Tuesday, 7 January 2020

Only human, after all

Con i roghi in Australia, è tornato puntualissimo il guilt-tripping nei confronti di quelli che, l’anno scorso, si sono preoccupati per Notre Dame, perché di quello tutti parlavano e tutti hanno cacciato i soldi, mentre della mia cena che si è bruciata al microonde, brutti ipocriti, a nessuno è fregato. Nulla di diverso, in sostanza, da ciò che è successo lo scorso agosto con l’Amazzonia (e con la Siberia, ma in misura minore… se vogliamo ripagare con la stessa moneta), ma aver scoperchiato di nuovo quella latta di vermi mi ha offerto diverse considerazioni da aggiungere al mio rant sulla “cultura dell’invidia” (l’atteggiamento per il quale se qualcuno ha più di me, la mia prima reazione non è cercare di migliorare me stesso ed elevarmi al suo livello, ma distruggere lui per portarlo al mio).
In ordine sparso, sono giunto alla conclusione che:

1) La partecipazione di chi sminuisce l’impatto di una tragedia per attirare l’attenzione su un’altra non è sincera.
Se non hai l’empatia necessaria per capire perché il rogo di Notre Dame abbia scatenato una simile risposta emotiva nell’opinione pubblica occidentale, ho seri dubbi sulla tua capacità di sentirti coinvolto in una qualsiasi altra tragedia, che sia l’Amazzonia, la Siberia o l’Australia. Per solidarizzare è necessaria la capacità di immedesimazione, che hai chiaramente mostrato di non possedere: l’unica conclusione logica è che vuoi cavalcare l’onda della tragedia più recente con un’opinione “controversa” per attirare l’attenzione su di te a discapito della tragedia stessa (a cui stai facendo un pessimo servizio). Di conseguenza, sei una persona orribile.

2) Il Tragediometro è inutile.
Non è una gara a quale tragedia abbia maggiore o minore impatto. L’empatia non è una torta, non ha una quantità finita: può essere estesa a più di una tragedia, senza che per farlo la si tolga alla precedente. Spesso non è nemmeno una questione di quantità, quanto di differenza: diversi eventi colpiscono diversamente, ma entrambi possono essere altrettanto tragici.
Fra l’altro, decidere retroattivamente che una tragedia meritava una reazione minore della successiva è intellettualmente disonesto e piuttosto stupido. È molto più dignitoso ammettere che di quell’altra non ti fregava nulla e per quello ti dà fastidio che

3) Criticare la generosità è meschino.
Sul serio la prima cosa che ti viene da criticare è che qualcuno abbia donato di tasca propria dei soldi per la collettività? Non le cause di quell’incendio, non le cause di questo, ma che ci sia stato qualcuno a cui fregava qualcosa di Notre Dame e ha sborsato soldi per il restauro. Che problemi hai? Ti rode che quei soldi non li abbiano dati a te? Fatti un esame di coscienza.

4) Siamo solo umani, dopo tutto.
Qui sarò io ad andare controcorrente, ma considerare una tragedia ambientale intrinsecamente peggiore di una culturale è stupido e dimostra una completa incomprensione del ruolo che noi, come specie, abbiamo sul pianeta. Sono cose diverse ma hanno lo stesso valore, e hanno valore unicamente perché noi esseri umani glielo diamo.
La “natura”, la biosfera, la vita terrestre in generale, andrà avanti a prescindere da noi: alla peggio, stiamo potando l’albero tassonomico come molte altre estinzioni hanno fatto. Qualunque ecosistema stiamo distruggendo (foreste, laghi, barriere coralline), se ne formerà uno nuovo al suo posto; qualunque specie facciamo estinguere, col tempo se ne evolverà una nuova che occuperà quella nicchia. Cioè, cavolo, perfino il sarcofago del reattore di Chernobyl è diventato un ecosistema! Ci vuole molto hybris da parte nostra per credere che stiamo avendo un impatto definitivo.
L’ambiente che dobbiamo proteggere è quello attuale, la fragile nicchia ecologica che permette alla nostra specie di prosperare: i cambiamenti che apportiamo renderanno difficile la nostra sopravvivenza, non quella della vita in generale.
Non solo: considerare ogni singolo ecosistema e ogni specie che contiene preziosi e da preservare a tutti i costi è un concetto puramente umano, perché all’evoluzione frega nulla della sopravvivenza delle singole specie. Non ci interessa preservare la Barriera Corallina per la natura, ma per appagare il nostro concetto, puramente teorico e artificiale, di biodiversità. A pensarci bene, non è poi così diverso da voler preservare un monumento artificiale: entrambe le cose rendono la nostra esistenza, la nostra esperienza del mondo quella che è.
Abbiamo bisogno di proteggere il nostro ecosistema, ma a che pro sopravvivere senza la nostra cultura, senza le cose belle, artificiali e naturali, che abbiamo intorno?
E comunque, una cosa non disturba l’altra.

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