Tuesday, 13 October 2009

Narciso e Boccadoro (parte 2)

Come si può facilmente indovinare dal fatto che ieri notte sono corso ad accendere il computer alle quattro del mattino travolto dall’angoscia dell’età per scrivere un post che era stato precedentemente inviato via sms ad un paio di persone, ieri, mentre viaggiavo in treno e durante l’attesa all’aeroporto, ho finito di leggere Narciso e Boccadoro di Hesse.

Nel suo complesso, il libro mi è piaciuto. Molte soluzioni narrative le immaginavo sin dall’inizio (la peste, il fatto che Boccadoro sarebbe tornato prima o poi al convento di Mariabronn), altre le ho indovinate man mano che la storia procedeva (che Boccadoro sarebbe stato salvato da morte certa da Narciso) ma, nonostante ciò, l’intreccio è riuscito a mantenere vivo il mio interesse: l’unico motivo per cui, di tanto in tanto, interrompevo la lettura era la paura di come sarebbe andato a finire. L’unica cosa che mi ha davvero colto di sorpresa è stato il colpo di scena finale. E no, non in positivo: se non fosse per Narciso, che finalmente acquista spessore diventando un personaggio vero e non solo un accessorio letterario, e per un quote che è la fine del mondo, sarei tentato di eliminare fisicamente gli ultimi due capitoli del libro.
Ero preparato al peggio, circa la sorte di Boccadoro: ero preparato a vederlo invecchiato e imbruttito, pronto a subire le conseguenze degli stravizi, ma Hesse ha saputo superare le mie aspettative più nere. La conclusione mi ha lasciato un tale amaro in bocca che credo che la rilettura, che comunque ci sarà, non avverrà tanto presto: devo avere il tempo di elaborarlo.

Il problema è che,
quando Hesse decide di toglierlo di mezzo e concludere il racconto, Boccadoro non ha ancora esaurito la sua funzione di personaggio. Per riprendere il paragone del post precedente, non è un Dorian Gray che ha provato e vissuto qualunque cosa, esaurendo la vita, si esaurisce lui stesso come personaggio. Boccadoro è ancora nel pieno della sua vita, ha appena iniziato a scoprire la maturità, a rimettere le esperienze in prospettiva, a trarne saggezza e trovarne un senso a tutto, a portare in atto la sua vera vocazione al mondo quando bam, il narratore, con una svolta assolutamente superflua e gratuita, decide di cambiarlo radicalmente sia nella psiche che nel fisico, il tutto alle nostre spalle, mentre si occupa invece di Narciso (per la prima volta dall’inizio del racconto, in pratica). Toglie di mezzo lo scopo della vita di Boccadoro (rappresentare artisticamente la Madre-Eva) con un artificio di dubbia coerenza (lei “non vuole” farsi rappresentare) e decide di spegnerlo così, da un momento all’altro, senza dargli una conclusione degna del tempo passato insieme. Sinceramente, credo che i lettori restino ancora più disorientati per la sua morte che non il povero Narciso. L’impressione è che Hesse non sia un pessimista, o un nichilista, ma semplicemente pigro: si era stancato di scrivere la storia, così Boccadoro è caduto, si è fatto male e, in punto di morte, ha deciso che va bene così, pari e patta.

E ribadisco, fino al terzultimo capitolo, il libro mi è piaciuto davvero, per cui la cosa è ancora più frustrante: avrei accettato il finale triste o agrodolce, purché avesse avuto senso narrativo; così è solo un bel libro con un finale pigro.

Vabbè, nel frattempo ho iniziato a rilassarmi con À Rebours di Huysmans (un po’ distrattamente, dato che in aeroporto c’era un olandese di una figaggine unica, e che dunque prestavo molta più attenzione a lui), ma non so se riuscirò a trovare il tempo per leggerlo seriamente qui a casa della Mater. Almeno qui so che non c’è un vero e proprio intreccio e non rischio di rimanerci male.

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