Monday, 17 August 2020

Maremma Louise Ciccone

Unpopular opinion: non sono un fan di Madonna. Le riconosco tutti i meriti del caso, ho comprato un suo CD e ci sono molte sue canzoni che mi piacciono, ma non sono uno di quei gay che venerano il pavimento su cui ha camminato. E non necessariamente perché sono invece un fan sfegatato a priori di Gaga (sto ancora aspettando che sforni qualcosa all’altezza di Born This Way, avendo rivalutato a ribasso Artpop, fondamentalmente dimenticato Joanne, e trovando Chromatica assai deludente), sebbene nella faida io stia dalla parte di Stefani. Il fatto è che Madonna ha avuto il suo picco prima che iniziassi ad ascoltare musica contemporanea e, quando l’ho conosciuta, era in quella fase di movimento per inerzia prima dell’inizio del declino.
E mi spiace per i suoi fan, ma il declino c’è stato eccome per scelta di Madona stessa. Era una di quelle cantanti che avrebbe potuto davvero essere grande dall’inizio alla fine, ma verso una certa si è persa. E il motivo è lo spunto di una riflessione che ho fatto in un commento che mi è valso il follow si Katie Noonan su Instagram.

Katie si è trovata nell’occhio del ciclone per aver osato criticare in due post il pessimo lavoro di chirurgia plastica con cui Madonna ha sostituito la sua faccia. È stata subito attaccata per questo e non necessariamente da madonnari incalliti, quanto da gente che è convinta che muovere una critica significhi automaticamente non essere solidale come donna (se non addirittura misogina), o altre scemenze del genere.
Le mie due riflessioni, rispettivamente sotto il post originale e sotto la risposta alle critiche, sono state queste:

La triste verità è che la società mette una tale pressione su ciascuno di noi che tutti finiamo per interiorizzare almeno una piccola parte ei pregiudizi contro cui lottiamo. Anzi, sono giunto alla concluzione che parte di quella lotta sia alimentata dal nostro bisogno di liberare noi stessi da quei pregiudizi latenti. E mentre inneschiamo un cambiamento intorno a noi (su vari livelli, a seconda della grandezza della nostra piattaforma pubblica), non significa automaticamente che abbiamo vinto la lotta contro noi stessi.
Madonna ha lottato come poche altre cantanti per affermare la forza delle donne e la loro liberazione da costrutti sociali oppressivi, e ha raggiunto l’impossibile. Ma temo che abbia interiorizzato il pregiudizio che le donne giovani sono forti, e nell’ultimo decennio e più si è sbracciata per dimostrare che è ancora giovane e figa, sia a livello d’immagine che musicalmente, invece di accettare il nuovo potere che arriva con l’età.
Sono d’accordo, l’industria dei media discrimina senza pietà in base all’età, specialmente le donne, ma far finta che il tempo non stia passando è il contrario di una lotta contro questo sistema, significa abbracciarlo e ottenerne in cambio un ginocchio rotto e una faccia irriconoscibile.
 
Onestamente, criticare non equivale a odiare. Quindi no, esprimere perplessità per la faccia alterata di Madonna non significa essere misogini.
Tutti hanno il diritto ad autorealizzarsi, e questo include la chirurgia estetica, se ce n’è bisogno. Ma nel caso specifico di Madonna, fingere che sia questo che sta succedendo, che la sua “nuova faccia” sia nata da un luogo di empowerment e di cura di sé è ingenuo, se non sleale. È la punta di un iceberg decennale di negazione del suo invecchiamento che ha avuto conseguenze sulla sua vita artistica, con album che seguono la moda per cercare di essere giovani e hip a tutti i costi, e sulla sua salute. Stiamo parlando di una persona costretta da più di mezz’anno a camminare con le stampelle perché ha preteso troppo dal suo corpo.
Tutto ciò è il prodotto di una società che pretende che le donne siano sovrumane per stabilire il proprio valore, specialmente quando invecchiano. Sottolinearlo non è misogino – anzi, l’ora di farlo è passata già da mo’. La chirurgia estetica, perdere peso, mettere su muscoli, depilarsi, tingersi i capelli – nulla di tutto ciò è un male, di per sé. Ma solo finché sono parte del processo di autorealizzazione di ciascuno di noi, del viaggio per sentirsi al meglio, e non qualcosa che si fa cedendo alla pressione sociale. Denunciare questa pressione è il primo passo per rimuovere quel retrogusto amaro di molte di queste pratiche.

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