Monday, 13 January 2020

Non ho l’età

Ho detto spesso, nel corso degli ultimi dieci anni, che per tutti dovrebbe arrivare un momento in cui si è troppo cresciuti per identificarsi in una sottocultura. L’ho sempre inteso più in senso mentale che fisico: certo, vedere i metallarozzi di mezza età con la pancetta che sporge dai pantaloni in pelle e il codazzo di capelli lunghi intorno alla pelata non è un bello spettacolo, ma lo è ancor meno ascoltare i pregiudizi che rotolano fuori dalla loro bocca.
Gli stereotipi associati ai vari metallari, rapper, goth, emo, hipster e chi più ne ha più ne metta sono un trampolino, un punto di partenza: si trova un tipo di estetiche e una visione del mondo a noi affini e ci si costruisce sopra una personalità che comprende, e non si limita a, quegli aspetti. Da ragazzini è normale e scusabile identificarsi fortemente con la sottocultura scelta, farne un motivo di orgoglio e fare la guerra alle altre cricche, ma dopo una certa età diventa ridicolo.

D’altro canto, è pur vero che, dietro la scelta, c’è un’affinità di base che non sparisce con la moda, e nemmeno con l’evoluzione personale: nel mio caso, l’adolescente / ventenne che ascoltava solo roba gotica (anche a costo di slabbrare la definizione per includerci le cose variegate che in realtà gli piacevano), si truccava male, si vestiva anche peggio e girava con le borchie, era lo stesso bambino che, vedendo un passaggio a livello, esclamava giubilante: “Mercoledì si sarebbe buttata sotto il treno” del tutto ignaro che gli adulti lì intorno rabbrividivano, e lo stesso trentenne che ama ancora lo smalto nero, odia prendere il sole e ascolta ancora volentieri gli Evanescence, i Within Temptation, i Theatre of Tragedy e tutta la cricca (sul perché anche il metal sia gothic ho scritto un post anni fa; se cinque anni dopo avete ancora da ridire, siete il genere di imbecilli di cui mi lamento nel primo paragrafo).

Il trucco, quindi, sta nel trovare un equilibrio, nell’imparare a non rinnegare parti di se stessi a seconda dei confini di una sottocultura (sia quelle che si trovano fuori, se vi si vuole aderire, sia quelle che si trovano dentro, se se ne vuole prendere le distanze), e a non aggrapparsi ad esse con unghie e denti quando diventano obsolete nel percorso di crescita.
Ironicamente, però, a questo giro è proprio il lato fisico a spingermi ad abbandonare uno dei capisaldi della mia gothness residua: non si tratta di pancetta né di pelata incipiente, quanto del fatto che il mio fisico non regge più bene l’inverno. La temperatura va giù, l’umidità va su, e mi ritrovo subito col ginocchio sinistro e la scapola destra doloranti (il primo me lo sono sfasciato grazie all’incompetenza del prof di ginnastica del liceo, la seconda non ne ho la minima idea). Nonostante essere magro mi conceda il privilegio di girare col pigiama in pile sotto i vestiti, il freddo mi entra comunque nelle ossa e mi fa tremare. E mentre cammino è ancora sopportabile, perché probabilmente è anche colpa del fatto che a Trieste vivo in un appartamento col riscaldamento, ma stare seduto in casa qui ad Alghero, al freddo con solo la stufetta alogena o il condizionatore, mi fa assiderare ed entrare in letargo. La pelle mi si secca e devo metterci quintali di crema. Le labbra mi si screpolano se non ci metto sopra il balsamo prima di uscire. E la depressione peggiora (sì, perfino peggio!) con l’accorciarsi delle giornate e l’arrivo del brutto tempo. Mio dio, come sto diventando mainstream, ma il punto è che, a trent’anni suonati, il mio corpo sta cambiando e non regge più botta durante l’inverno.

In tutto ciò, il vero problema è che, oltre a non reggere più il freddo, continuo a non reggere affatto il caldo e odiare profondamente l’estate. Ho perso la mia dimora senza trovarne un’altra perché, ancora una volta, non mi va bene nulla. O forse sono io che non vado bene a nulla. TL;DR, tutto ciò mi fa sentire come se non avessi un posto tutto mio al mondo.
Il che, a ben vedere, è molto gotico.

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