Sunday 4 February 2018

Soupir d’automne (no name to call me by)

C’era qualcosa in quelle parole che tornarono alla mente di Katherine, dopo che era uscita dall’atelier, dandole un vago senso di malinconia.
“Soupir d’automne; oh sì, mademoiselle, pare fatto apposta per voi.” Era già autunno, per lei, senza che avesse mai conosciuto, e senza speranza di conoscere più, né primavera né estate. Tutto ciò era perso, per lei, e nessuno avrebbe potuto restituirglielo.
C’è una cosa in Call Me By Your Name che mi ha lasciato l’amaro in bocca più del finale: è stata la sensazione di quanto della mia vita mi sia scorso accanto senza che provassi ad afferrarlo e godermelo.
Call Me By Your Name è una storia piuttosto semplice, quasi banale: un adolescente si innamora di un uomo più grande, passano un estate insieme fra flirt e passione, e alla fine (spoiler) lui ci rimane scottato malamente. Questa semplicità, oltre a permettere di concentrarsi sullo stile, lascia molto spazio all’esplorazione dei sentimenti dei personaggi, il che va a suscitare un grande impatto emotivo.
Ed è stato proprio rendermi conto delle emozioni provate da questi personaggi che mi ha fatto sentire molto come Katherine Grey da The Mystery of the Blue Train di Agatha Christie nella citazione di sopra: ormai quasi sulla soglia dei trenta, io non le ho mai provate e, quasi certamente, non le proverò mai.

Ci vuole una certa innocenza per essere Elio Perlman. Certo, l’amore va e viene a qualsiasi età, non lo metto in dubbio. È possibilissimo che l’anno prossimo, a trent’anni fatti e compiuti, mi innamori di qualcuno e finisca per farmi trascinare in un vortice di emozioni, sentimenti, dubbi, flirt estivi, pesche e quant’altro. Ma non sarà mai la stessa cosa.
Non ho mai vissuto un vero e proprio amore adolescenziale e non ne vivrò mai uno con quell’intensità. Sono cresciuto, la vita è trascorsa, mi sono indurito, sono diventato cinico, scollegato dai miei stessi sentimenti, diffidente verso il prossimo e cauto nelle relazioni. Non devo rendere conto a nessuno della mia vita (sentimentale e non), quindi non vivrò mai un grande amore in segreto, cercando di non farmi beccare dai miei perché omg, chissà cosa diranno se lo scopriranno. Non ho più l’immaturità per credere ai grandi gesti romantici e con ogni probabilità, se qualcuno se ne uscisse dicendomi di chiamarci con i rispettivi nomi, gli riderei in faccia, perché sono a un punto della mia vita in cui da una relazione mi aspetto concretezza, non giochi spensierati.

Seguendo il dramma di Elio Perlman, mi sono sentito come se mi fosse mancata una parte fondamentale della mia vita. Ho passato l’adolescenza aspettando il momento in cui me ne sarei andato da Alghero e avrei iniziato davvero a vivere. Non ho mai legato davvero con i miei coetanei perché mi sentivo totalmente fuori posto. Le due storie d’amore che ho avuto sono state a distanza ed è mancato loro ogni risvolto fisico. Ho saltato quasi tutta la fase dei primi esperimenti sessuali, in cui è lecito essere goffi e inesperti: il primo ragazzo con cui sono stato non ha mai saputo di esserlo e a quel punto avevo un tale bagaglio di conoscenze teoriche che ho dato una performance impeccabile come se fossero anni che facevo sesso. Non ho mai vissuto nulla di tutto ciò con l’innocenza di un ragazzino, e non so dove ciò mi collochi ora.

Così eccomi qui, a guardare un film su una storia d’amore adolescenziale e provare nostalgia per qualcosa che non ho mai vissuto. Fantastico.

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