Friday 17 May 2019

Crowning moment of awesome

Che io abbia un’autostima inesistente e una colossale sindrome dell’impostore è cosa nota. Era da qualche settimana che lottavo con l’idea di contattare un ragazzo che ho scoperto su Instagram per proporgli di posare per me. Ho sempre paura che le idee che ho non siano abbastanza buone, che il mio approccio non sia abbastanza professionale, di non essere, in generale, all’altezza del tempo che chi posa per me mi dedica. Chissà chi ha acuito questa mia paura nell’ultimo anno.
Alla fine, ho chiesto al ragazzo di posare non perché ho in qualche modo superato la mia paura, ma perché posso pagarlo per farlo. E posso pagarlo (anche piuttosto bene) per farlo perché DeviantArt mi ha commissionato un lavoro per il mese del Pride.

Già: sono stato uno degli otto artisti contattati come prima scelta per creare delle opere basate sulla bandiera del Pride di Philadelphia, una per ciascun colore con relativo significato. E, fra l’altro, sono stato l’unico fotografo contattato: gli altri sono tutti pittori e illustratori.

Adesso che la foto è fatta e postprodotta all’80%, posso smettere di essere un fascio di nervi, fare un bel respiro e concentrarmi su quanto fantastica sia stata quest’opportunità: la community alla quale contribuisco silenziosamente da anni ha ritenuto la mia arte abbastanza buona da commissionarmi un lavoro, pagandomi profumatamente, per una delle manifestazioni virtuali più importanti dell’anno. Non qualche amico che, ne sono sempre convinto, mente a denti stretti per non ferire il mio ego; non qualche committente che si fa andare bene me perché costo poco; non la mia band preferita che voleva cercare di rendere felice la loro fangirl per pena; non qualche pinco pallino che non se ne intende: DeviantArt, che ha a disposizione migliaia di utenti a cui chiedere. È una cosa talmente grande che nemmeno io riesco ad auto-sabotare questo momento di gloria.

Inoltre, la tempistica è semplicemente perfetta: dopo un annus horribilis come questo, sento una necessità fisica di buttarmi in qualche forma di attivismo, di creare un lavoro che sia un messaggio sulla causa che mi trovo a combattere silenziosamente ogni giorno. Non importa se per qualcuno sono un semplice spauracchio da agitare per raccogliere consenso: non lascerò che la mia umanità passi in secondo piano, e voglio incoraggiare quanti più ragazzi e ragazze LGBTQ+ a tenere duro e far sentire la propria voce.

Certo, il timore che poi non siano soddisfatti del mio lavoro c’è, ma ci ho messo davvero anima e corpo, dalla concettualizzazione all’organizzazione, dall’acquisto dei materiali all’individuazione della location, aggiustando i piani in base al meteo, fino allo scatto effettivo e la postproduzione. Non posso rimproverarmi nulla e, per una volta, sono genuinamente orgoglioso del mio lavoro.

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