Probabilmente dipende da abitudini che sono radicate in me sin dall’infanzia, ma trovo che fra tutti i lessemi della lingua italiana, il verbo scopare sia senza dubbio il più inutile, in tutte le sue accezioni: col significato di passare la scopa, è inutile perché non serve a pulire, ma semplicemente a sollevare polvere in aria e rendere il pavimento meno sporco fino a che questa non vi si deposita nuovamente pochi minuti dopo, a differenza di passare l’aspirapolvere, che libera davvero dai piccoli batuffoli asmiferi; col significato di infilare un pene nel primo orifizio a disposizione in maniera totalmente fine a se stessa, invece, è inutile perché si tratta di un atto faticoso che, spogliato della componente emotiva e psicologica, è anche abbastanza ridicolo nella sua essenza primaria e non conduce ad altro se non a spossatezza che spesso non viene nemmeno preceduta da un orgasmo che possa fregiarsi di tal nome, a differenza di fare sesso o l’amore, che implicano per lo meno un certo grado di complicità e intimità che rendono il tutto più coinvolgente a livello psicologico (e, si sa, nell’atto erotico la componente psicologica riveste un ruolo di pari importanza rispetto a quella fisica). Si ringrazia per queste consapevolezze la Mater, che mi ha abituato sin da piccolo ad avere un rumoroso ma efficiente aspirapolvere Electrolux in casa, e che senza nascondersi dietro il becco della cicogna o la foglia del cavolfiore mi ha spiegato sin da subito a grandi linee che fare l’amore è una cosa bella e non da consumare il più in fretta o spesso possibile.
Ciò detto, il fatto che in Italia l’ignoranza dilaghi non è certo un mistero (trovatemi un solo altro Paese situato sopra il trentasettesimo parallelo dove nelle stazioni ferroviarie sono necessari cartelli pubblicitari della lettura), ma la grossolana incompetenza nel settore commerciale mi lascia tutt’ora perplesso. Cioè, se si va in un negozio di scarpe, la commessa di turno non ha problemi a distinguere i vari modelli e consigliare il più adatto, e in una profumeria è addirittura lei che ti dice se il correttore che si adatta alla tua carnagione è Deborah n°1 o n°2, e quale matita per gli occhi è più o meno morbida. Come minimo, ci si aspetterebbe una simile professionalità anche in una libreria. Ebbene, l’altro ieri mi è capitata la seguente scena alla Feltrinelli:
Entro con due amici, acchiappo la ragazza e faccio: “Salve. Starei cercando À Rebours di Huysmans. Lo avete, per caso?”
Lei mi guarda con gli occhi sgranati: “Cosa?”
Dando la colpa alla mia pronuncia francese piuttosto arrugginita, sorrido con finto imbarazzo e riprovo: “À Rebours… in italiano Controcorrente, di Huysmans.”
Mi guarda ancora: “Cos’è, un fumetto?”
Sbatto le palpebre, e non ho idea dell’espressione che faccio. “…”
Lei guarda a destra, poi a sinistra, poi propone con voce tremante: “Andiamo a vedere nel terminale? Me lo detti lettera per lettera?”
Respiro profondo. “Acca. U. Ypsilon. Esse. Emme. A. Enne. Esse.”
Digita. “Aaaah! È nella narrativa sotto la H!” Mentre mi accompagna mi rivolge uno sguardo timido, e in tono mortificato aggiunge: “Sono un po’ ignorante...”
Un po’? Ma almeno il liceo l’hai finito? Ma soprattutto: in queste condizioni lavori in libreria? Vergogna, non conosci nemmeno ciò che vendi! A questo punto si potrebbe pensare che la sua umiliazione fosse finita: niente affatto.
Si avvicina infatti una signora: “Scusi signorina, per caso avete Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde?”
Mentre vedo il panico dipingersi negli occhi della commessa, il mio braccio sinistro scatta in automatico, sollevandosi con l’indice puntato verso il libro in questione, che avevo notato per l’autoritratto di Dante Gabriel Rossetti (di cui sotto) in copertina.
“Oh, l’hai trovato subito! Potresti lavorare al mio posto!”
Sorrido con sarcasmo: “Ho un radar innato per Oscar Wilde. E avevo notato il disegno di Rossetti in copertina.”
Lei accenna un sorriso timido: “Ah. Perché, ti piace Uaild?”
La mia testa cita il: “Signorina, non aggravi ulteriormente la sua posizione” della prof di traduzione inglese, ma mi limito a sospirare e soprassedere. Del resto, stavolta la colpa e mia, avevo dimenticato che non era in grado di collegare Huysmans a Wilde. Figurarsi a Rossetti. Vado alla cassa, pago, raccatto gli amici ed esco dal negozio con il libro e una certa sconsolatezza.
Ora, parliamone: sono abituato a vedermi rivolgere sguardi imbarazzati quando entro nei negozi di musica (cosa che capita solo in Italia, peraltro), ora devo aspettarmeli pure in libreria? I primi posso giustificarli, ascolto un genere di nicchia, ma per il resto? Può l’incompetenza non avere limiti? Lucifero, brucia la cretina fra le fiamme dell’inferno e vieni a consolarmi con un bacio!
Ciò detto, il fatto che in Italia l’ignoranza dilaghi non è certo un mistero (trovatemi un solo altro Paese situato sopra il trentasettesimo parallelo dove nelle stazioni ferroviarie sono necessari cartelli pubblicitari della lettura), ma la grossolana incompetenza nel settore commerciale mi lascia tutt’ora perplesso. Cioè, se si va in un negozio di scarpe, la commessa di turno non ha problemi a distinguere i vari modelli e consigliare il più adatto, e in una profumeria è addirittura lei che ti dice se il correttore che si adatta alla tua carnagione è Deborah n°1 o n°2, e quale matita per gli occhi è più o meno morbida. Come minimo, ci si aspetterebbe una simile professionalità anche in una libreria. Ebbene, l’altro ieri mi è capitata la seguente scena alla Feltrinelli:
Entro con due amici, acchiappo la ragazza e faccio: “Salve. Starei cercando À Rebours di Huysmans. Lo avete, per caso?”
Lei mi guarda con gli occhi sgranati: “Cosa?”
Dando la colpa alla mia pronuncia francese piuttosto arrugginita, sorrido con finto imbarazzo e riprovo: “À Rebours… in italiano Controcorrente, di Huysmans.”
Mi guarda ancora: “Cos’è, un fumetto?”
Sbatto le palpebre, e non ho idea dell’espressione che faccio. “…”
Lei guarda a destra, poi a sinistra, poi propone con voce tremante: “Andiamo a vedere nel terminale? Me lo detti lettera per lettera?”
Respiro profondo. “Acca. U. Ypsilon. Esse. Emme. A. Enne. Esse.”
Digita. “Aaaah! È nella narrativa sotto la H!” Mentre mi accompagna mi rivolge uno sguardo timido, e in tono mortificato aggiunge: “Sono un po’ ignorante...”
Un po’? Ma almeno il liceo l’hai finito? Ma soprattutto: in queste condizioni lavori in libreria? Vergogna, non conosci nemmeno ciò che vendi! A questo punto si potrebbe pensare che la sua umiliazione fosse finita: niente affatto.
Si avvicina infatti una signora: “Scusi signorina, per caso avete Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde?”
Mentre vedo il panico dipingersi negli occhi della commessa, il mio braccio sinistro scatta in automatico, sollevandosi con l’indice puntato verso il libro in questione, che avevo notato per l’autoritratto di Dante Gabriel Rossetti (di cui sotto) in copertina.
“Oh, l’hai trovato subito! Potresti lavorare al mio posto!”
Sorrido con sarcasmo: “Ho un radar innato per Oscar Wilde. E avevo notato il disegno di Rossetti in copertina.”
Lei accenna un sorriso timido: “Ah. Perché, ti piace Uaild?”
La mia testa cita il: “Signorina, non aggravi ulteriormente la sua posizione” della prof di traduzione inglese, ma mi limito a sospirare e soprassedere. Del resto, stavolta la colpa e mia, avevo dimenticato che non era in grado di collegare Huysmans a Wilde. Figurarsi a Rossetti. Vado alla cassa, pago, raccatto gli amici ed esco dal negozio con il libro e una certa sconsolatezza.
Ora, parliamone: sono abituato a vedermi rivolgere sguardi imbarazzati quando entro nei negozi di musica (cosa che capita solo in Italia, peraltro), ora devo aspettarmeli pure in libreria? I primi posso giustificarli, ascolto un genere di nicchia, ma per il resto? Può l’incompetenza non avere limiti? Lucifero, brucia la cretina fra le fiamme dell’inferno e vieni a consolarmi con un bacio!
(Ps: seriamente: ma quanto era bello quest’uomo?)
Mi sfugge il senso della filippica iniziale, sinceramente XD
ReplyDeleteEra giornata di pulizie in camera mia, cara, tutto qui. XD
ReplyDeleteAnche a me capita di vivere situazioni del genere, in libreria... ora, forse, sono io che ho troppe pretese, ma... a quanto pare, la cultura sta diventando un optional...
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