Saturday 4 January 2014

2013 musica e dintorni: il piedistallo

E dopo il cassonetto e il limbo, parliamo del piedistallo.
Questo 2013 che si è appena concluso è stato l’anno in cui la mia tavola periodica della musica si è ribaltata in favore dei non-metalli, con giusto qualche semimetallo nel mezzo, e ha visto un mucchio di uscite in ambito pop, chamber pop, indie pop, synthpop e via discorrendo. Un sacco di conferme da artisti già notoriamente validi, un mucchio di debutti validissimi, alcuni sorprendenti salvataggi di carriere già date per morte (Sirenia, anyone?). E poi, in programma per il 2014 ma avvenuti nel 2013, tre come back di tutto rispetto: Kari Rueslåtten, che ha un nuovo album solista praticamente fatto e finito in uscita a breve; Vibeke Stene, che ha causato un’isteria di massa annunciando una collaborazione con dei tizi extreme metal (tali God of Atheists) e successivamente un album solista; i The Crest, di Kristian e Nell Sigland che sono tornati a fare prove assieme nel week end, speriamo che ne esca fuori qualcosa di buono. Per il resto, sono stati dodici mesi intensissimi, per cui prendetevi un bel tè bollente, che c’è moooooolto da ricapitolare.

The Disappearance Of The GirlPhildel
The Disappearance Of The Girl – Phildel
La rivelazione assoluta del 2013. Un talento genuino e completo che ne ha dovute superare tante, ma ne è uscito fortificato. Cresciuta con un patrigno integralista religioso che ha vietato la musica in casa, Phildel ha imparato a trasformare i suoni in immagini mentali per creare musica, ed è proprio ciò che fa nell’ascoltatore col suo album: ogni canzone evoca immagini e emozioni, sostenute dalla sua maestria al pianoforte e dalla voce eterea ed espressiva. Essendo cresciuta con enormi buchi nella cultura musicale, è rimasta incontaminata e difficilmente etichettabile, fa musica raffinata che non conosce le limitazioni di un genere specifico e, proprio per questo, porta con sé una genuinità rara che fa da coesione alle varie influenze che caratterizzano il cd. Si passa da momenti intimi e delicati con solo piano e voce, ad altri più stratificati in cui le emozioni sono accompagnate da bellissimi archi, fino a canzoni più dark spennellate di elettronica, un diario che documenta momenti bui e allegri, malinconici e furiosi, dalla scoperta dell’amore alla paura di non saper più vivere, al rendere pan per focaccia al patrigno talebano. Se c’è un album in cui tutti ci possiamo rispecchiare, che si può ascoltare per trovare la catarsi, è questo.
Preferite: Afraid Of The Dark, Moonsea, The Wolf, Holes In Your Coffin, Switchblade... TUTTE!

ExileHurts
Exile – Hurts
Gli Hurts hanno fatto il botto con un solo album e sono diventati davvero grandi in poco tempo. Ciononostante, non si sono bloccati, non hanno deciso di riciclarsi per ripetere il colpaccio, ma sono andati avanti e hanno sperimentato con il sound per tirare fuori qualcosa che, pur rispettando la loro vena, è diverso. Exile è uno dei casi in cui la copertina rappresenta perfettamente il disco: oscura e patinata, ma estremamente elegante. Ed il sound è così: al synthpop d’alto bordo tipico del duo si aggiungono ammiccamenti industrial, accenni rock, qualche episodio dance più spinto che però sarebbe perfetto solo in club sofisticati e di alto profilo. Le canzoni sono strutturate per massimizzare la resa dal vivo ma hanno vitalità anche su disco, e la varietà degli arrangiamenti lo rende un disco longevo che ha qualcosa di nuovo da far scoprire anche a distanza di mesi.
Preferite: The Road, Cupid, Only You

IsomorphineLeandra
Isomorphine – Leandra
Beh, tutto mi sarei aspettato tranne che Leandra tirasse fuori il miglior album dance dell’anno. Dopo un Metamorphine dai forti accenti classicheggianti alternati a episodi spiccatamente darkwave, siamo passati ad un synthpop davvero ben fatto, più orecchiabile ma senza perdere in classe e sofisticatezza, pur con varie reminescenze del passato che fanno sì che l’identità di Leandra non vada persa. Gli arrangiamenti creano spesso dei contrasti intriganti, con brani allegri e ballabili cantati con una vena malinconica e quasi rassegnata, alternati ad pezzi più oscuri e introspettivi in cui invece sono le vocals a dare l’energia. Altra cosa che ho apprezzato è il fatto che, sebbene Leandra sia una virtuosa del pianoforte, non l’abbia infilato per forza in ogni singola canzone tanto per mostrare la sua bravura, ma l’ha usato con più parsimonia e solo dove necessario, creando una bella sobrietà di fondo: solo perché si ha un notevole talento in un certo campo, non bisogna sbandierarlo a tutti i costi. È una lezione che tanti suoi colleghi dovrebbero imparare.
Preferite: Calling, Grace, The Narcissist Song

The Glass GhostPhildel
The Glass Ghost – Phildel
Doppietta per Phildel, che in meno di un anno dal full length è riuscita a tirare fuori una perla di EP che mostra già un’evoluzione nel sound: sempre accessibile, ma addirittura più intimo, fragile ed etereo. Decisamente perfetto come release a tema invernale, con un piano che ricorda davvero lo scintillio della neve al sole. Peccato che siano solo cinque canzoni di cui una è un’intro (più un remix che meh, conta fino a un certo punto), perché finisce in un baleno ed è talmente bello che non basta mai.
Preferite: The Glass Ghost, Celestial, Comfort Me

The Q-Music SessionsWithin Temptation
The Q-Music Sessions – Within Temptation
Omioddio i Within Temptation sono diventati commercialiiii!!!1!uno!! Cazzate, perché per essere davvero commerciali nel genere che suonano dovrebbero semplicemente continuare a copiare le stesse cose del 2003 come fanno molti loro colleghi rinomati, e non lasciar spazio all’evoluzione. Quest’album è una raccolta di cover che sono state suonate un po’ come divertissement in attesa del quindicesimo anniversario, ma sono fatte davvero bene. Completamente riarrangiate, trasformate in canzoni dei Within Temptation ma senza ammiccare spudoratamente al passato, e nell’80% dei casi molto migliori degli originali. Peccato che nel disco ne manchino quattro (qualche hipster stronzo non ha dato i diritti), ma nel complesso è un album che grida “repeat” non appena finisce.
Preferite: Apologize, Behind Blue Eyes, Crazy

Too Weird To Live, Too Rare To Die!Panic! At The Disco
Too Weird To Live, Too Rare To Die! – Panic! At The Disco
Premesso che a me i Panic! piacciono in tutte le salse ma ho una certa preferenza per i lavori che hanno fatto dopo lo split, l’ho trovato il loro miglior album di sempre. O comunque, di sicuro il mio preferito. Non c’è un singolo brano che non mi piaccia, tutti presentano qualche particolarità o svolta inaspettata, una struttura che fa crescere progressivamente la tensione, un climax che la risolve senza lasciare l’amaro in bocca. E c’è anche una discreta varietà di arrangiamenti che mantiene però una coesione di fondo, per cui è un album che non annoia ma non risulta dispersivo. È come la copertina: un monocromo nel quale si agita del fumo di mille colori. E ovviamente, la deriva synth mi ha mandato in delirio.
Preferite: Casual Affair, Far Too Young To Die, Girl That You Love

Tales Of UsGoldfrapp
Tales Of Us – Goldfrapp
Premessa: mi sto affacciando giusto ora all’universo Goldfrapp, per cui conosco approfonditamente solo quest’album e non saprei come giudicarlo in prospettiva. So che i loro lavori precedenti erano molto più elettronici, e che questo disco è una specie di cambio di direzione per loro, ma dal punto di vista evolutivo non saprei dire se in meglio o come. Di per sé, Tales Of Us è un album di rara sofisticatezza dal sapore intimo e malinconico, perfetto per quei pomeriggi piovosi in cui ci si chiude in casa con una tazza di tè caldo sotto il piumone. E chi conosce i miei gusti sa quanto è difficile farmi contento con solo un pianoforte e una chitarra (e dei magnifici archi, in questo caso). Le lyrics sono molto intime e “impressioniste”, nel senso che raccontano con lievità e discrezione, in poche frasi evocative, una serie di storie nelle quali un po’ tutti possiamo rispecchiarci. Un paio sembrano scritte apposta per me. Il che rende il titolo assolutamente perfetto, la ciliegina sulla torta.
Preferite: Stranger, Drew, Annabel

The Golden AgeWoodkid
The Golden Age – Woodkid
Avevo sentito parlare di lui già da un po’, avevo visto e apprezzato il video di Run Boy Run, ma è stato quest’estate che con il video (e soprattutto la canzone) di I Love You è sbocciato l’ammoreh. L’album guadagna punti già per il fatto di essere un concept album per una volta riuscito alla perfezione: c’è una storia di fondo, la narrazione è ben sviluppata di canzone in canzone, non ci sono filler (quante volte si parte con l’idea di un concept album, ci si trova con idee solo per un EP e si allunga la minestra per tentare di far quadrare i conti, Liv’s Ass?), non ci sono canzoni davvero brutte o insipide. Poi, personalmente, in queste lyrics mi ci trovo tantissimo. L’unico vero difetto di Woodkid è essere amyketto di Lagna, che chiamiamo in causa perché, come tipo di arrangiamenti, costituisce un ottimo punto di paragone: mentre i suoi sono ridondanti e plasticosi, quelli di Woodkid, sebbene siano più abbondanti, a tratti quasi barocca, sono dosati con maestria e risultano funzionali e ben amalgamati nella struttura delle canzoni, le quali sono realmente pregevoli e complesse. Per fare un esempio, i legni in Conquest of Spaces che evocano il volo, gli ottoni in The Golden Age che danno energia al brano senza soffocarlo, i fiati e gli archi di I Love You inseriti magistralmente in progressione proprio nel punto di massima emotività della canzone e danno vita a un crescendo che si risolve in un climax fortissimo. Ecco, questo è un arrangiamento che, pur magniloquente, comunica davvero qualcosa e non si limita a coprire un buco di idee.
Preferite: I Love You, Conquest Of Spaces, The Golden Age

AfterwordsThe Gathering
Afterwords – The Gathering
Chiariamo subito una cosa: Afterwords va preso per l’ep di accompagnamento a Disclosure che è. Né più, né meno, non bisogna prenderlo come un nuovo album di inediti indicativo della loro nuova direzione. Ciò detto, è il perfetto “Disclosure afterparty” come la stessa band l’ha definito: un’ottima raccolta di rivisitazioni dei brani dell’album in versione ambient con riferimenti etnici e orientaleggianti, inframmezzati con inediti sfiziosi. Silje è sempre più a suo agio e perfetta, magnificamente eterea nelle tracce più ambient, ma la vera sorpresa del disco è Bart Smits: ve lo ricordate il growler scaciotto di Always…? Ecco, proprio lui ci fa un’ottima performance in pulito, dal tono avvolgente e caldo per brividi garantiti (fra l’altro ha scritto sempre ottimi testi, e non fa eccezione nemmeno stavolta).
Preferite: Bärenfels (rivisitazione di Heroes for Ghosts), Afterwords

BeyoncéBeyoncé
Beyoncé – Beyoncé
È proprio il caso di dirlo: Beyonciona trollona. Già merita un Applause per come l’ha fatto uscire, snap!, uno schiocco di dita una notte e l’ha buttato su iTunes senza dire nulla a nessuno mentre per tutto l’anno ci si chiedeva che fine avesse fatto. In più, è decisamente inusuale per essere un album pop: musica molto soffusa, a tratti minimale, a tratti lounge, pochissimo ballabile ma estremamente sofisticata anche nei suoi episodi più hip-hop e testualmente espliciti. E diciamolo, forse questo Beyoncé (tutto maiuscolo, ma sticazzi) è un self-titled perché c’è tanto di Beyoncé anche a livello testuale: tanto sesso raccontato con naturalezza accanto ad appassionate ballate dedicate alla figlia, e tematiche di empowerment e di rifiuto degli stereotipi sociali femminili che, ultimamente, c’è purtroppo sempre più bisogno di ribadire. Bisogna ascoltarlo con attenzione perché è un susseguirsi di sfumature che è facile non notare, ma è tutt’altro che una release insipida, molto diverso da ciò che le colleghe di Bey, e lei stessa, hanno tirato fuori.
Preferite: Pretty Hurts, Blue, Haunted

ArtpopLady Gaga
Artpop – Lady Gaga
Ecco, Gaga l’Applause se lo merita di meno, ma comunque nessuno glielo toglie. Non è il capolavoro che pensava/sperava di dare alle stampe, ma Artpop (anche lui tutto maiuscolo, anche lui sticazzi) è un signor album. Pop per lo più molto sofisticato (giusto un paio di episodi sciatti), lyrics come sempre molto intelligenti e con più di una chiave di lettura, varietà di arrangiamenti. Peccato che Swine, la highlight dell’iTune Festival, sia stata trasformata in salsicce, ma canzoni come Aura, Artpop, Gypsy e Mary Jane Holland costituiscono picchi di eccellenza intorno a ottimi episodi come Venus, G.U.Y., Do What U Want o Dope. Bisogna masticarlo a lungo per scoprire i suoi sapori più segreti – molte canzoni che all’inizio passano inosservate con gli ascolti diventano bellissime – ma è un album solido e, forse proprio per questo, longevo, solo un gradino sotto il suo predecessore.
Preferite: Artpop, Mary Jane Holland, Aura

Only TeardropsEmmelie De Forest
Only Teardrops – Emmelie De Forest
Cosa c’è da dire se non che l’Italia per l’Eurovision esporta Marco Mengoni, mentre la Danimarca sbaraglia tutti con l’electro-folk orecchiabile ma sofisticato e la magnifica voce di Emmelie? Ecco come fare pop senza risultare scontati e melensi né indie a tutti i costi. Una vittoria più che meritata con la title track, e l’album contiene canzoni anche migliori, dalle reminescenze dance di Hunter And Prey e Change, passando per il pop acustico di Force Of Nature e l’ecletismo di Beat The Speed Of Sound e Let It Fall. Un album fresco e vario che dimostra come il Nord Europa abbia sempre un palato sofisticato.
Preferite: Let It Fall, Beat The Speed Of Sound, Only Teardrops

InterludeDelain
Interlude – Delain
La prima puntualizzazione da fare è che, similmente ad Afterwords, Interlude è proprio ciò che il titolo afferma: un interludio, un EP un po’ cresciuto che serve ad accompagnare il precedente We Are The Others. Fatta questa doverosa premessa, si tratta di un buon disco con due inediti di tutto rispetto, una raccolta di cover fra cui una magnifica Cordell, un paio di versioni alternative di brani dell’album (notevole la ballad version di We Are The Others). Oh, e alcune canzoni live che aggiungono notevole valore al tutto, visto che i Delain dal vivo hanno una resa spettacolare.
Preferite: Not Enough (live), Collars & Suits

UniversalAnathema
Universal – Anathema
Vabbé, mettete un’orchestra agli Anathema e vi tirano fuori un capolavoro per forza di cose. La tracklist mi ha lasciato forse un po’ deluso (si sente la mancanza di The Gathering Of The Clouds e The Lost Child, mentre di Deep e del medley Emotional Winter / Wings Of God avrei fatto volentieri a meno), ma le canzoni eseguite sono spettacolari, specie perché c’è comunque tanto da Weather Systems e We’re Here Because We’re Here. Vincent Cavanagh si comporta relativamente bene per i suoi standard e appare affaticato solo verso la seconda parte dello show (quella con le canzoni che meno mi interessano, in ogni caso), mentre Lee Douglas è semplicemente divina. Oh, e c’è la migliore A Natural Disaster mai eseguita, quanto ci incappo parte il repeat per ore.
Preferite: A Natural Disaster, Untouchable, Part 1, Untouchable, Part 2.

Shut Us DownFreddie Dickson
Shut Us Down – Freddie Dickson
EP di 4 tracce che mostra il lato più godibile dell’indie pop depresso. Forse perché è musica genuina e non pop da quattro soldi riarrangiato con pretenziosità (vero Lagna, a cui molti paragonano questa release?), forse perché il songwriting è davvero interessante e arrangiato con una vena minimalista, e non buttato lì e poi riempito di effetti e archi. La title track merita tantissimo, e c’è da aggiungere anche Minimal Love, traccia sfusa ma davvero bella pubblicata nel corso dell’anno. Questo ragazzo è davvero da tenere d’occhio.
Preferite: Shut Us Down, Minimal Love

Perils Of The Deep BlueSirenia
Perils Of The Deep Blue – Sirenia
Le premesse erano assolutamente apocalittiche. Un album precedente che definire disastroso sarebbe un eufemismo; un genere trito e ritrito in cui ormai tutto è stato detto e fatto; la proverbiale incapacità innovativa di Morten; un titolo che più scontato non si può, per una band che si chiama Sirenia e martella con temi marinareschi da almeno un decennio. Eppure, sorpresa! Pur non essendo l’album dell’anno e non portando chissà che ventata di innovazione al genere o al sound della band, Perils Of The Deep Blue è strutturato abbastanza bene da riproporre i soliti vecchi temi e motivi in maniera insolitamente fresca e godibile. Ottimi sia gli episodi più pop (Ditt Endelikt), sia la classica canzone lunga e deprimente (Stille Kom Døden). Menzione speciale per Ailyn che si è fatta un mazzo tanto per studiare e migliorare vocalmente, con degli ottimi risultati.
Preferite: Stille Kom Døden, Ditt Endelikt

In ConcertDead Can Dance
In Concert – Dead Can Dance
Un live die Dead Can Dance è un’esperienza da fare assolutamente prima di morire per ogni fan del gruppo. Per questo, un live album dal loro ultimo tour è un’uscita di tutto pregio: non solo l’intero, ottimo Anastasis è suonato live (e senza cretini che ci parlottano sopra), ma la band ripropone anche alcuni classici con una profondità emotiva ancora maggiore che in passato. Provare The Host Of Seraphim per credere. C’è qualche pecca in un paio di brani suonati un po’ di corsa (anche se non quanto a Padova con la Galoppata Of The She-King), ma in molti altri la sessione ritmica ci ha guadagnato tanto che mi viene voglia di fare danza orientale sulla sedia mentre lo si ascolta!
Preferite: Opium, The Ubiquitous Mr. Lovegroove, The Host Of Seraphim

DriveAnneke Van Giersbergen
Drive – Anneke Van Giersbergen
Magari non è entusiasmante quanto il precedente, ma pochi dubbi sul fatto che Drive sia un disco molto piacevole pur nella sua brevità. Il problema principale è che mancano episodi davvero memorabili che possano essere annoverati fra i “classici” di Mamma Anneke, ma pressoché ogni canzone ha il pregio di essere ben strutturata, non monotona né prolissa, e non perdersi in un bicchiere d’acqua. Fra l’altro, sono tutte canzoni che dal vivo hanno un’energia incredibile e coinvolgono volenti o nolenti, provare per credere. Pur non essendo memorabile, resta comunque un bell’album che si ascolta molto volentieri.
Preferite: Shooting For The Stars, Drive

MatangiM.I.A.
Matangi – M.I.A.
Fatta la doverosa premessa che M.I.A. è per un pubblico ristretto, e non per questioni hipster ma proprio perché riesce ad essere più alternativa del 90% del metal messo assieme, ho avvicinato l’album con un po’ di scetticismo sul riuscire a digerirla ma alla fine ce l’ho fatta. Alcune canzoni richiedono ancora un po’ di lavoro, ma ci sono piccoli capolavori come Exodus, la gemella Sexodus e Know It Ain’t Right, cafonate adorabili come Come Walk With Me, Y.A.L.A. e la title track, frecciate a Gaga e Madonna lanciate con una nonchalance ammirevole e, ovviamente, la mia zarrata preferita ora e sempre nei secoli dei secoli, ovvero Bad Girls. Come si fa a resistere a Bad Girls?
Preferite: Bad Girls, Exodus, Sexodus

KveikurSigur Rós
Kveikur – Sigur Rós
Dopo aver sviscerato tutto lo sviscerabile del loro post-rock etereo, i Sigur Rós, complice l’abbandono del tastierista (e principale arrangiatore di sviolinate e parti orchestrali), hanno deciso di cambiare rotta il tanto da rinnovare il loro sound senza perdere il loro trademark. Ammetto che loro li ho sempre dovuti assumere a piccole dosi perché sulla lunga fanno musica troppo “diluita” per i miei standard, ma questo Kveikur “concentra” il suono e aggiunge un po’ di elettronica con un risultato fortemente additive.
Preferite: Isjaki, Brennstein


E questo è tutto per un 2013 ricchissimo (non conto le mie scoperte pregresse, uscite negli anni passati, tipo Roniit, i The xx, iamamiwhoami), con pochi punti oscuri, per lo più nel metal. È stato decisamente l’anno del pop di varia natura, e la cosa non è nemmeno un male: allontanarsi dai cliché e dall’esclusività di un genere o dell’altro è indice di attività cerebrale.

Le aspettative per il 2014 includono: i The Crest che sono trornati in vita, speriamo bene! Hydra dei Within Temptation; Kari Rueslåtten, FINALMENTE; Santa Vibeke da Sokndal con i suoi metallarozzi, e speriamo presto anche solista; l’album degli Stream of Passion; I DAMA (capito, Barbara?!); TQE degli Epica; Shine di Anette Olzon, finalmente libera dalle stronzate della Tommasina; magari gli Autumn, se tornano in vita – mi accontenterei anche di una data per il 2015; e i Vetrar Draugurinn, sempre con la Marjan.

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