Ci rinuncio. Non riuscirò mai a dire “Alpenliebe” in scioltezza dentro una frase: dovrò sempre fermarmi un secondo a rifletterci sopra. Anche di questo, come di mille altri tic, ringrazio mio padre: già la sua proprietà dell’italiano è dubbia, figurarsi del tedesco, così le caramelle sono diventate le “Ampellibe” (singolare: “Ampelliba”) e da che ho memoria, intorno ai tre anni, per me si sono chiamate così e non mi sono mai abituato alla pronuncia corretta.
Il primo pacchetto me lo comprò lui un pomeriggio in un bar in centro. Non ricordo se è stato lo stesso giorno in cui ho letto per la prima volta (la scritta “BAR” in verticale nell’insegna verde su bianco – era nuvoloso), di sicuro non era lo stesso giorno né lo stesso bar in cui ho imparato che le cuticole alla base delle unghie non si strappano a mano, ché fa un male cane ed esce il sangue. Ma il periodo era quello.
Divago. Dicevo: il primo pacchetto me lo comprò lui un pomeriggio in cui avevo sui tre anni così, per farmi un piccolo regalo. Non sono mai diventate un’abitudine, sono rimaste una cosa rara che mi si prendeva ogni tanto; non per premiarmi di qualcosa, ma così, tanto per. Un po’ come l’“acqua minerale”, ovvero il bicchiere di acqua frizzante che prendevo al bar (mi piaceva accompagnare mio padre al bar proprio per bere l’acqua frizzante, ed ero convinto che la vendessero solo ai baristi e non alla popolazione generale; continuo a divagare).
Comunque, eccomi qui, quattro settimane dopo il post volutamente fumoso. Le liquirizie Amarelli non si sono rivelate una buona soluzione perché ne ho abusato in un momento di stress e hanno peggiorato la situazione facendomi impennare la pressione. Così, nei giorni successivi ho riempito la bella scatolina di latta con stampa Art Nouveau di Ampellibe e ho usato quelle. Tanto ora le fanno senza zucchero, i miei denti hanno ringraziato.
Le Ampellibe sono ottime candidate perché è ciò che sono sempre state: un piccolo, effimero piacere fine a se stesso. Il loro gusto è indissolubilmente associato a quello.
In questi giorni, la mia risolutezza vacilla. Mi preparo a scendere giù, so che sarà una bella prova per i miei nervi (sia il viaggio in sé, sia la permanenza, sia le faccende che probabilmente dovrò sbrigare) e i miei livelli di stress stanno di nuovo impennando.
Ci sono stati altri momenti in cui ho vacillato, a parte il meltdown per la carne andata a male. Da bravo overachiever, mi aspettavo di esserne bellamente fuori
dopo una, due settimane, passato il picco immediato, e mi sono colpevolizzato per avere ancora quella
nostalgia. A quel punto mi sono detto che Roma non è stata costruita in un giorno e se perdere vecchie abitudini fosse così facile, lo farebbero tutti a destra, manca e centro e non ci sarebbe bisogno di tutta la caciara che ci si costruisce intorno. Questo mi ha dato la giusta prospettiva e la forza di proseguire per il sentiero, certo che i risultati arriveranno col tempo e la costanza.
Il trucco, come dicevo, sta nello slegare i piccoli momenti quotidiani. Cucinare e lavare i piatti; lavarmi e asciugarmi i capelli; finire di scattare le foto; fra una puntatina e l’altra la notte; uscire rotolando dalla Grande Shanghai; buttare giù una palestra di Pokémon Go. Alcune di queste cose le faccio meno volentieri di altre, e per quello avevo bisogno di darmi un premio; le altre avevano solo bisogno di una chiusura soddisfacente. Ecco, le Ampellibe sono diventate quel piccolo premio o epilogo per qualche giorno, finché ho deciso di farne a meno. Hanno aiutato a costruire un altro pezzetto di Roma.
Il trucco, come dicevo, sta nello slegare i piccoli momenti quotidiani. Cucinare e lavare i piatti; lavarmi e asciugarmi i capelli; finire di scattare le foto; fra una puntatina e l’altra la notte; uscire rotolando dalla Grande Shanghai; buttare giù una palestra di Pokémon Go. Alcune di queste cose le faccio meno volentieri di altre, e per quello avevo bisogno di darmi un premio; le altre avevano solo bisogno di una chiusura soddisfacente. Ecco, le Ampellibe sono diventate quel piccolo premio o epilogo per qualche giorno, finché ho deciso di farne a meno. Hanno aiutato a costruire un altro pezzetto di Roma.
Adesso dovrò affrontare la madre di tutte le situazioni che richiedono gratificazione: il viaggio. La partenza, la pausa a Mestre, l’arrivo, tutti momenti che hanno bisogno di essere scanditi. E ci sarà la notte in aeroporto. E poi lo stress di essere giù. Prima giù era più facile, ma da quando ho creato una quotidianità di piccoli rituali anche lì, non saprei. La ritualità qui l’ho in buona parte smontata, lì dovrò ricominciare daccapo con ancora più stress sulle spalle.
Ma posso farcela. Al massimo mi comprerò le Ampellibe e andrò avanti con quelle.
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