meno male a chi le riceve. Per questo trovo importante estendere il più possibile la consapevolezza: così che chi non lo fa apposta possa smettere, e chi invece lo fa deliberatamente possa ricevere tutti i ceffoni che merita.

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