Sunday 4 January 2009

Twothousandandfive

Non sono tornato indietro al 2003, quando la Strega Artemisia si nascondeva indisturbata nei vicoli del centro storico di Alghero e scatenava terribili tempeste contro di noi, faceva saltare la luce, disseminava di segreti la Cattedrale (in particolare l’ossario) e risvegliava il potere della Premonizione.
Non sono tornato indietro al 2004, quando il mio computer fioriva di video di Final Fantasy VIII montati sulle canzoni degli Evanescence e io tentavo di crearne uno per ogni singola traccia apparsa nella loro discografia, e mi dedicavo alla creazione di wallpaper dedicati al gioco.
Non sono tornato indietro al 2006, quando di tanto in tanto staccavo da Lot, mentre Dorian – che ancora aveva Zell nell’avatar – attendeva Ashalind, per dedicarmi al gioco che avevo installato sul pc.
Non sono tornato al 2007. Né al 2008.

Giocando a Final Fantasy VIII sono tornato al 2005.

Non ricordo nulla di quell’anno. Eccetto forse gli ultimi otto giorni, i primissimi passi a Lot. In verità, se si escludono gli Evanescence (e i Within Temptation, che però la mia memoria alterata rende più recenti), in generale ricordo molto poco di tutto ciò che è accaduto prima del 2006, come se la mia vita fosse iniziata solo allora. Roberta, Margherita, Giada, Elina, Elisabetta… perfino Silvia e Annalisa non sono che nomi, poco più che figure polverose in lontananza, nascoste dalla nebbia. Ma del 2005, nello specifico, non ricordo proprio nulla, se non rimestando a fondo e con gran cura.


Allora riemerge Luana, riemergono l’Irlanda e il mio pieno periodo pagano, riemergono la nuotata a Santa Marinella e la prima visita al cimitero di Roma. Ma sono comunque solo flash isolati e sconnessi. La quotidianità non esiste, è un bianco sconfinato e vuoto.

Ma… se provo ad aguzzare la vista, dalla nebbia si dipanano alcune immagini che avevo dimenticato completamente. Pomeriggi nuvolosi in cui mamma era in negozio e io davanti al computer. E leggevo, leggevo una serie di fanfiction su Final Fantasy VIII in inglese. Le ho ritrovate sul mio hard-disk in una cartella che ormai non notavo più, sebbene ci passassi davanti piuttosto spesso. E le ho cercate nuovamente su internet qualche tempo fa, ritrovandole esattamente dove stavano, su
Bishonenink. Ricordo che mi rattristavano sempre, forse perché mi mettevano nostalgia del gioco, al quale non giocavo da tanto. O forse perché è il gioco in sé ad avere un tono così malinconico, soprattutto negli ultimi due CD. E ricordo nitidamente del sangue che mi si agitava dentro, di come le trovassi così terribilmente sbagliate, così terribilmente distaccate dalla trama, eppure non riuscissi a staccare gli occhi da quelle parole, di quanto ne fossi attratto irrefrenabilmente. Certo, il germe di una delle rivoluzioni che sarebbe scoppiata di lì a pochi mesi, nel 2006, c’era già da allora. Forse, anzi, proprio quello è stato uno degli eventi che mi ci hanno condotto. Eppure, quell’anno lo ricordo molto poco. E nel rievocarlo, nel rievocare quei pomeriggi, nel rileggere quei racconti, sento una fitta al petto e il respiro si affievolisce. Non sono mai riuscito a leggerli tutti. Non so se ci proverò ora, che per me sono poco più impegnativi che in italiano. Le sensazioni che mi scatenano fanno eco a quelle di un tempo, e la cosa è troppo strana, quasi insopportabile. Ma piacevole. E spiacevole. E dolce. E rattristante.

Non riesco più a capire cosa provo, in questo momento. Mi viene solo da piangere.

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