Friday, 8 April 2016

It’s hard to be me all the time

Ultimamente sono in pieno revival primi Anni Duemila: mentre postproduco il milione di foto che mi hanno commissionato nelle ultime settimane preferisco avere un sottofondo discreto e poco impegnativo che mi tenga compagnia senza distrarmi. Così, ecco che ho ripescato tutta la musica-nostalgia-dei-miei-dodici-e-tredici-anni: Paola & Chiara, Shakira, Anastacia, Alizée e Avril Lavigne. Festival, Laundry Service, Anastacia, Mes Courents Electriques…, Let Go e Under My Skin sono tutti album che posseggo in formato CD, ho importato su iTunes e ogni tanto ascolto.
E no, non me ne vergogno affatto. Per quanto di solito preferisca musica con più spessore, non li considero nemmeno dei guilty pleasure: è semplicemente musica che mi piace e che rappresenta un periodo ben preciso della mia vita.
Ma siccome non si può postprodurre tutto il giorno, a una certa mi sono semplicemente sdraiato a letto, le gambe sollevate contro il muro e il computer accanto a me con Let Go in riproduzione. E ho pensato che, dovessi trovarmi un ragazzo, vorrei che ascoltasse Avril Lavigne.
Beh, vorrei che ascoltasse anche Avril Lavigne; o che l’avesse ascoltata da ragazzino e ogni tanto ci tornasse con nostalgia come faccio io.

Il fatto è questo: per citare Pescy in un’intervista di qualche anno fa, “è difficile essere me tutto il tempo”. Sì, ho degli standard culturali e ci tengo a essere circondato da persone intellettualmente stimolanti; ma quando si prendono troppo sul serio, la cosa diventa tremendamente stressante. Essere all’altezza di qualcuno perennemente impegnato a dimostrare al mondo la sua erudizione alla lunga stanca: dovessi avere un ragazzo accanto, vorrei che potessimo prenderci delle pause e avere poche pretese, ogni tanto, senza preoccuparci di quel che penserebbe la gente.
Anche perché bisogna darle credito, ad Avril: per quanto musicalmente Let Go sia “basic” per fargli un complimento, c’è un’enorme genuinità dietro. Musicalmente e, soprattutto, testualmente, è un album adolescenziale fino al midollo: piccoli drammi quotidiani, ribellione, battibecchi fra sottoculture convinte che il modo di vestire sia fondamentale per definire una persona e duri per sempre… dai, ci siamo passati tutti per quella fase. Se riusciamo a goderci senza problemi cartoni animati, film, videogiochi della nostra infanzia, perché non possiamo anche sorridere e pensare che siamo stati adolescenti negli Anni Duemila assieme ad Avril Lavigne?


Non dico che il periodo delle medie sia stato il peggiore della mia vita, ma poco ci manca. Mi sono ritrovato catapultato da essere uno dei bambini popolari alle elementari a essere il secchione bullizzato, ed è da lì che è nata la mia social awkwardness. Poi però arrivò la musica e, durante la ricreazione, avevo i miei dieci minuti di gloria in cui me ne stavo appollaiato su uno dei banchi ad ascoltarla con le ragazze, a commentare il look di questa o quella cantante, a tentare di decifrare i testi con il nostro inglese maccheronico, a cantare tutti insieme e lanciarci occhiatine maliziose quando coglievamo qualche doppio senso che non c’era ma, foneticamente, ci sembrava. “You fall and you crawl and you break and you take what you get and you turn it into…” e giù a muovere testa e mani a ritmo mentre ci squarciavamo la gola. Riascoltare Avril Lavigne fa ricordare momenti molto piacevoli che avevo dimenticato nella massa indistinta di quello che è stato un periodo difficile, ed è qualcosa che apprezzo molto.
Per cui sì: se mai dovessi trovare un ragazzo, mi piacerebbe che fosse uno che sa prendersi alla leggera il tanto da starcene sdraiati sul letto in versi opposti, i piedi poggiati sul muro, ad ascoltare Avril Lavigne sul mio computer e ridere mentre ci raccontiamo com’eravamo da adolescenti, dei piccoli momenti piacevoli che abbiamo trascorso allora grazie alle nostre passioni, e di come sotto sotto non siamo cresciuti tanto da dover essere seri e colti tutto il tempo.

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