Ricordate i tempi in cui ero un adolescente in fissa con Il Ritratto di Dorian Gray e dicevo di avere il terrore di invecchiare perché la bellezza è tutto, e “will you still love me when I’m no longer young and beautiful?” quando Lagna del Rey era ancora 100% biodegradabile, e dicevo di voler morire a trentott’anni, l’età di Dorian, piuttosto che avvizzire, e altre cazzate?
In realtà, chiaramente, non erano che pose che mi sparavo per darmi quel tocco decadente-chic e passare per il finto superficiale che in realtà non lo pensa davvero perché è più profondo della pozzanghera che vuole apparire. Di nuovo, Lana, non hai inventato nulla, fattene una ragione.
Eppure, eccomi qui, con poco meno del doppio degli anni e ancora il terrore, stavolta genuino, della vecchiaia. Un terrore razionale e pragmatico, da adulto.
Sarà che i miei genitori mi hanno avuto tardi e quindi sono già anziani. Sarà che la Mater frequenta un sacco di badanti e quindi sento spesso le storie sui loro assistiti, ma la vecchiaia inizia a diventare il mio incubo.
Seriamente, cosa diavolo pensavamo quando abbiamo iniziato ad alzare così tanto l’aspettativa di vita? Non ci rendevamo conto che allunghiamo solo i tempi più brutti? Non passa mese che non spunti fuori un nuovo acciacco. Che qualcosa, nel corpo, non inizi a deteriorarsi, a provocare dolore, a limitare le cose che si possono fare. Una nuova malattia che potrebbe essere o non essere curabile e diventare cronica, l’ennesima pastiglia da ingoiare due volte al giorno. La coordinazione occhio-mano che diminuisce, muscoli e nervi che rispondono sempre meno, la goffaggine che avanza.
E questo è lo scenario migliore, perché lo spettro di diventare non più autosufficiente fa impallidire i dolorini e le mille medicine per malesseri minori. Le malattie degenerative, certo, ma anche il semplice fatto che, con l’avanzare dell’età, si finisce per non riuscire più a fare nulla. Si inizia la vita come esseri indifesi che hanno bisogno di essere nutriti, puliti e trasportati, e la si finisce allo stesso modo. Dover dipendere da qualcuno è orribile: chi ha mai pensato che aggiungere dieci o vent’anni di questo incubo fosse una buona idea?
Non entro nemmeno nel merito, poi, del dramma sociale che sarà, per la mia generazione, la vecchiaia, con una pensione misera perché il mercato del lavoro che dobbiamo affrontare è un casino, e una generazione di figli che probabilmente sarà ancora meno in grado di provvedere alle nostre pensioni di quanto noi lo siamo per i baby boomers.
Certo, un po’ mi consola sentire la Mater che dice che la nonna, alla sua età, era molto più vecchia: magari, avendo vissuto da sempre con una nutrizione e una medicina migliori, io arriverò alla sua messo ancora meglio. Ma non mi aiuta molto a calmare l’ansia. Sinceramente, al di là del fatto che già ora non ne ho più voglia, se ho un desiderio nella vita, è di non superare i sessanta, massimo settant’anni, di morire prima di ridurmi a una larva di ciò che sono stato.
Sarà che i miei genitori mi hanno avuto tardi e quindi sono già anziani. Sarà che la Mater frequenta un sacco di badanti e quindi sento spesso le storie sui loro assistiti, ma la vecchiaia inizia a diventare il mio incubo.
Seriamente, cosa diavolo pensavamo quando abbiamo iniziato ad alzare così tanto l’aspettativa di vita? Non ci rendevamo conto che allunghiamo solo i tempi più brutti? Non passa mese che non spunti fuori un nuovo acciacco. Che qualcosa, nel corpo, non inizi a deteriorarsi, a provocare dolore, a limitare le cose che si possono fare. Una nuova malattia che potrebbe essere o non essere curabile e diventare cronica, l’ennesima pastiglia da ingoiare due volte al giorno. La coordinazione occhio-mano che diminuisce, muscoli e nervi che rispondono sempre meno, la goffaggine che avanza.
E questo è lo scenario migliore, perché lo spettro di diventare non più autosufficiente fa impallidire i dolorini e le mille medicine per malesseri minori. Le malattie degenerative, certo, ma anche il semplice fatto che, con l’avanzare dell’età, si finisce per non riuscire più a fare nulla. Si inizia la vita come esseri indifesi che hanno bisogno di essere nutriti, puliti e trasportati, e la si finisce allo stesso modo. Dover dipendere da qualcuno è orribile: chi ha mai pensato che aggiungere dieci o vent’anni di questo incubo fosse una buona idea?
Non entro nemmeno nel merito, poi, del dramma sociale che sarà, per la mia generazione, la vecchiaia, con una pensione misera perché il mercato del lavoro che dobbiamo affrontare è un casino, e una generazione di figli che probabilmente sarà ancora meno in grado di provvedere alle nostre pensioni di quanto noi lo siamo per i baby boomers.
Certo, un po’ mi consola sentire la Mater che dice che la nonna, alla sua età, era molto più vecchia: magari, avendo vissuto da sempre con una nutrizione e una medicina migliori, io arriverò alla sua messo ancora meglio. Ma non mi aiuta molto a calmare l’ansia. Sinceramente, al di là del fatto che già ora non ne ho più voglia, se ho un desiderio nella vita, è di non superare i sessanta, massimo settant’anni, di morire prima di ridurmi a una larva di ciò che sono stato.
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