Saturday 15 February 2020

Gli impiccioni

Da piccolo odiavo che a pranzo i miei genitori guardassero “gli impiccioni”. A quanto pare, già allora, in tempi non sospetti, avevo scarsa stima degli organi d’informazione nazionali, perché era così che chiamavo i telegiornali. La ricordo proprio come un’antipatia viscerale, un vero e proprio fastidio fisico, un prurito, che mi prendeva appena partiva a sigla del TG1. E non era nemmeno una questione di voler piuttosto guardare i cartoni animati, quanto di non capire a che titolo quelli lì si permettessero di “impicciarsi” nelle vite delle persone e spiattellarle in televisione a tutta l’Italia.

Nel corso degli anni, non posso dire che il mio rapporto con gli organi d’informazione nazionali si sia sanato, ma è mutato a più riprese: durante l’adolescenza, il telegiornale era una buona scusa per non parlare a tavola; fra i diciannove e ventun anni, quando sono andato a vivere da solo, mi sono chiuso completamente nella mia torre d’avorio ed evitato qualsiasi fonte di notizie, tant’è che tuttora ho un grosso buco sulla fine dell’era berlusconiana e come il suo colpo di coda finale abbia esacerbato la crisi economica; poi ho superato il periodo wildiano in cui solo l’arte aveva importanza, ho iniziato a impegnarmi su diversi fronti sociali, e da lì ho avuto bisogno di essere il più informato possibile.
Al momento, pur sentendo la necessità d’informarmi, sono tornato a un cordiale disprezzo nei confronti della stampa nostrana perché, semplicemente, non la reputo capace di svolgere il suo lavoro. Nella frenetica corsa appresso a visibilità, immediatezza e profitto (ultimamente mi sto riscoprendo sempre più anticapitalista), trascura tutta la parte relativa alla qualità, come il controllo delle fonti, il limitarsi a dare le notizie senza aggiungere giudizi emotivi, il non dare autorevolezza a voci che non la meriterebbero, il non infiammare ulteriormente il dibattito pubblico eccetera.
Insomma, se non è una notizia importante strettamente nazionale, per conoscere la quale mi affido a Breaking Italy, preferisco di granlunga leggere la stampa internazionale ed estera, sulla cui serietà nutro meno dubbi.

A prescindere da questo, però, mi sono reso conto di quanto il mio modo di consumare le notizie sia diverso da quello, ad esempio, della generazione dei miei genitori, quella che ne “gli impiccioni” ci sguazza proprio.
Giusto poco fa, mentre ero in bagno, ho sentito la Mater che strillava uno dei suoi “Ossignore!” di scarso valore, quelli che ho imparato a ignorare. Perdendo tempo sul sito della Nuova Sardegna, aveva infatti letto la notizia di uno scontro automobilistico a Platamona con quattro feriti.

So what?
No davvero, quindi? Che me ne frega?

Onestamente, quando dedico il mio tempo all’informazione, guardo il quadro generale, the big picture. Mi interessa sapere di cosa si discute a livello governativo (anche se ormai qui da noi è sempre più solo caciara), quali sono le correnti etiche e morali che ostacolano o agevolano il progresso della società, qual è la situazione internazionale, quali sono state le ultime scoperte scientifiche o innovazioni tecnologiche: insomma, le cose che hanno direttamente a che fare con il mondo, col continente in cui vivo, col mio Paese, i cui effetti possono (come si è discusso) influenzare direttamente la vita mia e dei miei cari.
Ma la cronaca nera? Eccetto i rari casi in cui anche quella rientra nel quadro generale (attentati con conseguenze a lungo raggio, fenomeni sociali da sradicare, incidenti che coinvolgono servizi pubblici o luoghi d’interesse, eccetera), che mi serve sapere che tizio ha ucciso caio, che c’è stata una retata di piccoli spacciatori di marja, che si è ribaltata una macchina a Platamona?
È proprio questo che, da piccolo, contestavo agli “impiccioni”, pur senza riuscire a definirlo precisamente: la spettacolarizzazione delle vite altrui nel loro momento più difficile. Lo trovo crudele e di cattivo gusto.

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