Tuesday, 19 April 2016

Musica italiana, questa sconosciuta

Secondo la mia libreria di iTunes, ho oltre settantatrè ore di musica norvegese sul computer, più di tre giorni di ascolto senza sosta. Per contro, la musica italiana che ho arriva sì e no a cinque ore; fra l’altro, è ripartita così: più di un’ora e mezza per i Dama/Barbara Schera Vanoli declinata in varie salse; un’oretta di Giorgia; intorno a quarantacinque minuti a testa per Carmen Consoli e Paola & Chiara; una quarantina di minuti i Magnifiqat; il resto è sparso in modo vario ed eventuale fra Elisa, i Lacuna Coil, i Rondò Veneziano e gente sconosciuta. Quindi la fetta più grande se la prende un’artista indipendente che, musicalmente, di italiano ha ben poco, il resto è diviso fra vari pezzi di nostalgia di quando ero adolescente e briciole sparse.
Al che sorge spontanea una domanda: sono tremendamente fuori posto in Italia e dovrei fare i bagagli per la Scandinavia, o sono solo un insopportabile snob?

Beh, snob lo sono di sicuro: ormai quanto a generi ascolto di tutto, ma sono tremendamente selettivo. Probabilmente il coefficiente di musica italiana sarebbe lievitato se, ai tempi del solo-metal-e-nulla-più, mi fossi preso la briga di ascoltare i Lacuna Coil e avessi la loro discografia completa sul computer (perché diciamolo, la Norvegia la trainano discografie decennali come quelle di Theatre of Tragedy, Tristania, The 3rd And The Mortal o Sirenia), ma ho preferito concentrarmi su altre band. E comunque, all’atto pratico, quanto possono essere considerati “italiani”, i Lacuna Coil? Sì, vengono da Milano ma, come i Dama, fanno un genere paragonabile ad artisti americani o dell’Europa centro-settentrionale. Fra l’altro, sono sotto contratto con l’anglo-tedesca-americana Century Media, non con la Sugar o il branch italiano di qualche major internazionale. Eppure, sono gli unici artisti italiani che mi vengono in mente se penso di approfondire sistematicamente la discografia. E degli italiani veri? Mmh… Non seguo Sanremo, né i talent, puntualmente non ho idea di chi manderemo all’Eurovision (mentre mi informo abbastanza sugli altri paesi e scopro spesso delle perle) e, quando mi si nomina qualcuno, Google è il mio migliore amico. Per cui… meh?

Ok, la verità è un po’ più complessa. Non snobbo la musica italiana perchè penso che (tutti) gli artisti siano privi di talento: il problema è l’industria discografica che li sostiene e, spesso, piega. L’industria musicale italiana è incapace di correre rischi, punta sul sicuro, sul solito genere trito e ritrito. Certo, abbiamo perfetti incapaci che durano da secoli e si sono costruiti il successo nutrendosi dell’ignoranza del pubblico, e altri che durano una o due stagioni perché il mercato dell’incapacità è sovrasaturo. Ma poi abbiamo ottime voci sprecate con i soliti autori di fiducia che non riescono a guardare oltre il loro orticello e fanno le canzoni con lo stampino. Va’, al massimo le condiscono scimmiottando qualche tendenza d’Oltralpe o Oltreoceano perché la musica nazionale non ha un’identità abbastanza forte da non subire la dominanza del gusto internazionale, ma la sostanza resta quella. E quando il talento c’è ma viene sfruttato male – anzi, proprio sprecato su musica banale – la cosa è ancora più triste.
Di sicuro anche la musica italiana avrà il suo underground che riesce a proporre qualcosa di non stereotipato, ma è talmente mal distribuito che non saprei proprio chi andare a cercare (per non parlare del fatto che, spesso, si prende troppo sul serio e si atteggia da intellighenzia dei poracci). E sì, anche nel resto d’Europa l’underground resta, beh, underground; ma ci sono realtà che gli permettono di affermarsi perfino su scala internazionale: pensiamo agli Epica, che nella Billboard Top 100 non ci entreranno mai, ma che partendo dai Paesi Bassi si sono ritagliati una nicchia (nemmeno tanto picola) di pubblico in tutto il mondo, dall’Est Europa al Sudamerica e perfino negli Stati Uniti. O artisti norvegesi tutto sommato underground che riescono a crearsi un seguito nonostante propongano un genere più ricercato, come Susanne Sundfør o, in particolare, Aurora: lei sta mietendo un successo enorme e la ritrovo nelle bacheche di gente che non sospetterei mai. Il suo album è sicuramente pop, ma si prende dei rischi, sperimenta, fonde varie influenze, ha una sua personalità, eppure l’industria discografica norvegese le sta dando la possibilità di emergere a livello internazionale con un debutto pubblicato a diciannove anni.

Per cui non è per pregiudizio che schifo gli artisti italiani: semplicemente, con i gusti che ho, so che se soddisfano i criteri per essere resi popolari dalla nostra industria discografica, le probabilità che finisca a sbadigliare a metà della prima canzone sono molto alte. Poi ovvio, è una questione di miei gusti personali, ma se l’unico cantante italiano con più di settantacinque milioni di dischi venduti internazionalmente e che non sia in attività dagli Anni Sessanta è Andrea Bocelli, con la sua versione per ignoranti di canto lirico, forse un paio di domande sull’efficacia delle scelte dell’industria musicale italiana me le porrei.

1 comment:

  1. Yeee conosci Aurora!
    Nelle tue pagelle musicali del 2015 non hai messo l'EP di Running With the Wolves, quindi pensavo che non la conoscessi o non t'interessasse.
    Concordo con te: il suo album è pop fino al midollo, ma tremendamente personale e, a mio giudizio, fatto bene.
    Di mio posso dire che la sto consigliando un po' a destra e a manca, perché credo che possa essere apprezzata da un'ampia schiera di ascoltatori.
    Per il resto, la musica italiana - quella cantata in italiano, intendo - è, per me, banale e sempliciotta. Ogni tanto qualche bel pezzo mi piace ascoltarlo, ma si tratta spesso e volentieri di brani vecchi.
    Inoltre non posso che concordare sui talenti sprecati, primo fra tutti sicuramente è Annalisa: la canzone che ha presentato l'anno scorso a Sanremo era un semi plagio di "Tanti Auguri" di Raffaella Carrà, mentre a questo giro ha presentato un brano che reputo decisamente brutto. Mah. :/

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