A dirla tutta, questo post l’ho scritto ieri ad impressioni fresche, ma visto che la presmessa sull’afterglow mi è sfuggita di mano e ha assunto le dimensioni di un post autonomo, questo ha dovuto attendere.
Dato che wireless o non wireless non si vive di solo internet, stasera, dopo mesi di clausura, ho finalmente rinverdito un po’ i fasti della mia vita sociale triestina. A dire la verità, se ho cercato di organizzare un’uscita di gruppo era più perché avevo voglia di andare al Bire, il ristorantino tedesco, e mangiare una bella bretzel che non perché fossi in vena di compagnia – e peraltro alla fine abbiamo optato per andare a mangiare una pizza al Paulaner, per cui niente bretzel – ma tutto sommato per una serata di svago ci poteva anche stare. Devo cercare di riabituarmi ad uscire: alla fine, rientra fra quelle attività che quando sono a casa mi fanno storcere il naso, ma che mentre si svolgono mi danno soddisfazione. Fra le cose da segnalare sulla serata, ho fatto fuori due sorbetti al limone dopo la pantagruelica pizza del Paulaner, ho rischiato di perdere il mio adorato basco (ma che ironia), e ho trovato una potenziale candidata per un demone androgino della mia serie (dovrò dare uno sguardo alle biografie per vedere chi mi ispira).
Trieste è già addobbata a festa nonostante sia ancora solo novembre, con Piazza Unità che ospita le due file di abeti decorati con luci e palline rosse (enormi, a dire il vero), ma ha sempre qualcosa da offrire al mio lato Decadente: un cielo cupo e denso che si fonde con il mare cancellando totalmente l’orizzonte, con la luna che di tanto in tanto si affacciava fra i batuffoli per gettare una chiazza di luce evanescente sulle onde languide che si cullavano vicendevolmente a breve distanza dalla punta del Molo Audace, dalla quale penzolavano le gambe mie e di una mia amica, intenti ad osservare i gabbiani che nuotavano pigramente nel buio e a chiacchierare del più e del meno. È stato quasi con una fitta dolorosa che mi sono accorto un’altra volta del fatto che il mondo è straordinariamente bello: gli accostamenti di colori, le luci che ondeggiavano sull’acqua, i flutti che si ridisegnavano costantemente... Forse sto lentamente riuscendo a tornare in grado di assaporare ciò che vedo in sé e per sé, senza pensare a quanto bello sarebbe se riuscissi a catturarlo in foto e crogiolarmi nel rammarico perché qualcosa me lo impedisce. Osservando quel punto di mare in cui nessuna luce disegnava i contorni e l’orizzonte si annullava in un nero assoluto ed avvolgente, ho sentito una distinta sensazione di serenità, perfetta ed assoluta, senza che nessun pensiero potesse guastarla.
Ora, invece, il problema principale della giornata è: come cavolo faccio a schiodarmi le Sugababes dalla testa? Le ho riesumate ieri sera per un topic sugli scheletri musicali nell’armadio su Epica Italy, e ora me le sento nelle orecchie. Anders, vienimi in soccorso (Oooh Anders, come near me, be the one for meeeee)!
Dato che wireless o non wireless non si vive di solo internet, stasera, dopo mesi di clausura, ho finalmente rinverdito un po’ i fasti della mia vita sociale triestina. A dire la verità, se ho cercato di organizzare un’uscita di gruppo era più perché avevo voglia di andare al Bire, il ristorantino tedesco, e mangiare una bella bretzel che non perché fossi in vena di compagnia – e peraltro alla fine abbiamo optato per andare a mangiare una pizza al Paulaner, per cui niente bretzel – ma tutto sommato per una serata di svago ci poteva anche stare. Devo cercare di riabituarmi ad uscire: alla fine, rientra fra quelle attività che quando sono a casa mi fanno storcere il naso, ma che mentre si svolgono mi danno soddisfazione. Fra le cose da segnalare sulla serata, ho fatto fuori due sorbetti al limone dopo la pantagruelica pizza del Paulaner, ho rischiato di perdere il mio adorato basco (ma che ironia), e ho trovato una potenziale candidata per un demone androgino della mia serie (dovrò dare uno sguardo alle biografie per vedere chi mi ispira).
Trieste è già addobbata a festa nonostante sia ancora solo novembre, con Piazza Unità che ospita le due file di abeti decorati con luci e palline rosse (enormi, a dire il vero), ma ha sempre qualcosa da offrire al mio lato Decadente: un cielo cupo e denso che si fonde con il mare cancellando totalmente l’orizzonte, con la luna che di tanto in tanto si affacciava fra i batuffoli per gettare una chiazza di luce evanescente sulle onde languide che si cullavano vicendevolmente a breve distanza dalla punta del Molo Audace, dalla quale penzolavano le gambe mie e di una mia amica, intenti ad osservare i gabbiani che nuotavano pigramente nel buio e a chiacchierare del più e del meno. È stato quasi con una fitta dolorosa che mi sono accorto un’altra volta del fatto che il mondo è straordinariamente bello: gli accostamenti di colori, le luci che ondeggiavano sull’acqua, i flutti che si ridisegnavano costantemente... Forse sto lentamente riuscendo a tornare in grado di assaporare ciò che vedo in sé e per sé, senza pensare a quanto bello sarebbe se riuscissi a catturarlo in foto e crogiolarmi nel rammarico perché qualcosa me lo impedisce. Osservando quel punto di mare in cui nessuna luce disegnava i contorni e l’orizzonte si annullava in un nero assoluto ed avvolgente, ho sentito una distinta sensazione di serenità, perfetta ed assoluta, senza che nessun pensiero potesse guastarla.
Ora, invece, il problema principale della giornata è: come cavolo faccio a schiodarmi le Sugababes dalla testa? Le ho riesumate ieri sera per un topic sugli scheletri musicali nell’armadio su Epica Italy, e ora me le sento nelle orecchie. Anders, vienimi in soccorso (Oooh Anders, come near me, be the one for meeeee)!



Prima degli Epica si sono esibite due band, i Sons of Season e gli Amberian Dawn: i primi sono stati un enorme scartavetramento di attributi, ed è palese che sono venuti in tour con gli Epica solo perché Oliver, chitarrista e tastierista, è il ragazzo della Simoncina; i secondi li conoscevo già dal concerto dello scorso anno. Fanno un Symphonic Metal molto stereotipato e poco originale, ma nonostante ciò mi sono piaciucchiati sino a quando non è uscito il loro secondo album: essendo questo praticamente uguale al primo (il quale aveva già una canzone uguale all’altra), li ho abbandonati per migrare verso lidi migliori; se non altro, Heidi, la cantante, ha una bella voce e ciò li ha resi meno noiosi della band precedente. Le canzoni del primo album hanno riscosso indubbiamente più successo (probabilmente molti hanno seguito il mio stesso corso, con loro), e mi ha fatto molto piacere che abbiano suonato My Only Star, la mia canzone preferita fra le loro.
Il terzo giorno è iniziato con una corsa per arrivare in tempo ad un appuntamento che è stato ritardato all’ultimo momento, ma che ci ha portato una Ieva in un superbo kimono in seta rossa che faceva il cosplay di un demone volpe ed una Fra in versione infermiera, a cui si sono successivamente aggiunte le nostre tre fanciulle direttamente da Wonderland e la Erica in versione bloody-nurse da Silent Hill (presumo). Io, invece, mi ero ispirato a Rosiel, ed indossavo il completo già ampiamente collaudato di pantaloni neri in damascato, caicia bianca con jabot in pizzo sangallo ornato da nastrini in velluto nero e paltò in damascato grigio scuro a teste di gorgoni con spilla a foglia di felce sul bavero. Alla fine, l’idea di passare per un cosplay di Dorian Gray è stata assunta all’ufficialità. Tralasciando le comiche per mettere le unghie finte a Ieva e il fatto che ha provato sulla sua stessa pelle (della palpebra) che avevo ragione quando dicevo che se la colla per ciglia finte è diversa da quella per unghie un motivo ci sarà, è stata una giornata piuttosto piacevole, allietata da un bellissimo e ben riuscito cosplay di Belial che ho incontrato al Japan Palace e che mi ha fatto brillare gli occhi. Per una ben precisa legge fisica, ogni giorno che passi al Lucca Comics sei costretto a compare qualcosa, e così ho investito il mio denaro in un piccolo poster di una serie che non conoscevo e che promette bene, The Betrayal Knows My Name di Hotaru Odagiri, Immoral Lovesickness di Haruka Minami ed un paltò in broccato di velluto nero con motivi floreali. Dopo cena ci siamo dati ai giochi da tavolo con le carte, il karaoke sulle canzoni degli ABBA (queste sconosciute!) e Super Smash Bros. Melee, grazie al quale mi sono rifatto abbondantemente per la pessima figura fatta con gli ABBA.
Il quarto ed ultimo giorno si è aperto in bellezza con l’incontro con due magnifici cosplay di Astarte e Barbelo di Angel Sanctuary che mi hanno immediatamente messo di buon umore. Ieva ed Erica erano in borghese, e finalmente il mio completo composto dalla camicia di Milano ed il nuovo paltò è stato riconosciuto e fotografato. Fra le scene da segnalare, il trenino in mezzo alla calca: ad una certa Ieva si era accorta di aver dimenticato in un baretto la busta con le chine colorate e, presa dal panico, ha afferrato la mano di Erica, che teneva a sua volta la Nipota, e con me che mi sono attaccato a quest’ultima si è messa a sferragliare come una locomotiva dell’Eurostar in mezzo alla folla, infilandosi in ogni spazio possibile ed immaginabile con una risolutezza tale da far scansare la gente e far procedere il convoglio ad una velocità altrimenti impossibile con tutta quella gente. E così, falciando cos player e bambini fra le risate mie e degli altri due vagoni, siamo riusciti a recuperare tutto senza danni. I miei acquisti si sono limitati ad un CD ed il calendario 2010 di Victoria Francés, che hanno appesantito i già non leggeri bagagli che io e la Nipota abbiamo dovuto successivamente scarrozzare dall’ostello alla stazione.