Monday, 29 July 2019

Young & Beautiful reprise

Ok, se già la prospettiva della vecchiaia mi terrorizzava prima, dopo un pomeriggio da incubo come quello di oggi sono assolutamente determinato a morire prima di trasformarmi nell’ombra di me stesso.
All’improvviso, verso inizio pomeriggio, mi telefona la Mater, che è andata a dare il cambio a un’amica che aveva bisogno del pomeriggio libero dai genitori – entrambi ultranovantenni ed entrambi non autosufficienti – e mi chiede aiuto: mentre aiutava la madre dell’amica, un centinaio di chili di signora con l’Alzheimer, a spostarsi dal wc alla sedia a rotelle per tornare in salotto, quella si è seduta sul pavimento si è afflosciata come un sacco vuoto.
Corro a darle una mano a sollevare fisicamente la vecchia e ciò a cui assisto è allucinante.

Arrivo e trovo la donna che, semplicemente, non si alza più: beatamente ignara di essere seduta sulla dura ceramica, di essersi graffiata una gamba sul mobiletto di fronte, e di avere la faccia che penzola verso la tavoletta del cesso, sta lì con lo sguardo vacuo in una posizione scomoda senza nemmeno il minimo istinto di raddrizzarsi. Del riflesso di fare un briciolo di forza sulle gambe per tirarsi su, così che noi potessimo rimetterla sulla sedia a rotelle, nemmeno a parlarne.
Da lì segue un’ora e mezza di tentativi a vuoto perché non reagisce nemmeno al fastidio di sentirsi tirare e strattonare per le braccia, per sotto le ascelle, per la vita, per i vestiti: ci sarebbe bastato anche solo che avesse cercato di ritrarre le braccia dalla nostra presa, così avrebbe fatto leva e l’avremmo tenuta il tanto da sollevarla. Niente.
Alla fine, quando è rincasata la nipote e nemmeno in tre siamo riusciti a sollevarla, l’abbiamo avvolta bene in un  grande telo di spugna e abbiamo tirato i lembi per farla scivolare sul pavimento verso il salotto, dove la poltrona reclinabile era più bassa e dava maggiori speranze di sollevarla fin lì – o comunque, anche non fossimo riusciti a issarcela, avrebbe avuto la schiena poggiata a qualcosa. In tutto questo, lei non ha battuto ciglio: ha continuato a fissare il soffitto con sguardo vacuo, senza reagire minimamente al fatto che un perfetto sconosciuto, dopo averla strattonata e spremuta per un’ora, l’aveva avvolta in un asciugamano a mo’ di sudario e la stava trascinando chissà dove. Non ha notato nessuno dei miei tentativi di rassicurarla, di dirle che c’eravamo quasi, che mancava un ultimo sforzo, che eravamo lì per aiutarla. Che fosse il pavimento del bagno, l’asciugamano, il corridoio, che stesse seduta o sdraiata, non faceva la minima differenza per lei, rimaneva un sacco di carne inerte.
Alla fine, anche a issarla sulla poltrona reclinabile siamo riusciti solo perché ho avuto l’idea di passarle le braccia sotto le ascelle e appendermi dietro lo schienale per farle da contrappeso mentre la Mater e la nipote la sostenevano per le braccia. Lei non ha contribuito minimamente, non ha puntato le gambe per sollevarsi quando era scomodamente a metà strada, non si è mossa. Quando finalmente le abbiamo coperto le gambe col plaid e l’abbiamo girata verso la tv, ha continuato a fissare il vuoto come faceva in bagno, senza rispondere nemmeno quando le abbiamo chiesto se stesse bene.

La cosa che ho trovato pià allucinante è che non si è trattato nemmeno più del dibattito su cosa considerare “vita” o meno da un punto di vista umano, ormai si era al di là dell’affermare che, se non posso uscire, leggere, parlare, ragionare, guardare la TV, interagire con le persone, per me non è vita. Qui si scende a un livello ancora più basilare: tutti gli esseri viventi pluricellulari hanno per lo meno l’istinto di conservazione. Anche se non sono autosufficienti nel nutrirsi, anche se non hanno la forza effettiva per proteggersi, hanno almeno l’istinto di reagire a un disagio, di muoversi e spostarsi quando si sentono scomodi, di piegare gli arti e appallottolarsi se si sentono minacciati, di lamentarsi. Io ho visto quella che un tempo è stata una persona non avere più nemmeno questo – non dico la ragione o consapevolezza di sé e del mondo – nemmeno il puro e semplice istinto. Non era nemmeno un vegetale, ché le piante reagiscono agli stimoli esterni, specie al peticolo: quello che avevo davanti era un insieme di organi più o meno funzionanti, non un essere vivente.

Ora, posto che l’errore di allungare la vita umana fino a far sorgere queste possibilità è stato fatto e non si può tornare indietro, bisogna quantomeno mitigarlo. Davvero c’è qualcuno, là fuori, che sarebbe disposto a esistere in uno stato del genere, o a guardare un caro esistere così? Davvero lo stato dà ascolto a quelle voci, considera ok che questa sia una possibilità per il mio futuro?
Perché dopo ciò che ho visto, farò tutto ciò che è in mio potere, per quanto insignificante, mi batterò unghie e denti perché si arrivi ad avere un testamento biologico e approvare l’eutanasia. E se nulla cambierà, ammesso e non concesso che non ci saremo estinti per allora, tempo di vedere la Cometa di Halley nel 2061 e, a settantadue anni, andrò alla prima scogliera e mi butterò di testa prima ancora che anche solo la possibilità di non avere l’autosufficienza per farlo possa presentarsi. Questa non è vita.

Monday, 22 July 2019

Che questo giorno sia già trascorso

E così oggi dovevo partire. Trieste-Bologna in treno, e poi Bologna-Alghero in aereo.
Oggi, 22 luglio 2019.
Well, joke’s on me.

Incredibile ma vero, la mia mattinata va liscia come l’olio. Telefono a MBE, sento che è aperto e posso spedire il pacco senza problemi (in caso, avevo chiesto a uno dei coinquilini di farlo al posto mio appena avesse avuto tempo), vado, l’ammazzo e torno. Approfitto della loro copisteria per stampare anche i biglietti e vado a fare la spesa per il viaggio. Il tempo di arrivare alla Coop e sorpresa: la Mater mi manda l’articolo sull’incendio alla cabina elettrica di Firenze e conseguente discesa nel caos dell’intera rete ferroviaria nazionale.
Salgo a casa a mollare la spesa (nel frigo attaccato alla nuova, sicurissima presa della corrente, yay) e corro dritto in stazione per saperne di più: quale scommessa, fra i regionali cronicamente in ritardo o l’alta velocità che avevo prenotato scontata senza possibilità di cambio o rimborso (i treni più colpiti dai ritardi essendo a lunga percorrenza), sarebbe stata più sicura? La vecchietta dell’assistenza clienti ne sa anche meno di me e mi tiene lì tre quarti d’ora buoni (facendomi perdere l’unica eventuale altra opzione per partire, visto che ovviamente sono andato in largo anticipo senza valigia o altro, convinto di ottenere informazioni facilmente) tentando di navigare il sito di Trenitalia su Internet Explorer, il browser in dotazione dei computer della rete ferroviaria nazionale. E niente, fa già ridere così. Le do la sufficienza solo perché ha provato in tutti i modi a rendersi utile, ma alla fine è una sua collega che arriva in mio soccorso e mi rassicura che i ritardi si sono attenuati e, probabilmente, il treno che ho prenotato non dovrebbe averne affatto. Il che mi da speranza in un ritardo di una mezz’ora, massimo tre quarti d’ora, ancora tempi utili per arrivare in aeroporto e arrivare al gate, visto che avevo prenotato in modo da essere in largo anticipo.
Il regionale Trieste-Mestre miracolosamente arriva spaccando il secondo. La Freccia da Mestre a Bologna parte con nove minuti di ritardo, ma non ne accumula altri lungo il viaggio. Arrivo a Bologna in tempi utili, riesco anche a prendere la navetta prima di quella che avevo preventivato… solo per scoprire che ha finito al carta per stampare i biglietti, quindi mi tocca aspettare per forza quella dopo. Poco male: arrivo presto in aeroporto, passo i controlli sicurezza senza che ci sia fila, mi accomodo in sala d’attesa per continuare a rimettermi in pari con Orange Is The New Black in previsione dell’ultima stagione e aspetto le 20:45, ora di decollo del volo con atterraggio previsto alle 22:05. Il peggio è passato, ora posso anche rilassarmi e non pretendere che, catturato l’anarchico presunto autore dell’incendio a Firenze, lo buttino dritto dritto in un rogo.
Surprise, bitch: il decollo effettivo è rinviato alle 22:05, la fucking ora di atterraggio, per un concatenarsi di ritardi del velivolo, in arrivo da Parigi.
Così eccomi qui, spiaggiato in aeroporto e con i nervi a fior di pelle: ho affrontato Trenitalia nel suo giorno di peggiore crisi, sono riuscito ad arrivare indenne e puntuale all’aeroporto nonostante tutt’intorno a me i treni venissero cancellati o rimandati di intere ore, solo per trovare il volo stesso in ritardo. Seriamente, chi devo assassinare? Anche perché, facendo due calcoli, atterrerò intorno alle 23:30, con l’ultimo autobus per Alghero centro che parte alle 23. Come diamine arriverò in città, a meno di non vendere un rene e prostituirmi per prendere un taxi?
(Edit: incredibilmente, l’ultimo autobus ci ha aspettati! Avrei dovuto avere più fiducia nelle doti precognitive di Katia, che ha pronosticato un avvenimento del genere. Per inciso, sul bus c’era un maledetto vecchio che ha fatto la battuta del secolo: “Eh, ma aspettandovi, ha tolto il pane di bocca ai tassisti!” Non essendo dell’umore per scherzare, gli ho rivolto un’occhiata assassina e ribattuto in tono gelido: “Col pane dei tassisti, io ci faccio la spesa per una settimana.”)

Se non altro, in questa situazione l’abulia con cui ho affrontato le ultime settimane ha ceduto il posto all’incazzatura. Almeno qualcosa riesco ancora a sentirlo.
Comunque, è in giornate come questa che mi ritrovo a recitare l’incantesimo Per Accelerare Il Tempo di Streghe:
Venti del Tempo, soffiate forte,
Datemi le ali per volare alto;
Affrettate, dunque, il mio percorso,
E che questo giorno sia già trascorso.

Sunday, 21 July 2019

I feel numb most of the time

A volte non riesco a capire se sto andando avanti o del tutto fuori strada.
Ultimamente, l’ansia si è attenuata. Riesco a far fronte a molte più cose senza implodere, e perfino ad aggiustare il tiro già in corsa senza entrare nel panico. Il problema è che non solo non sento il panico: non sento proprio niente. Un filo di irritazione ogni tanto, ma nemmeno tanta. Niente.

Ad esempio, in tempi passati l’imminente partenza per la Sardegna mi avrebbe gettato nell’agitazione. Quest’anno, invece, mi sono occupato dei biglietti, delle coincidenze dei treni, delle bollette da pagare prima di partire con indiffernte efficienza e senza scompormi. Nemmeno i mille contrattempi e imprevisti, o il fatto di trovarmi un po’ indietro sulla scaletta che mi ero imposto sono riusciti ad agitarmi. Ho procrastinato un po’, ma alla fine mercoledì sono andato alle poste a ritirare il pacco misterioso – per inciso, era il nuovo CD dei Theatre of Tragedy che, invece che ad Alghero come avevo richiesto, è stato spedito qui a Trieste. Quando giovedì pomeriggio sono andato in banca a ritirare la nuova carta bancomat che è finalmente arrivata, ho scoperto che, senza comunicarlo sul sito, seguono un orario estivo fino alle cinque – e io sono arrivato lì mezz’ora troppo tardi; sono tornato indietro, avrei tentato il giorno dopo. Quando venerdì, dopo la banca e dopo essermi lavato i capelli e fatto la barba prima di impacchettare tutto, sono andato a portare a spedire il pacco, ho scoperto che per tutto luglio e agosto MBE chiude il venerdì (ovviamente nemmeno questo comunicato sul sito che veramente, ragazzi, cosa lo tenete a fare?); sono tornato indietro e lo spedirò domattina presto. Naturalmente, se non sborso altri soldi, RyanAir mi lascia fare il check-in online solo quarantott’ore prima della partenza, quindi dovrò necessariamente stampare il biglietto domani, prima di partire, perché da sabato pomeriggio in poi le copisterie sono chiuse; pazienza, lo farò da MBE.
Anche il fatto di aver ritardato shampoo e barba fino a subito prima di (provare a) spedire il pacco non mi ha fatto entrare nel panico. O il fatto che dovrò aspettare domani per mettere le ultimissime cose in valigia, cosa che normalmente mi agita sempre un po’.

Sembrerebbe tutto positivo, se non fosse che, affrontando con calma tutte queste cose, non mi sento orgoglioso o forte: mi sento rassegnato, soprattutto di fronte agli imprevisti. Non capisco, quindi, se ho fatto dei progressi tali da riuscire a gestire lo stress senza trasformarlo in ansia, o se semplicemente mi sono rassegnato al fatto che la vita continua a tirarmi limoni e non mi frega nemmeno più di farci una limonata, mi basta riuscire ad acchiapparli prima che mi lascino un livido in faccia.
L’unica cosa di cui sono sicuro è che sono molto, molto stanco. Ma stanco in quel modo tutt’altro che salutare. Se qualcuno ha fatto caso al modo blasé in cui ho buttato lì che è uscito un nuovo CD dei Thratre of Tragedy (una raccolta di remix per lo più già editi altrove, ma pur sempre la prima nuova pubblicazione in nove anni da che la mia band preferita si è sciolta), può farsi un’idea di quanto poco io riesca a sentire oltre alla stanchezza.

Saturday, 13 July 2019

Pettegole di città

Qual è la linea sottile che separa un’amicizia o conoscenza che si rende utile dallo stalking? Questo è il dilemma.

Oggi pomeriggio mi arriva un messaggio da una conoscente che abita nella mia stessa via: mi dice che, attaccato al mio citofono, c’è un avviso di giacenza per un pacco che non mi è stato consegnato. Pacco sul cui contenuto non ho la minima idea, visto che non ho ordinato nulla in questo periodo, ma non è questo il punto. Il punto è che questa persona, evidentemente, stava camminado per la via, è passata davanti al mio portone, ha visto il bigliettino attaccato al citofono e ha pensato bene di fermarsi per vedere cosa fosse e a chi era indirizzato. Una persona che non è una mia amica stretta e non frequento assiduamente. Una semplice conoscente con cui sono in rapporti amichevoli, con cui ci si è visti spesso, l’anno scorso, perché si ha un hobby in comune, ma null’altro.

Non so decidere bene a che grado nella scala della tragicommedia collocare questo avvenimento. Interpretarlo come segno di affetto e cura nei miei confronti perché metti che una folata di vento o la pioggia staccassero lo scotch e io, magari non uscendo fino al giorno dopo, perdessi la ricevuta? O come segno dello squilibrio mentale di una persona che, passando, controlla spasmodicamente tutti i portoni per vedere chi ha ricevuto la posta?
Probabilmente la verità sta nel mezzo: non l’ha fatto con cattive intenzioni, né perché ha a cuore la mia corrispondenza. Semplicemente, è una di quelle persone incapaci di farsi gli affari propri, che devono ficcanasare nella vita di tutti; e ha manie di protagonismo tali che ha sentito il bisogno di essere lei a darmi la notizia. Entrambe le motivazioni di questo suo comportamento mi irritano, perché non mi piace che una persona si senta in diritto di ficcare il naso nella mia vita a mia insaputa solo perché sa come mi chiamo e dove abito, anche se è una cosa tutto sommato innocente e anche potenzialmente utile. Con le pettegole di paese ho già abbondantemente dato da piccolo, non me ne servono di trapiantate in città.

Monday, 1 July 2019

Alessandro del Barrio

La cosa che disturba lo spettatore più attento nelle telenovelas o nelle soap opere è, di solito, il clusterfuck di cose con cui i protagonisti vanno a sbattere la faccia. Presi singolarmente, quasi tutti gli avvenimenti sono verosimili: è possibile che capiti un incidente stradale, una malattia grave, un incendio, un tradimento, un matrimonio, un divorzio, una rapina in casa… se proprio hai sfiga, magari anche un incidente aereo, uno scambio di neonati nella culla, una bancarotta, un meltdown con temporanea amnesia…
Ciò che spezza la sospensione volontaria dell’incredulità è che tutta questa roba capiti assieme a un ristretto numero di persone: l’esagerazione, il melodramma, sta proprio nel vedere la vita di pochi colpita da una sciagura dopo l’altra senza soluzione di continuità.

Oggi spezzo una lancia verso la famiglia Forrester e Maria del Barrio: nel giro di una settimana ho avuto una grandinata di sfighe una dopo l’altra che, a raccontarle, sembrano una collezione di balle dette giusto per attirare l’attenzione. Sul serio, mi manca solo una scenata di Soraya Montenegro e le ho viste tutte.

Si parte con magagne fotografiche sulle quali preferirei non soffermarmi: basti dire che la ferita dell’anno scorso è ancora bella che aperta se, per quello che alla fine è un inconveniente non facilissimo ma nemmeno impossibile da superare, ho prontamente ingigantito la cosa immaginando complicati piani per bidonarmi accampando scuse. Il tutto accadeva tra lunedì e martedì scorsi, e martedì mi dovevo alzare prestissimo dopo una notte passata in bianco sia per la nevrosi, sia perché mi era entrata in stanza un’enorme mosca che non riuscivo né a uccidere, né a far uscire, e che ha continuato a svegliarmi a intervalli regolari col suo ronzio. Alessandro e carenza di sonno non sono mai, mai, mai una bella combinazione.
Archiviata la faccenda fotografica, mercoledì il frigo – o meglio, la presa a cui è attaccato – ha deciso di abbandonarmi temporaneamente: sembra proprio che creare un enorme nodo di resistenze elettriche fra prolunghe, lavatrice, adattatori e tripli attacchi non sia una grande idea. Considerando quanto il frigo in generale e il cibo che va a male in particolare siano due dei miei punti più deboli in assoluto, sono riuscito a mantenere i nervi discretamente saldi (e perfino ripulire i vari succhi che carne e latticini avevano rilasciato), anche quando la presa ha reso l’anima nuovamente la sera dopo. Ho perfino trovato le energie per chiamare la padrona di casa e chiederle di far installare un’altra presa. Lì il problema non è tanto che temevo si rifiutasse, visto che è super disponibile, quanto la sua tendenza al panico ogni volta che le si parla di fare qualche intervento in casa: ogni volta devo rassicurarla e farle mantenere i nervi saldi, in momenti in cui già io sono sull’orlo del completo meldown, ma oh, si fa anche quello.
Ciliegina sulla torta, venerdì mattina mi si è smagnetizzata la carta bancomat. Ho mantenuto i nervi saldi e sono riuscito a prelevare ricaricando al volo la prepagata tramite l’online banking, ma odio affrontare la banca e tutto ciò che le gravita intorno, quindi ho praticamente implorato Giulia di accompagnarmi e tenermi la mano quando, il pomeriggio stesso, sono andato a richiedere il duplicato (fra l’altro, pare che il problema fosse quello sportello specifico, dato che in filiale ha funzionato; comunque era tempo di sostituirla per avere anche il contactless, poco male). Se non altro, ho scoperto di poter richiedere un duplicato in qualsiasi momento tramite l’app della banca, quindi la prossima volta potrò fare tutto senza avere a che fare con persone che, ne sono più che sicuro, nella mia paranoia, mi giudicano per il pezzente col conto mezzo vuoto che sono.

Così eccomi qui, a inizio mese, completamente distrutto dalla vita. Già è un periodo in cui faccio un’estrema fatica a tirare avanti con la routine quotidiana: dover gestire così tanti imprevisti tutti assieme mi ha davvero provato. Yay, che bravo, sono forte e ce la faccio lo stesso, bla bla bla… ma vorrei solo che questa telenovela da quattro soldi venisse cancellata dall’emittente.