Monday 24 February 2020

Plague Inc. Italia

La cosa è nata come battuta parlando con Katia: “Hey, io però di solito da Fiorellino mi metto a mangiare al tavolo vicino alla finestra! Non vorrei beccarmi una sassata sul piatto o in testa se i fascisti triestini decidono di fare la Kristallnacht a La Grande Shanghai!”
Poi ho avuto un brivido di orrore e sono andato a googlare se per caso ci fossero stati davvero incidenti del genere, ché a questo punto nulla è più inverosimile in Italia: per fortuna no, ma mi è saltato all’occhio un articolo de Il Piccolo in cui si parlava di autoquarantena della comunità cinese di Trieste.

Per fortuna, Fiorellino sta bene e la Grande Shanghai c’entra solo perché hanno messo una sua foto nell’articolo; il succo è che i cinesi triestini che sono rientrati dall’Asia nelle ultime settimane si sono messi di loro sponte in quarantena e subito la comunità si è attivata per formare una rete di consegna a domicilio della spesa, con lista inviata via WhatsApp e merce consegnata fuori dalla porta per evitare qualsiasi contatto fisico diretto. Semplice ed efficiente, ma basata sul senso di responsabilità individuale e di solidarietà comunitaria.

Due cose che, a quanto pare, mancano completamente agli italiani. La collettività si sta sgretolando completamente – ed è probabilmente la fase avanzata, dopo venticinque anni, del cancro partito dal berlusconismo con la sua infinita enfasi su “libertà”, specie dalle regole. Si fa un gran parlare di diritti, dimenticando che sono sempre accompagnati dai doveri.
E alla base di tutto ciò, c’è proprio la totale assenza del senso di responsabilità individuale. Un italiano che torna dalle zone a rischio non si isola per il bene comune, no: va a ristorante, al bar, in discoteca, in palestra, incontra, abbraccia e bacia quanta più gente possibile senza pensare minimamente alle conseguenze. Un italiano al cui paesino si prescrive la quarantena non rimane lì per evitare di mettere a rischio le persone a cui vuole bene, no, salta in macchina (spero, ché se era in treno sarebbe da linciare) e percorre mezzo Stivale per mettere a rischio (e far mettere in quarantena) tutta la sua famiglia e magari anche l’intero paese in una zona che ancora non era stata toccata dal contagio.
E nel frattempo, si grida all’untore puntando il dito sempre su quelli diversi, perché è una soluzione facile e d’effetto, o sulle istituzioni, che non possono passare casa per casa con malta e mattoni a murare la gente dentro. Perché scaricare la colpa su qualcosa al di fuori è sempre comodo.

Così come è comoda la reazione collettiva ora che il virus si è diffuso.
Perché, ora, tutti sono corsi a svuotare supermercati e farmacie con scene da b-movie post-apocalittico, mentre prima per la quarantena preventiva (solo degli italiani, dei cinesi chissene) si levavano i cori di proteste? Ovvio, perché il panico ci fa sentire protagonisti: c’è qualcosa di grosso che sta succedendo e ne siamo parte integrante. Ci dà quel brivido che manca alle nostre squallide, noiose vite di periferia e possiamo essere noi i protagonisti di del b-movie che la nostra stampa scadente ha cercato di vendere per guadagnare due euro in più.
La cautela, invece, ci limita, ci obbliga a stare in casa e guardare il mondo dalla finestra, ci relega alla noia con ben poco da fare se non pensare – qualcosa che, ammettiamolo, ultimamente gli italiani non sono tanto allenati a fare.

Ieri ho pensato che forse questo coronavirus sarebbe stato un’occasione per correggere il corso della nostra società, che un sonoro spavento avrebbe quantomeno messo a tacere le posizioni antiscientifiche, antivaccinise, anti-Big Pharma eccetera. Poi ho fatto un giro su internet e mi sono reso conto con tristezza che difficilmente ciò accadrà.
Se siamo il singolo Paese con più contagi fuori dall’Estremo Oriente è perché quest’emergenza l’abbiamo accolta e la stiamo affrontando, come sempre, alla carlona, senza il minimo senso di responsabilità individuale o sociale, e senza soffermarci a fare quelle due domande che, quantomeno, potrebbero farci imparare qualcosa. Non mi stancherò mai di ripetere che lo Stato siamo noi e le nostre istituzioni sono efficienti solo quanto noi permettiamo loro di essere.
Di questo passo, non usciremo mai dal pantano in cui siamo sprofondati già fino ai gomiti.

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