Altro post che, probabilmente, non vedrà la luce del sole. O al massimo la vedrà fra qualche mese assieme all’altro: vero che sono sfoghi che scrivo principalmente per me, per non continuare a rimuginarci caoticamente sopra, ma ci sono anche epifanie che preferisco conservare in forma scritta (e non solo nelle bozze); d’altro canto, sono questioni che non mi sento ancora di esporre su internet, per cui un buon compromesso è segnarmi le date e buttarli fuori in silenzio quando altri post li avranno scalzati dalla prima pagina, senza troppa visibilità.
Ma andiamo in ordine.
L’altro ieri al risveglio mi sono trovato un messaggio della Mater che, campionessa di tatto e savoir-faire come sempre, ha scritto: “Ale, devo parlarti urgentemente”. La cosa migliore da scrivere sapendo che tuo figlio soffre di disturbi d’ansia, ve’?
Ora, da una parte c’è il fatto che il suo uso di “urgente” e derivati è molto, molto liberale e può significare di tutto da “Il palazzo ha appena preso fuoco” a “Aiuto, non so che squadra schierare per buttare giù una palestra in Pokémon Go”. Considerando che di solito tende alla seconda, un “fottesega della tua urgenza” ci sta tutto, come con la storia dell’“Al lupo, al lupo”. Ma se fosse davvero qualcosa di serio?
Ribadisco: soffro di disturbi d’ansia. Lei lo sa benissimo. “Urgente” è una parola che mi triggera come poche. Potrebbe evitarla e scrivermi direttamente di cosa si tratta – e fottesega se è troppo pigra per digitare e preferirebbe sentirci a voce, sa che non è il mio metodo di comunicazione preferito. Specie perché ne abusa e quei quindici minuti diventano, nel caso migliore, quarantacinque, in quello peggiore si arriva al doppio nonostante le dica a più riprese che devo fare qualcosa, o devo uscire, o sarei dovuto uscire dieci minuti fa, o dovrei già essere lì. Da dieci minuti. (E no, cara mamma, non è che ci si sente raramente quindi hai più cose di cui parlare, perché lo fai anche quando ci si sente a distanza di due giorni).
Il fatto che si inventi urgenze con tanta leggerezza mi irrita, perché significa o che non considera il mio disturbo una cosa reale che non andrebbe provocata, oppure lo usa deliberatamente per spingermi a telefonarle ed evitarsi il messaggio articolato. Not cool in ogni caso, perché mostra che non ha la minima considerazione per come sto.
Il motivo per cui mi sono rovinato l’intero pomeriggio prima di esplodere invece che cedere, telefonarle e chiederle quale fosse l’urgenza, oltre al fatto che avevo da fare e non volevo proprio sprecare un’ora e mezzo al telefono con lei, è che sentirci a voce mi avrebbe costretto a rivelare la data del mio volo per scendere a votare… che non avevo ancora prenotato. Perché, fosse per lei, sarei dovuto scendere praticamente già subito, o comunque in tempo per il suo compleanno (un giorno che preferirei tenermi buono per Katia, visto che è anche il suo), mentre io ho preferito posticipare.
Comunque, dicevo, alla fine sono esploso sotto forma dei messaggi su cui parte di questo post è basato e ho incanalato quell’incazzatura nella forza che mi serviva per prenotare i voli. Almeno una cosa è fatta. Ancora non ho sentito la Mater perché devo solo decidere se dirle la verità – che scendo il 27 perché voglio ridurre il più possibile il tempo da trascorrere lì – o giustificare la data “tarda” inventandomi uno shoot a Bologna che poi salterà all’ultimo momento perché la modella si beccherà una brutta influenza.
Sì, la mia vita famigliare è basata su bugie bianche (e non), ma non ho proprio voglia di subire tutto il drama ingiustificato che tirerà fuori sul fatto che non voglio passare più tempo con lei, invece che chiedersi perché.
Ad ogni modo, alla fine cede lei e mi scrive qual è l’urgenza: c’è una riunione di condominio in arrivo e le serve entro martedì una foto della ricevuta di un acconto che ha pagato mio padre.
Ok, almeno è davvero un’urgenza, stavolta.
Ok, almeno è davvero un’urgenza, stavolta.
Solo che ricordate il discorso sul non avere la minima considerazione per come sto? L’anno scorso le ho chiesto chiaro e tondo di smetterla, per favore, di tirarmi in ballo ogni volta che deve comunicare col suo ex marito, e farlo direttamente da sola. È spiacevole, è sempre qualcosa che riguarda la casa e i soldi e, francamente, ci sono momenti in cui eviterei volentieri di avere a che fare con lui.
Ma, più semplicemente, sono stanco. Davvero, sono stanco di farlo. E da qui scoperchiamo il vaso di Pandora.
È molto difficile rivalutare un decennio e mezzo di vita, mettere in questione fatti che si considera assodati e ridistribuire le colpe, ma la realizzazione di come questa sia l’ennesima in una serie infinita di occasioni in cui ho dovuto fare da tramite per mia madre con mio padre mi ci costringe.
Agli occhi di un bambino di sei-sette anni, la mamma ha ragione e il papà torto. Lei cerca di sopravvivere a un divorzio inaspettatamente pubblico, lui è quello che scatena l’avvocatessa, gli psicologi, gli assistenti sociali, le sorelle, mezzo paese contro di lei, travolgendomi nel processo. O, come ho avuto modo di concludere dopo ulteriori avvenimenti, probabilmente mi ha travolto di proposito per ferire lei per procura.
Il fatto è che la situazione iniziale era davvero questa, con lei che cercava di difendere se stessa e me e lui che cercava di attaccare lei e me. L’ho subita da bambino e col tempo si è cristallizzata in una narrazione in bianco e nero che mi ha accompagnato per il resto della vita: lei è quella buona, lui quello cattivo. Il fatto che, ogni tanto, anche dopo dieci cazzo di anni, lui se ne uscisse con una nuova trovata per infrangere la precaria tregua che andava a crearsi non ha deposto a suo favore; ma è anche vero che, mentre lui ha continuato a cercare di usarmi come proiettile per colpire lei, lei l’abitudine di usare me come buffer nel rapportarsi a lui l’ha presa presto e in fretta. Che fosse recapitargli una lettera, comunicargli le spese condominiali, riferire il parere su che sport dovessi fare per la schiena, i costi della gita scolastica, fare “Look, the pie!” mentre si va tutti insieme a comprarmi il computer o il deumidificatore per la camera, ho sempre dovuto fare da ambasciatore.
E poi, siamo onesti: dico spesso che ho iniziato presto a sentire il dovere di “difendere” la Mater evitando di dare occasione all’avocatessa stronza di combinarne un’altra. È così che sono diventato un overachiever che cade a pezzi come se fosse l’apocalisse alla prima défaillance. Ma davvero un bambino di sei-sette anni è capace di formulare un pensiero così complesso? Inizio a chiedermi quanto fossi io che osservavo e traevo conclusioni, e quanto invece abbia ricevuto pressioni sull’essere perennemente impeccabile. Ricordo quattro o cinque scivoloni che furino accolti con drama a non finire, e creare drama pur di spingere a fare o non fare qualcosa, fosse anche solo per sfinimento, è il modus operandi della Mater in generale.
Per cui, sono giunto alla conclusione che ho davvero bisogno di rivalutare la storia della mia famiglia e trasformarla in una scala di grigi. La Mater non è un essere di pura incorruttibilità senza colpe che ha sempre e solo cercato di proteggermi, e lui non è il male incarnato che è sempre stato l’aguzzino. Fermo restando che la bilancia delle colpe pende sempre nettamente a sfavore di lui, qualcuna va spostata sull’altro piatto. Del resto, se mi sono accorto che la Mater mi usa come buffer perché me ne sono improvvisamente sentito molto, molto stanco, evidentemente l’ha fatto ben più che una volta di troppo.
In tutto ciò, chiediamoci come mai, secondo il terapista, oltre al terrore dei conflitti ne ho anche uno della fine in generale – di tutto, dai rapporti ai progetti – perché la percepisco come un processo lungo, doloroso ed estenuante per evitare il quale mi rifiuto spesso anche solo di iniziare qualcosa.
Per concludere, com’è andata a finire la faccenda della ricevuta? Mi ha scritto lui chiedendomi di passargli delle foto che GLI HO GIÀ PASSATO ALMENO SEI O SETTE VOLTE e che di sicuro continua ad archiviare come un deficiente nella parte sbagliata del computer, così ho colto l’occasione per chiedergli anche la ricevuta. Me la manderà domani sera quando torna in paese, e io la inoltrerò alla Mater.
Ma è mai possibile che due adulti autosufficienti non riescano a fare delle semplici azioni come tenere in ordine la loro roba o contattarsi a vicenda senza la mia supervisione?
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