Un po’ sembra una brutta barzelletta: è inizio secolo, il clima politico è disastroso, si parla di guerra, c’è un’epidemia, la Grande Depressione non accenna ad andarsene e oggi, ad Alghero, è arrivato anche il Dust Bowl. Insomma, è un brutto amalgama delle cose peggiori degli Anni Dieci, Venti e Trenta del Novecento.
In realtà, oggi semplicemente si è levato un forte vento e Alghero è tutta scavata perché stanno posando le tubature del gas (finalmente). Un po’ dai cantieri aperti, un po’ dalle strade non ancora riasfaltate dopo l’intervento, si è sollevata un sacco di polvere che le raffiche di vento hanno felicemente schiaffato in faccia, negli occhi, nel naso e in bocca ai passanti che Mad Max Fury Road spostati. E sì, alcune delle vie (tra cui, fortunatamente, la mia) le hanno già riasfaltate, ma non penso che l’intera faccenda si sistemerà a breve: Alghero rimarrà il Midwest americano degi Anni Trenta ancora per un po’.
Ricordo che da piccolo ero convinto che lo stato di default delle cose fosse integro. Ok, non che credessi che la manutenzione fosse immediata, costante e capillare, ma pensavo che ci fosse qualche incaricato del comune o dello Stato che, ogni tanto, facesse il giro della città, vedesse cos’era rotto, dove il marciapiede era dissestato, dove l’asfalto era crepato o c’era una buca, facesse una lista e la mandasse agli organi competenti affinché intervenissero e riparassero tutto non appena si accumulavano abbastanza cose da fare. Accettavo lo stato di disordine e disintegrità, sì, ma come transitorio, pronto a essere emendato.
Avevo una mente iperattiva che inventava costantemente delle narrazioni, e le crepe nell’asfalto, le piastrelle sbeccate nel marciapiede, l’intonaco scrostato nelle facciate dei palazzi mi piaceva attribuirle al grande nemico dell’ordine contro cui io e i miei amici peluche combattevamo, un temibile buco nero che voleva disintegrare le cose belle per farle piombare nel caos (sì, lo so: licenza artistica in fisica, ma avevo cinque-sei anni ed era un gioco). Ogni riparazione avvenuta, ogni facciata restaurata, ogni giardino rimesso a nuovo era il segno che il malefico buco nero stava perdendo: prima o poi sarebbe stato sconfitto del tutto.
Un quarto di secolo dopo, il malefico buco nero sta vincendo su tutta la linea. La sua azione è particolarmente evidente ad Alghero, dove non ci sono i soldi (né pubblici né privati) per intervenire, più in generale in tutta la Sardegna che non sia Cagliari, ma è capillare e pervasiva anche nel resto del mondo. Giocare al buco nero a Roma, per dire, dovrebbe essere uno spasso oggi.
Non ricordo quando, crescendo, mi sia rassegnato al fatto che lo stato di default delle cose fosse sciupato, ma non riesco ancora ad accettare che scada nel non funzionale. Percepisco il fascino dei luoghi abbandonati, logori, decadenti – Beauty In Deconstruction, come dicono i Theatre of Tragedy – ma non tollero il disagio che deriva quando l’incuria arriva dove non dovrebbe. Odio aver mangiato la polvere tutto il pomeriggio perché nessuno è passato a ripulire le strade dopo gli interventi. Odio le pozzanghere che da anni e anni si formano su certi attraversamenti pedonali (e su cui non sono intervenuti nemmeno approfittando di dover riasfaltare per i lavori!). Non posso accettare di vivere circondato da tutto ciò.
Ma poi mi ricordo di come riesce a ridursi camera mia quando attraverso uno dei miei periodi peggiori, e allora mi chiedo: così come quella stanza riflette il mio stato interiore, la mia incapacità di intervenire, la mia accettazione di avere abbastanza spazio per passare in mezzo al disordine e di non crepare di allergia per la polvere, anche le strade dissestate e polverose sono il riflesso dello stato della nostra società?
Siamo una società depressa? Ci accontentiamo dello stato delle cose fintanto che non diventano del tutto non funzionanti, perché il nostro malessere collettivo è talmente acuto che ci toglie le forze per intervenire? Siamo ormai abituati al degrado e non riusciamo a ricordare né immaginare un modo migliore per vivere?
Ma soprattutto, come spezzare il circolo vizioso che fa sì che continuiamo a peggiorare la situazione? Perché più delle mattonelle crepate sul marciapiede davanti alla farmacia, a farmi arrabbiare è il motivo per cui sono così: la gente che ci parcheggia sopra anche se non dovrebbe, anche se non lascia più passare, anche se c’è l’incrocio, perché tanto sono solo cinque minuti, perché se no dove mettono la macchina, perché non c’è un vigile urbano che faccia il suo dovere e passi a lasciare una sfilza di multe, perché nessuno si lamenta abbastanza da fare massa critica e pretendere almeno che si mettano dei picchetti dissuasori a bordo marciapiede.
Forse viviamo davvero in una società depressa, perché la sensazione che ho avuto oggi mentre masticavo manciate di polvere è stata quella con cui combatto in molti momenti della mia malattia: pura e semplice impotenza e mancanza di speranza.
Un quarto di secolo dopo, il malefico buco nero sta vincendo su tutta la linea. La sua azione è particolarmente evidente ad Alghero, dove non ci sono i soldi (né pubblici né privati) per intervenire, più in generale in tutta la Sardegna che non sia Cagliari, ma è capillare e pervasiva anche nel resto del mondo. Giocare al buco nero a Roma, per dire, dovrebbe essere uno spasso oggi.
Non ricordo quando, crescendo, mi sia rassegnato al fatto che lo stato di default delle cose fosse sciupato, ma non riesco ancora ad accettare che scada nel non funzionale. Percepisco il fascino dei luoghi abbandonati, logori, decadenti – Beauty In Deconstruction, come dicono i Theatre of Tragedy – ma non tollero il disagio che deriva quando l’incuria arriva dove non dovrebbe. Odio aver mangiato la polvere tutto il pomeriggio perché nessuno è passato a ripulire le strade dopo gli interventi. Odio le pozzanghere che da anni e anni si formano su certi attraversamenti pedonali (e su cui non sono intervenuti nemmeno approfittando di dover riasfaltare per i lavori!). Non posso accettare di vivere circondato da tutto ciò.
Ma poi mi ricordo di come riesce a ridursi camera mia quando attraverso uno dei miei periodi peggiori, e allora mi chiedo: così come quella stanza riflette il mio stato interiore, la mia incapacità di intervenire, la mia accettazione di avere abbastanza spazio per passare in mezzo al disordine e di non crepare di allergia per la polvere, anche le strade dissestate e polverose sono il riflesso dello stato della nostra società?
Siamo una società depressa? Ci accontentiamo dello stato delle cose fintanto che non diventano del tutto non funzionanti, perché il nostro malessere collettivo è talmente acuto che ci toglie le forze per intervenire? Siamo ormai abituati al degrado e non riusciamo a ricordare né immaginare un modo migliore per vivere?
Ma soprattutto, come spezzare il circolo vizioso che fa sì che continuiamo a peggiorare la situazione? Perché più delle mattonelle crepate sul marciapiede davanti alla farmacia, a farmi arrabbiare è il motivo per cui sono così: la gente che ci parcheggia sopra anche se non dovrebbe, anche se non lascia più passare, anche se c’è l’incrocio, perché tanto sono solo cinque minuti, perché se no dove mettono la macchina, perché non c’è un vigile urbano che faccia il suo dovere e passi a lasciare una sfilza di multe, perché nessuno si lamenta abbastanza da fare massa critica e pretendere almeno che si mettano dei picchetti dissuasori a bordo marciapiede.
Forse viviamo davvero in una società depressa, perché la sensazione che ho avuto oggi mentre masticavo manciate di polvere è stata quella con cui combatto in molti momenti della mia malattia: pura e semplice impotenza e mancanza di speranza.
No comments:
Post a Comment