Il mondo è bello perché è avariato (torniamo sempre lì, prima o poi), e poche cose lo evidenziano come l’uscita di un nuovo album dei Within Temptation. Specie se ci si fa un giro sul loro shoutbox di last.fm.
Riassunto delle puntate precedenti.
I Within Temptation si formano nel 1995 come band gothic metal à la Theatre of Tragedy (dell’epoca), con canzoni lunghe e lente, pesanti chitarre che sostengono testiere dal gusto clasicheggiante, e voce femminile trademark che si contrappone al growl maschile. È questo il genere di Enter (1997), un gran debutto e album tutt’ora ottimo nonostante una produzione ai limiti del ridicolo che non ha propriamente valorizzato il lavoro della band, seguito dal simile EP The Dance (1998).
Il 2000 vede l’uscita di Mother Earth, un netto cambio di rotta che alleggerisce il sound trasformandolo in quello che, giusto all’epoca, si stava definendo come symphonic metal, più veloce del gothic, arricchito di parti orchestrali e corali ancora più magniloquenti; alcune composizioni sono ancora un po’ acerbe e sovrabbondanti, alcuni storcono il naso perché i growl spariscono del tutto, ma le notevoli influenze celtiche rendono il lavoro fresco, innovativo e molto personale, diverso da buona parte dei (pochissimi, all’epoca) colleghi. Il successo inizia finalmente ad arrivare.
Nel 2004 esce The Silent Force, che pur non mutando radicalmente il sound lo epura di buona parte degli eccessi, rendendolo più essenziale e sobrio. Alcuni storcono il naso perché le influenze celtiche sono per lo più scomparse, ma il lavoro esplora pienamente i territori del symphonic metal più puro regalando quello che è uno degli album seminali e meglio riusciti del genere nella sua epoca d’oro, di cui i Within Temptation si impongono come una delle band principali e più rinomate.
Nel 2007 esce The Heart Of Everything, che avendo a che fare con un genere che si diffonde a macchia d’olio iniziando già a ripetersi e puzzare di stantio, reincorpora molte influenze più dark per rendere più riconoscibile un sound che avrebbe rischiato di diventare generico, e allo stesso tempo apre a influenze più eterogenee e sdogana singoli più radiofonici (sebbene ancora un po’ acerbi), pur mantenendo una notevole base orchestrale. Alcuni storcono il naso perché non è più symphonic puro e si ammicca un po’ alla radio, ma in un genere che inizia già ad essere rosicato fino all’osso e le variazioni sul tema evitano il brutto effetto auto-plagio.
Il 2011 vede l’uscita di The Unforgiving, anticipato come “la ‘svolta’ elettronica dei Within Temptation”, ma che in realtà conserva il sound caratteristico epurandolo di tutti gli elementi ormai obsoleti, introducendo notevoli contaminazioni elettroniche che si affiancano a un’orchestra finalmente ridimensionata, e perfezionando il songwiring delle canzoni più catchy così da eliminare del tutto il rischio di genericità. Alcuni storcono il naso perché, ommioddio, si è usciti dal cliché degli eredi (sfigati) dei compositori classici (che è dilagato a macchia d’olio toccando l’apice con la proclamazione del “post-opera”) e si scende occasionalmente in pista da ballo, ma il genere è ormai in avanzata decomposizione e non ha proprio più nulla da dire, per cui l’innovazione del sound vince.
Segue, nel 2012, la celebrazione del quindicennale della band, per la quale si organizza un mega-concerto con orchestra ad Anversa (a cui sono stato, memorabile), in attesa del quale la band registra quindici cover di brani rock classico, pop, dance, trance, indie e chi più ne ha più ne metta, completamente riarrangiate nel loro stile pur mantenendo l’eterogeneità delle influenze originali, pubblicate nel 2013 nella raccolta The Q-Music Sessions. È lo scandalo: nonostante tutte le cover siano (poche) allo stesso livello, o (molte) migliori degli originali, come hanno osato i Within Temptation non includere un’orchestra in ogni canzone registrandone una a settimana, coverizzare volgari brani pop che non sono sicuramente eredi dei compositori classici, che porcheria commerciale, che oltraggio, che affronto.
Ma questo è solo un interludio prima del vero e proprio album successivo, Hydra, in uscita il prossimo 31 gennaio ma già felicemente in giro per la rete. Ovviamente, alcuni storcono già il naso perché, uhm... perché The Unforgiving era figo e questo non lo è, tie’. Ah, e c’è il rapper.
La parte comica della storia è che un buon 90% di quelli che oggi si lamentano che Hydra non è un bell’album perché non è all’altezza di The Unforgiving (per motivi non meglio specificati) sono gli stessi che, tre anni fa, si lamentavano che The Unforgiving era un pessimo album perché non raggiungeva i maestosi picchi di sinfonicità di The Heart Of Everything. Di questi, un ulteriore 90% ha passato il 2007 a lamentarsi che The Heart Of Everything era pessimo perché troppo commerciale rispetto all’incorrotto e classicissimo The Silent Force. La spirale si ferma qui, ma solo perché, a questo punto, la maggior parte di loroquando è uscito The Silent Force, era appena adolescente e stava ancora transizionando dalle Girls Aloud agli Evanescence e da qui al magico mondo dell’orchestra, per cui si sarà trovato con i primi tre album belli e pronti all’idolatria e non avrà fiatato. (In teoria anche io rientro in questo gruppo, eccetto che avevo le t.A.T.u. e le Sugababes al posto delle Girls Aloud; ma dato che i Within Temptation li ho scoperti con Enter e ho recuperato la discografia in rigorosa progressione cronologica posso considerarmi fan dal 1997 per tutta la loro carriera, ho solo fatto sei anni in due mesi).
Quindi, sostanzialmente, cosa succede nelle loro testoline?
Non ne ho la minima idea: o invecchiando gli album dei Within Temptation migliorano come il vino, oppure appena arriva una novità i metallini si trovano spiazzati e sentono la necessità di attaccarsi al passato più recente per ritrovare stabilità, rivalutandolo di colpo. Il che è uno dei presupposti più idioti se si segue una band che, credo sia palese, ha come principale filo conduttore della sua carriera l’innovazione costante. Un’innovazione graduale che, salvo il salto fra Enter e Mother Earth, porta una boccata d’aria fresca ma non stravolge tutto ciò che c’è stato prima, per cui stiamo parlando di una mancanza di elasticità mentale patologica, specie con l’arrivo dei primi commenti sulla falsariga di “the new album si pop” e “they’ve given up their heaviness” (quest’ultimo è una grossa scemenza).
Altra cosa divertente è notare come i soliti “alcuni” dicano che i Within Temptation stanno perdendo un’identità e un sound caratteristico (cito: “they shouldn’t have changed direction after The Heart Of Everything”), come se invece continuare a suonare come sei anni fa, ovvero come ora suonano diverse centinaia di band sfigatelle là fuori significasse invece avere un sound distinto. Mah.
Chiaramente, non mi riferisco alla semplice questione di gusti su “quest’album mi piace più di quello”, cosa più che legittima. Io stesso per ora preferisco The Unforgiving a Hydra, così come Enter continua a piacermi più dei tre album successivi, per questioni di affinità mia, o per ragioni affettive, o altri motivi. Ciò che non comprendo è il riempirsi la bocca di quanto quest’album sia pessimo perché diverso dai precedenti, e soprattutto dimenticarsi di aver applicato lo stesso ragionamento a loro.
Il perché i giudizi negativi su Hydra siano una stronzata colossale, e sia invece cosa buona e giusta che la maggior parte del fandom stia applaudendo e relegando i musoni a una risicata minoranza, è rimandato alla prossima puntata con un bel track by track.
Ps: prima che ci sentiamo tutti protagonisti, buona parte dei fatti di cui sopra sono stati raccolti da gente random sullo shoutbox dei Within Temptation. Nulla di personale, eh!
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