Monday, 19 February 2018

Special K

“Avrebbe potuto confidarsi almeno con me” disse Lenox, con una punta di amarezza.
“Sì” confermò Poirot con aria grave. “Avrebbe potuto fidarsi di voi. Ma mademoiselle ha passato tanta parte della sua vita ad ascoltare, e quelli che hanno tanto ascoltato hanno qualche difficoltà quando si tratta di parlare; si tengono dentro dispiaceri e gioie senza dir niente a nessuno.”
Il personaggio con cui mi identifico maggiormente in The Mystery of the Blue Train di Agatha Christie è Katherine Grey, dama di compagnia (leggi: badante) di un’anziana signora che, alla sua morte, è nominata erede universale e, con quei soldi, fa un viaggio che la coinvolge nell’avventura principale.
Ovviamente non per i soldi, ma perché Katherine “ascoltava solo a metà, ma intervenendo sempre a tono quando la signora s’interrompeva” e provava una “curiosa sensazione di sdoppiamento, cui era ormai abituata” anche mentre ascoltava altre persone chiacchierone.
Io di persone chiacchierone e che mi parlano sopra ne conosco molte.

Ultimamente sto postando molto, come non succedeva da anni (ora che l’ho detto, probabilmente, la magia finirà e non scriverò per i prossimi sette mesi). Precisamente da quando ancora ero abbastanza giovane e ingenuo da pensare fosse una buona idea spiattellare i miei piccoli drammi quotidiani su internet. Poi invecchiando (ormai non posso più dire “crescendo”) ho cambiato prospettiva, anche con l’arrivo dei social: i drammi quotidiani abbastanza stupidi da condividere trovavano posto su Facebook, quelli troppo pesanti per finire su Facebook era meglio tenerli per sé, e quando hanno chiuso Splinder ho perso l’abitudine a scrivere di me. Ed è così che, da quando mi sono spostato su Blogspot, ho preferito parlare di ciò che succede nel mondo, spesso lontano da me, piuttosto che di me stesso. Per quanto si tratti di film, libri, opere o avvenimenti politici che sento in qualche modo vicini, e che presento secondo la mia opinione e il mio vissuto, sono pur sempre un filtro fra me e il lettore, un modo di affrontare il mio mondo interiore più indiretto che scrivere “oggi mi è successo quello, mi sento così e penso questo”.

Ora il cerchio si chiude: sono tornato a condividere anche più del dovuto altenrando a faccende più globali. La Katherine Grey che è in me ha bisogno di essere ascoltata, ma non è molto brava a parlare: scrivere è un buon modo per fare ordine in faccende che confiderei a una sola persona al mondo (restando in tema “K”), assolvendo alla funzione comunicativa (e auto-comunicativa) senza pormi direttamente al centro dell’attenzione come sul feed di Facebook (perché siamo onesti: chi ci capita più, su un blog, se non inciampa su un link nei social?). Da questo punto di vista, sono contento di aver avuto la costanza di mantenere in vita un blog per tutti questi anni, anche se con periodi di magra: in momenti come questo, in cui ho bisogno di scrivere, posso farlo su uno spazio che documenta una parte della mia vita adulta e sento quindi come un prolungamento di me.
Del resto, forse da giovane non ero più stupido, ma meno rassegnato alla mia vita, con più forze per analizzare ciò che succede (anche se sotto forma di rant) per esorcizzarlo e capire come cambiarlo. Fissare i pensieri e, soprattutto, rileggerli è uno strumento davvero prezioso per chi è disabituato a far sentire la voce.

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