Inutile dirlo, di essere arrivato in Terra d’Africa me ne sono accorto nel giro poco più di dieci minuti dallo sbarco: il signor Procreatore è venuto a prendermi al traghetto e abbiamo impiegato mezz’ora per uscire dalla zona industriale di Porto Torres pur in totale assenza di traffico perché non esisteva un singolo cartello che indicasse la direzione per Algeri… oh, pardon, Alghero (nonostante tutte le altre destinazioni importanti della regione come Cagliari, Sassari o Timbuctù fossero indicate). Alla fine, ci siamo affidati alla nostra buona stella, e fortuna che non c’erano occultazioni (di navigatore satellitare non si parla nemmeno, ovvio).
La seconda conferma l’ho avuta dopo neanche metà della strada, quando il cartello all’incrocio (ormai fuori da Porto Torres) indicava “Alghero 20 km” e circa dieci minuti di viaggio dopo c’era “Alghero 21” (ovviamente, procedendo lungo la strada la meta si allontana). E, per completare il quadro, dopo un po’ ho visto le pecorelle biancherelle (cit.). (Per inciso, se alla parola “pecorella” associate un voluminoso e morbido batuffolo di lana, dimenticatevelo: le pecore della Terra d’Africa sono da latte, quindi la lana è sfibrata, infeltrita, stopposa e pure lurida e appiccicaticcia).
Escludendo il cantiere che ho trovato al posto della fontana di benvenuto all’ingresso settentrionale della “città” (che parolone!), Alghero non mi ha provocato la reazione repulsiva (o addirittura allergica) che mi aspettavo, nonostante ci fossimo immediatamente lanciati in un rally selvaggio negli sterrati urbani (trovare un metro quadro di asfalto senza buche in una delle vie cittadine è un lusso per Europei). Ma è anche vero che non ho ancora avuto a che fare direttamente con gli Algerini… pardon, Algheresi (se non per l’usuale parcheggio in tripla fila anche alle 8 del mattino). Sto cercando di prenderla con calma, in modo da non ritrasformarmi in un otaku per queste due settimane. Intanto, poter dire che “in fondo, siamo ad Alghero” con Giovix sarà un ottima valvola di sfogo. Poi, anche sputare bile e acido sul Santuario (per il quale sto progettando un radicale cambio di template) servirà da catarsi. Mah, auguratemi buona fortuna, ne ho bisogno.
La seconda conferma l’ho avuta dopo neanche metà della strada, quando il cartello all’incrocio (ormai fuori da Porto Torres) indicava “Alghero 20 km” e circa dieci minuti di viaggio dopo c’era “Alghero 21” (ovviamente, procedendo lungo la strada la meta si allontana). E, per completare il quadro, dopo un po’ ho visto le pecorelle biancherelle (cit.). (Per inciso, se alla parola “pecorella” associate un voluminoso e morbido batuffolo di lana, dimenticatevelo: le pecore della Terra d’Africa sono da latte, quindi la lana è sfibrata, infeltrita, stopposa e pure lurida e appiccicaticcia).
Escludendo il cantiere che ho trovato al posto della fontana di benvenuto all’ingresso settentrionale della “città” (che parolone!), Alghero non mi ha provocato la reazione repulsiva (o addirittura allergica) che mi aspettavo, nonostante ci fossimo immediatamente lanciati in un rally selvaggio negli sterrati urbani (trovare un metro quadro di asfalto senza buche in una delle vie cittadine è un lusso per Europei). Ma è anche vero che non ho ancora avuto a che fare direttamente con gli Algerini… pardon, Algheresi (se non per l’usuale parcheggio in tripla fila anche alle 8 del mattino). Sto cercando di prenderla con calma, in modo da non ritrasformarmi in un otaku per queste due settimane. Intanto, poter dire che “in fondo, siamo ad Alghero” con Giovix sarà un ottima valvola di sfogo. Poi, anche sputare bile e acido sul Santuario (per il quale sto progettando un radicale cambio di template) servirà da catarsi. Mah, auguratemi buona fortuna, ne ho bisogno.
Sai quanto ti capisco, inutile dirlo
ReplyDeleteBea
ReplyDeleteScemotto, casa è sempre casa.
Goditela finché ci stai. :*
dai che ci torni presto dai TRIESTINI
ReplyDelete(notare bene: dai triestini non a trieste
beeello il template
ReplyDelete