Tuesday 31 December 2019

Classifica musicale annuale – 2019

Nelle puntate precedenti:
2017;
2018.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019.

Classifiche generali (51-100):
2018;
2019;

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (ionnalee)
• Sono un fan di iamamiwhoami, quindi anche il progetto solista mi ha incuriosito (compresi gli album pre-iamamiwhoami).
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Todesbonden)
• Questa la ricordo: Ghost Of The Crescent Moon.
3. Testo preferito della numero 33? (Dead Can Dance)
The Ubiquitous Mr. Lovegrove è una delle migliori break up song mai scritte. E non credo a Brendan quando dice che non è su Lisa.
4. Album preferito della numero 49? (The 3rd And The Mortal)
• Ouch. Per comodità potrei dire Tears Laid In Earth, ma tutti i loro album hanno aspetti che amo tantissimo accanto ad altri che mi urtano un po’.
5. Canzone preferita della numero 13? (Meg Myers)
• Scelta difficilissima fra The Morning After e Take Me To The Disco.
6. Album peggiore della numero 50? (Autumn)
• Mettendo a tacere la fangirl, When Lust Evokes The Curse potrebbe, ahem, non essere poi molto buono.
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (The xx)
Together, e ogni volta è un dolore.
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Delain)
Il concerto a Milano nel 2009 con Luisa. Oltre all’ottima compagnia, la location era molto intima e ha creato una bella atmosfera. E alla fine, Charlotte e Martijn poi sono usciti a parlare un po’ col pubblico. È stata una bellissima serata.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (Ramin Djawadi)
• Ma tipo esistono tuoi album in formato fisico?
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Florence + The Machine)
Hunger! Vorrei che la mia vita fosse un musical soltanto per poter camminare per strada con gli auricolari e lypsincare for my life mentre ballo la coreografia che mi ispira, con i passanti che si uniscono come comparse. Sarebbe una scena bellissima!
11. Canzone preferita della numero 40? (Amesoeurs)
Gas In Veins.
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Siobhán Donaghy)
Nothing But Song è oggettivamente brutta: essendo l’opener del primo album, mi ha fatto temere il peggio quando mi sono deciso ad ascoltare la discografia.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Les Discrets)
• Nessuno in particolare.
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (Gwen Stefani)
Hollaback Girl è uno dei pochi ricordi genuinamente piacevoli che mi sono rimasti di Quella Luana.
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Amy Lee)
• “Emoziona” è un eufemismo nel caso di Love Exists. E ne esistono pure due versioni: jackpot!
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (Röyksopp)
• Nessuna. Ma… tipo un tour con Susanne Sundfør e Jonna Lee?
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (The Bryan Ferry Orchestra)
• La cover di Back To Black dalla colonna sonora di The Great Gatsby.
18. Album preferito della numero 11? (Stream Of Passion)
The Flame Within è immortale.
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Emmelie De Forest)
• Beh, Only Teardrops, naturalmente: l’Eurovision è praticamente la Champions League per i gay.
20. Canzone preferita della numero 27? (Rose McGowan)
RM486 se la gioca con Canes Venatici.
21. Album preferito della numero 16? (Goldfrapp)
Tales Of Us. Non m’importa se il resto della loro discografia è (per lo più) una meraviglia dopo l’altra, Tales Of Us è un capolavoro.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (M.I.A.)
Jimmy è stato l’inside joke più riuscito della storia.
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Hurts)
Silver Lining, specie il finale con i cori!
24. Come hai scoperto la numero 21? (Lucia)
• Grazie a Luisa, come tutte le belle cose.
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (Gåte)
Kjærleik, soprattutto la versione live di Liva.
26. Canzone preferita della numero 3? (Anathema)
Untouchable, Part 1, senza se e senza ma.
27. Album preferito della numero 2? (The Gathering)
• Butto lì Souvenirs dal periodo di Anneke e Disclosure da quello di Silje, ma è una scelta pressoché impossibile.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Evanescence)
Understanding, come tutti i fan più duri e puri. Scherzo: ovviamente Bring Me To Life.
29. Testo preferito della numero 8? (Sharon Den Adel)
• Beh… My Indigo.
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Beyon-D-Lusion)
• Nessuna, e a questo punto è improbabile.
31. Come hai scoperto la numero 44? (Theatre Of Tragedy)
• La domanda non è come li ho scoperti, ma perché non l’ho fatto prima!
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Aurora)
• Fortunatamente nessuno: Aurora sta ricevendo il riconoscimento che merita!
33. Canzone peggiore della numero 29? (Susanne Sundfør)
• Prima del Live At The Barbican avrei detto Mantra, ma dal vivo è riuscita a diventare fantastica perfino lei. Dico la title track di Music For People In Trouble perché fondamentalmente è un interludio, e soprattutto perché non ricordo nulla di ciò che è successo su A Night At Salle Pleyel. Probabilmente nemmeno Susanne se lo ricorda.
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Delerium)
Seriamente? Perché questa domanda mi capita sempre a loro? Silence, comunque.
35. Album preferito della numero 28? (Sleepthief)
Mortal Longing, pur con i suoi ritardi e qualche filler.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Eivør)
• Nessuna, ma è sulla mia bucket list.
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Tactile Gemma)
• Nessuna: li ascolto con grande orgoglio!
38. Come hai scoperto la numero 48? (Karen Elson)
• Mi sono innamorato di 1000 Years From Now, usata come sottofondo nella prima stagione di The Midnight Hour di Paranormal Zone.
39. Album preferito della numero 7? (Marina & The Diamonds)
• Con o senza Diamonds, resta Froot.
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Daggers)
Magazine è l’ennesima in una serie infinita di foto che volevo fare con una certa persona, e che ovviamente resta ancora solo un’annotazione. Che palle, ma perché le occasioni di lanciare shade mi si servono da sole anche quando non sono in vena?!
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Carmen Consoli)
• Non particolarmente.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Panic! At The Disco)
King Of The Clouds.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (Sugababes)
• Direi Shape, Stronger e Maya, ma in realtà mi emoziona ancora di più poter finalmente dire che Flatline è una canzone delle Sugababes!
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Shadowgarden)
• Ahah, bella questa.
45. Canzone preferita della numero 9? (Tori Amos)
• Gesù. Limito la scelta agli album con cui ho molta familiarità (gli ultimi due), e nomino Reindeer King, Wild Way, Bang e Forest Of Glass.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (Giorgia)
Ladra Di Vento. Che è tuttora l’unico suo album che abbia ascoltato per intero.
47. Membro preferito della numero 4? (Nemesea)
• Chiamerei HJ “daddy” senza esitazione. Ops, l’ho detto ad alta voce?
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (Abney Park)
Sleep Isabella.
49. Album che possiedi della numero 20? (Amaranthe)
• Perdonami, Elize-Chan! Non sono degno del tuo ammoreh!
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Within Temptation)
• Nonostante la magnificenza del concerto ad Anversa, ricordo con più affetto il concerto a Milano nel 2011: eravamo quasi tutti lì e ancora tutti amici. Che bei tempi.

Thursday 26 December 2019

La coda della cometa

A me la disonestà intellettuale non piace. Non piace nemmeno quando è usata per portare avanti cause che condivido, perché si finisce per creare un castello di carte che, quando crolla, scredita il tutto. Ultimamente, nell’epoca della post-verità, quando i fatti non contano nulla, perfino chi cerca di migliorare il discorso pubblico e la società si è abbassato a queste tattiche meschine, e ciò non va affatto bene.

Prendiamo ad esempio un evergreen del dibattito ateo, di cui io stesso faccio parte: non è possibile che Dio abbia creato la luce il primo giorno se ha creato il Sole e le stelle solo il quarto.
Ah no? Dillo alla radiazione cosmica di fondo, che è la luce che si è sprigionata dal Big Bang prima ancora che anche solo protoni ed elettroni potessero aggregarsi in atomi, figurarsi diventare stelle.
Questo argomento getta le radici nella disonestà intellettuale perché, scientificamente parlando, non è corretto dire che nell’Universo non ci sia stata luce fino alla formazione delle prime stelle: anche se supporta una causa che condivido, non posso condonarlo. (Senza contare che è segno di grande ignoranza, perché basta leggere quattro righe dopo per trovare la vera fallacia logica, ovvero che le piante siano state create prima del sole e delle stelle; per criticare qualcosa bisogna quantomeno conoscerlo).

Nel mio adorato periodo natalizio, questo genere di cose sembra crescere esponenzialmente: forse in reazione al senso di fratellanza e pace preconfezionate che le lucine colorate portano, forse perché un po’ a tutti (me compreso) piace distinguersi facendo polemica su qualcosa di super popolare che non piace, forse perché ormai il Natale è un tale mucchio di parole vuote che lo viviamo per osmosi culturale e non ci preoccupiamo nemmeno più di ripescare la conoscenza pregressa che ne abbiamo avuto ai tempi del catechismo.
Ad esempio, non so che Bibbia abbiate letto voi da bambini, ma nella mia Giuseppe e Maria non erano rifugiati che nessuno voleva, erano due elettori fuori sede che hanno trovato tutti gli alberghi pieni. Supporto il discorso sull’accoglienza (pur con le mie riserve) e sono assolutamente d’accordo sull’importanza (specie pragmatica) di non abbandonare migranti e rifugiati a se stessi, ma è un esempio che non c’entra niente: punta a strappare una reazione di pancia dalla gente che si vede toccare la Natività, magari cercare di estendere il senso di empatia che si prova per il povero Gesù Bambino nato in una mangiatoia anche ai veri poracci che arrivano qui (spoiler: la gara per l’empatia la vincono sempre i feticci di legno). Beh, così non si fa che intorbidire ulteriormente un dibattito che ha perso ogni razionalità, e abbassarsi a usare la stessa scorrettezza di Salveenee & co. Non importa se è a fin di bene, è pur sempre un inganno.

E già che parliamo di Natività, la corona della faziosità natalizia quest’anno se la aggiudica Bansky con la sua Scar of Bethlehem, una rivisitazione della classica scena davanti a un muro di cemento con un buco a forma di stella lasciato da un colpo di mortaio.
Beh, Bansky ha dimenticato la coda della cometa.


Il fatto è che è così facile, dalla comodità dell’Occidente, ridurre quel conflitto a una tifoseria da stadio, scegliere la nostra squadra del cuore ed ergerla a faro di purezza e innocenza contro i malvagi. La realtà, però, se ne frega di cosa è facile. La realtà è complicata. A maggior ragione, quella di un conflitto che va avanti da tre quarti di secolo.
Quel muro non esiste nel vuoto. Esiste nel contesto ben specifico di un conflitto che, detto semplicemente, è bilaterale. In oltre settant’anni, entrambe le parti hanno accumulato una tale montagna di torti, di tentativi di appianare le cose per poi inasprirle, di tattiche poco ortodosse, che arrivati nel 2019 è intellettualmente disonesto puntare il dito sugli uni fingendo che gli altri non abbiano fatto nulla. Questi costruiscono il muro; quelli lanciano razzi e accoltellano i civili. Questi bombardano scuole e ospedali; quelli ci nascondono dentro le armi.
Se vogliamo davvero liberarci di questo residuo marcio della Guerra Fredda (perché alla fine non è che un proxy fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti sfuggito orribilmente di mano), dobbiamo smettere di fare il tifo, smettere di riportare le notizie a metà, smettere di giustificare dicendo: “Eh, ma allora prima”, e osservare la situazione con sufficiente onestà intellettuale per riconoscere che torti e ragione sono spalmati sull’intera scacchiera.
Se indichiamo la cometa, indichiamo anche la coda. Tutto il resto è faziosità.

Tuesday 24 December 2019

Let it fall

Oggi pomeriggio la Mater mi ha incastrato a fare l’albero di Natale.
Con un po’ di magheggi ben piazzati, sono riuscito a farle aprire i rami da sola e, alla fine, il mio contributo è stato sedermi accanto alla scatola e passarle gli addobbi, che lei si ingegnava ad appendere al nuovo abete finto.
Mentre tiravo fuori l’ultima pallina trasparente superstite, mi è caduta e, essendo di plastica fragile, si è rotta. Era dentro una scatolina rigida, lottare con la linguetta del coperchio e farsela scivolare di mano è un attimo. Tutto estremamente plausibile.
Eccetto che l’ho fatta cadere apposta.

Non so. Forse è il gatto che è in me. Forse era curiosità di vedere se bastasse così poco per romperla. Forse perché, delle tre palline fragili, è sempre stata quella che mi piaceva di meno e mi seccava che fosse proprio lei la superstite. Forse era un po’ di iconoclastia.
Ricordo anche quando l’ho comprata, nel 1999 all’ex Standa, con mio padre. A conti fatti, ricordo quando, dove e come ho comprato più o meno tutti gli addobbi, eccetto quelli più vecchi di me. Il festone di perline e campanelle all’Upim di Sassari nel 1994, quel giorno c’era anche la Ziaccia e la Mater mi aveva comprato anche un mini-set di Lego Paradisa. Delle palline del 1995 ne è rimasta una sola, ché all’altra già da anni si era crepato il rivestimento e si vedeva più polistirolo che colore. Quelle un po’ anonime che ci sbolognarono dei conoscenti di famiglia che dovevano traslocare sono facili da riconoscere: sono arrivate dopo che avevo comprato il gel glitter per decorare le più semplici che già avevamo. E non parliamo dei nastrini.

A una certa, la Mater ha fatto un’osservazione strana. All’ennesimo mugugno disinteressato con cui ho risposto al suo cinguettare su quanto fosse venuto bene l’albero, ha detto: “Non ti sei affezionato a quest’albero di Natale. Ti manca il vecchio”. Osservazione probabilmente aiutata dal fatto che sono cascato dal pero quando mi ha fatto notare che l’aveva già tirato fuori e addobbato l’anno scorso, cosa che avevo totalmente rimosso.
Solo che no, non mi manca il vecchio, quello che avevamo avuto fin da quando ero bambino, finché i rami non hanno iniziato a staccarsi, con ancora il ramo di fico intagliato e posizionato sulla punta del tronco dal Procreatore per mettere il puntale perché Maremma Maiala, mai che facciano un albero su cui sia davvero possibile infilarlo.
Non mi manca, dicevo, e ho anzi tirato un sospiro di sollievo quando la Mater l’ha buttato. Gli ultimi due anni l’abbiamo addobbato ed è rimasto lì spento, dimenticato in salotto finché è arrivato il momento di disfarlo.
E poi sono riuscito a ritardare di due-tre anni l’acquisto del nuovo, con una scusa o l’altra (finché è bruciato il negozio dove volevamo andare, non sto scherzando!), perché averci a che fare non fa che peggiorare il mio umore.

Ma la cosa peggiore è che un po’ mi dispiace. C’è una parte di me a cui sotto sotto mancano i tempi in cui tutta la faccenda natalizia mi entusiasmava tanto da memorizzare quando e dove ho preso quali addobbi, e ricordare in che ordine andassero messi sull’albero con la stessa facilità con cui saprei ricostruire il Faro dell’Isola Paradisa a distanza di vent’anni. Mi sembra di ritrovarmi privo di una facile valvola di sfogo e occasione per essere di buonumore che invece altre persone trovano con grande facilità. Non per la religione, non per le menate sulla famiglia – ché per la Mater almeno un’oretta al telefono la dedico quasi ogni giorno per tutto l’anno, mentre se alcuni parenti non li sento mai di sicuro c’è un buon motivo che non sparisce a Natale – quanto per me personalmente, per avere un paio di settimane di allegria, per quanto superficiale e stupida, piuttosto che aggravare ulteriormente il mio stato mentale.

Voglio chiudere con una nota un po’ più positiva: quest’anno ho partecipato alle feste giocando al Whamageddon e a meno di otto ore dal traguardo non sono ancora finito nel Whamhalla. Speriamo bene.
Oh, e oltre a godermi, come sempre, l’ottima cover di Santa Baby (aka l’unica canzone natalizia davvero onesta) di Emilie Simon che ci illustra l’unico vero significato del Natale, mi sono improvvisato singer-songwriter e ho riscritto il classico di Mariah Carey:

Every single fucking Christmas
There’s the present-buyng craze,
Boring songs about fake feelings
Saccharine as diabetes.

Fuck the toy electric trains,
And fuck the carols and refrains.
Also, fuck the candy canes:
All I want for Christmas…
…is Colton Haynes!


Sunday 15 December 2019

Let it die

Ore 4:36.
Sono all’aeroporto di Bologna e, dopo una notte insonne che ha compreso il finale della prima stagione di Lost In Space con Katia via Netflix mobile e Discord, l’evoluzione di tutti i Pokémon con mossa esclusiva da community day su Pokémon Go, e cazzeggio sulle app di dating perché a una certa mi si è liquefatto il cervello e non sono riuscito a leggere i nuovi libri di Agatha Christie che ho comprato ieri notte alla Mondadori qui in aeroporto.
Per inciso, la commessa è una super fan come me e abbiamo passato una buona mezz’ora a parlare di Agatha mentre controllavamo sul catalogo quali fossero stati finalmente ristampati e quali ancora no.

Il motivo per cui scrivo queste annotazioni ora, comunque, è un altro: avrei ancora un’oretta a disposizione prima di dover fare il controllo sicurezza, visto che il gate mi chiude alle 6:20 (il decollo è previsto alle 6:50), ma sono stanco di stare nel limbo che è la lobby dell’aeroporto e vorrei accucciarmi su una qualche seggiola al gate fino all’ora di mettermi in fila per l’imbarco, con tutte le incombenze alle spalle.
Fatto quello, ovviamente, non potrò più uscire dall’aeroporto.

In inglese si dice che third time is the charm, la terza volta è quella buona. Non so nemmeno più se tecnicamente questa sia ancora la terza, o già la quarta? Voglio dire, l’estate scorsa c’è stata una parentesi che però non considero, visto che non ero affatto convinto, quindi tecnicamente il detto è ancora valido? Non lo so.
Il fatto sta che ho deciso che qualcosa deve morire con la vecchia decade, perché se non mi pongo un limite così perentorio non c’è via d’uscita, e il decesso è avvenuto alle ore 4:36 del mattino del 15 dicembre.
E sì, l’ennesimo post di cui probabilmente solo io coglierò il senso, ma sta qui giusto per ricordarmi quante ore, poi giorni, poi settimane, poi mesi saranno passati quando mi riguarderò indietro.

Sunday 8 December 2019

Luminarie

Sì, è l’ennesima invettiva natalizia su questo blog. Non siete contenti?

Quest’anno sto cercando di fare buon viso a cattivo gioco durante il periodo natalizio. L’esasperazione è sempre lì, ma la sto canalizzando in battute passivo-aggressive su quanto l’aspetto più consumistico delle feste, su cui mi sono sempre scagliato, sia sotto sotto divertente e forse nemmeno la parte peggiore della faccenda. Vogliamo buttare soldi in panettoni e decorazioni? Vogliamo scambiarci regali? Va bene, facciamolo, almeno gira l’economia, c’è di peggio a questo mondo. Tipo il fatto che a Natale siamo tutti più buoni.
Sul serio, mettere il naso fuori di casa e vedere le luminarie e le altre decorazioni per strada mi mette addosso un’irritazione incredibile. Sopratutto qui a Trieste.

Ne ho giù parlato a grandi linee tre anni fa: il nuovo sindaco forzista di Trieste era giubilante per aver riportato i tradizionali ventiquattro abeti decorati di Piazza Unità più una quantità spropositata sparpagliata per tutto il resto della città. L’amministrazione precedente, di sinistra, aveva ridotto il tutto a un unico albero grande in piazza e una proiezione di giochi di luce sulla facciata del Municipio.
Ma no, Dipiazza, spendendo dodici volte tanto, ha riportato i fasti natalizi in città e le sue dichiarazioni dell’epoca furono un non molto velato “Make Trieste Great Again”. E ne era orgoglioso. Oh, se ne era orgoglioso!

Nel frattempo, quest’anno, il vicesindaco ha buttato le coperte e i vestiti di un senzatetto in un cassonetto, “devo dire con soddisfazione”, per veder di nascosto l’effetto che fa. Tipo il quattro gennaio, o giù di lì, non ha nemmeno aspettato l’Epifania, che tutte le feste porta via.

Oh, e il Comune ha inaugurato una nuovissima statua di D’Annunzio, fortemente voluta dal sindaco in persona, proprio questo dodici settembre, nel centenario dell’Impresa di Fiume. Ma niente paura: sempre nel famoso comunicato del 2016, l’allora nuova amministrazione aveva fatto sapere che gli alberi sarebbero rimasti per strada fino al quindici gennaio, perché hanno il massimo rispetto della sensibilità della comunità slava triestina!

Sempre la nostra fantastica amministrazione comunale, che tanto ama il Natale e i buoni sentimenti, specie in tempi tanto difficili, è stata quella che ha negato l’uso della sala cerimoniale del Municipio per le unioni civili, relegandole in uno sgabuzzino amministrativo rigorosamente solo in orario di servizio. Perché ama il prossimo tuo, ma solo se non ama il cazzo.
E che dire di come ci hanno negato l’uso di Piazza Unità per il Pride di quest’anno, senza nemmeno cercare di indorare la pillola? Ci siamo comunque seduti lì per diverse ore perché che vuoi fare, spararci coi proiettili di gomma? Ma il punto resta.

E visto che di Piazza Unità si parla, penso che sappiamo tutti che è stato proprio lì che, nel 1938, Mussolini promulgò le leggi razziali.
Fast forward al 2018, e nell’ottantesimo anniversario, il nostro sindaco ha negato l’uso della piazza per una manifestazione che ne ricordasse e condannasse gli orrori perché, huh, ci sarebbe stato un altro evento di lì a cinque giorni. Pessime tempistiche, ragazzi.

Ciliegina sulla torta, una settimana fa un consigliere leghista ha sollevato in aula il fatto che, essendo profondamente cattolico, si è sentito offeso da Liliana Segre che andava in giro a dire che Gesù era ebreo.
Aaah, conosciamo bene ciò che celebriamo questo mese, ve’?

Ma niente paura, gli alberi sono al loro posto! Tutti e ventiquattro! E anche le luminarie, e gli altoparlanti con la musica natalizia, e la gioia, la pace, l’ammoreh e tutto il resto! Siamo così felici di aver riportato il Natale per tutti i bambini e le loro famiglie! “Quest’anno saremo superiori a Milano, Lubiana e Salisburgo”!

Sai cosa, Dipiazza? Fanculo. Fanculo te, i tuoi alberi di Natale, le luminarie, le canzoni natalizie e pure la stella di Natale di venticinque metri che si vedrà pure da Monfalcone.
Le stai usando come dichiarazione su come tu stia migliorando le cose, su come stia riportando i buoni sentimenti e sistemando la città, quando la tua amministrazione è stata uno shitshow dal primo giorno su ogni singola questione importante, soprattutto quelle che hanno davvero a che fare con la fratellanza, la decenza morale, il rispetto e l’ammoreh per il prossimo.

Perché sono questo, le luminarie, le dimostrazioni pubbliche sbandierate per strada: politica nuda e cruda. E più qualcuno se ne fa un vanto, meno gli frega di ciò che dice di promulgare col Natale, e più ha tradito ognuno di quelli che dovrebbero esserne i princìpi morali per tutto il resto dell’anno.
Non bastano un mucchietto di abeti e una tonnellata di lucine scintillanti a cancellare la puzza di marcio e l’oscurità interiore.

Wednesday 4 December 2019

Bottom line

Cleansing sweat,
We are just using each other,
Too depraved to stay alive
But too young to die.

Fa strano ascoltare una canzone da ragazzini pensando a quanto sia figo e edgy il testo, senza però interiorizzarlo davvero, e ritrovarsi poi anni e anni dopo a risentirla e pensare a quanto quella situazione sia familiare.

Nella mia vita ci sono svariati rapporti che considero genuini. Alcuni hanno una bottom line, vero, ma la ritengo secondaria, almeno da parte mia, all'affetto e al rispetto reciproci. Altri sono nati proprio da quella e hanno poi sviluppato tutta la parte umana. In altri, invece, si è sviluppata col tempo sulla base di interessi comuni che hanno portato all'affidarsi l'uno all'altro per seguire una bottom line condivisa. Che poi, la bottom line può essere qualunque cosa: nel mio caso ha spesso a che fare con l'espressione artistica e il contributo che i miei potenziali amici possono darle, ma non necessariamente.
Il punto è che, nonostante ci sia una componente egoistica e d'interesse, sono rapporti che vanno oltre quell'aspetto e si basano sull'apprezzare la reciproca presenza nelle rispettive vite e, probabilmente, sopravvivrebbero alla perdita della bottom line.

In tutto ciò, sto iniziando ad avere seri dubbi su quanto un rapporto possa funzionare quando la bottom line è sessuale. Cioè, ho mezzo rinunciato all'idea di un rapporto romantico e a lungo termine, ma inizio a disilludermi anche sulla semplice amicizia con benefit e chiedermi se sia davvero possibile per due persone con una potenziale attrazione fisica (specie se reciproca) essere realmente amici.
Delle mie amicizie con benefit, solo una è davvero in buone condizioni, un rapporto basato su affetto, fiducia, passioni condivise che, quando l'occasione è buona, entra anche in territorio sessuale. Coincidentalmente, è anche l'amicizia i cui benefit sono più campati in aria: a parole scoperemmo e basta, nella pratica poi ci perdiamo a seguire le mille altre cose che abbiamo in comune e non resta chissà quanto tempo se non per baciarsi qua e là.
In un altro rapporto con un ragazzo potenzialmente attraente e a cui voglio davvero un mondo di bene, invece, fin dall'inizio ho deliberatamente deciso di sopprimere qualsiasi tensione sessuale, perché non era ciò di cui lui aveva bisogno in quel momento, e perché avevo timore di ridurre il tutto a quello. Sul serio, è una persona a cui voglio un tale bene, e con cui mi trovo così a mio agio, che far passare in secondo piano tutto quello solo per qualche orgasmo non mi è sembrato valesse la candela.
Col senno di poi, probabilmente ho fatto bene: è arrivato un paio di giorni fa l'ultimo di un'interminabile sfilza di ragazzi potenzialmente interessanti, con cui ho anche molte cose in comune, che molla prontamente qualunque interesse a parlare d'altro nel momento in cui percepisce che c'è potenziale intesa sessuale ricambiata da parte mia. Tanti bei discorsi, tante riflessioni interessanti, che hanno fatto da preludio a del sexting (ottimo, devo ammetterlo) per poi sgonfiarsi completamente: se non c'è il tempo di provocarsi e farsi una sega, in pratica tanto vale non sentirsi, mi pare di capire. Pensa se fossimo effettivamente finiti a letto.
E mi vengono in mente un paio di altre personcine brillanti che, arrivate al punto del “what if”, fanno puntualmente deragliare il discorso in quella direzione dimenticando completamente l'affinità intellettuale che ci ha fatti arrivare fin lì. Che delusione.

Quindi? Cosa deve fare uno per avere una vita sessuale che sia soddisfacente sia sul lato fisico che su quello cerebrale? Se nemmeno più le amicizie con benefit funzionano, qual è l'ultima spiaggia? O mi è solo capitata una sfilza di finti intellettualoidi che erano allupati cronici fin dall’inizio e lì fuori c’è davvero qualcuno con cui è possibile parlare non solo di quanto ce l’ha in tiro al momento? Perché francamente non ho più l’età per queste stronzate.

Friday 29 November 2019

Filtro nostalgia sugli Anni Dieci

Non è ancora dicembre, ma ci siamo quasi: fra un po’ inizieranno a piovere non solo i bilanci di fine anno, ma anche quelli di fine decade. È il 2019, gente: gli Anni Dieci stanno finendo e improvvisamente ce ne stiamo accorgendo tutti.
Di tracciare un bilancio personale di fine decade, nel mio caso, non se ne parla nemmeno: i miei vent’anni sono stati un periodo estremamente complicato e non saprei nemmeno chiedermi se siano stati positivi o meno, figurarsi darmi una risposta.
Anzi, forse la risposta mi è venuta in mente proprio scrivendo: sono stati vita. Né bene né male, semplicemente vita.
È più facile, invece, immaginare come questo decennio sarà ricordato nella nostra coscienza comune: gli ultimi cinque anni sono stati un tale ininterrotto shitshow che faranno sì che i posteri, se ci saranno, lo ricordino come un periodo di gran turbolenza; per noi che l’abbiamo appena vissuto, si è concluso un decennio estenuante in cui tutto ciò che poteva andare male lo ha fatto. Un incubo ad occhi aperti, uno di quelli che ti fanno domandare se per caso sei morto e ti sei ritrovato all’inferno, perché è esattamente il tipo di mondo in cui ti ritroveresti a vivere per dannazione.

Ma sono poi sempre stati così? Perché della prima metà ho dei ricordi piuttosto belli. A prescindere dalle mie vicissitudini personali, il mondo non era un posto poi così brutto.
Ecco, pensando agli Anni Dieci, voglio pensare a quello: a Tumblr, a quel magico mondo fatto di editoriali di moda, foto hipster con i filtri vintage, vestiti leggeri con stampe fiorate, modelli famosi e bellissimi, capelli a pompadour, borchie e catene rilanciate dal pop, travolto dalla rivoluzione bionica del look.
Mi piace ripensare a internet come il mondo in cui i forum di musica sopravvivevano ancora, sebbene ormai ci si stesse spostando su Facebook. Il picco della tensione online era la faida fra i fan di Madonna e quelli di Lady Gaga, la lotta per la corona del pop, con le altre contendenti che si schieravano più o meno velatamente.
C’è stata Laña del Rey, con le sue labbra a canotto, i suoi occhi tirati, il suo personaggio finto come una banconota da sei euro ma così divertente da prendere in giro, le sue canzonette arrangiate pretenziosamente per attirare quella parte di Millennial (ancora così giovani!) piagata da quella vaga ennui de vivre che ancora non era diventata autentico orrore per le sorti del mondo. (A proposito, ancora non ho ascoltato e recensito il nuovo album, ma non ne ho tutta questa voglia).

Anche se la vera regina degli Anni Dieci, per quanto mi riguarda, è stata Florence Welch. Ché sì, Lungs è uscito ancora nel 2009, ma è stato per certi versi il precursore e codificatore di quel sound e look hipster-chic che associo così fortemente ai primi Anni Dieci. Marina Diamandis è stata la voce della generazione che stava tentando di emergere in quegli anni – la nostra – ma Florence è stata l’incarnazione visiva e sonora di quell’atmosfera fatata, dalla semplicità ingannevole, che aveva fatto di Tumblr il suo tempio.
Ecco, le estetiche di Florence su Tumblr sono come voglio ricordare questo decennio.

Che poi, il decennio non è ancora morto e già gli sto facendo l’eulogia. Ma è come se i primi e gli ultimi Anni Dieci fossero due epoche completamente diverse. Il 2015 è stato personalmente il mio anno peggiore, e come me ne sono svegliato la magia se n’era andata: mi sono ritrovato all’improvviso in un mondo che iniziava a cadere a pezzi e che, di lì a pochi mesi, ha iniziato ad andare a rotoli su tutti i fronti contemporaneamente.

È per questo che mi sono affannato a rimettere in piedi il mio Tumblr dopo l’apocalisse dello scorso dicembre: perché lì dentro, specie nei primi post, è cristallizzato un mondo più semplice, un tempo più felice, e non ho alcuna intenzione di lasciar andare quel ricordo. Forse un giorno riusciremo a superare il casino di questi ultimi anni e allora, a pericolo scampato, il brutto scomparirà e rimarranno gli Anni Dieci di Tumblr da ricordare.

Wednesday 27 November 2019

Pills For Broken Dreams

Quasi un anno fa, una certa persona, in un certo contesto, mi ha chiesto quali fossero i miei sogni. Non la mia cripta onirica, ma i miei progetti, le mie speranze, le mie aspettative per il futuro.
Mi sono reso conto che non sapevo cosa rispondere.
Non so più quali siano i miei sogni. Non ricordo nemmeno quali fossero prima.
Di sicuro, a un certo punto, devo aver sognato di farmi una famiglia, per lo meno nella versione “ridotta” di una coppia: dopo tutto, sono pur sempre cresciuto con Gomez e Morticia Addams come modello romantico, dev’essere qualcosa che ho sognato.
Probabilmente ho anche sognato di diventare ricco; crescendo sarà diventato poi benestante, e infine economicamente stabile, ma quella speranza dev’essere stata lì. Ricordo distintamente che una delle prime sere a Trieste, nello squallore della camera della casa dello studente, col linoleum blu per terra e le pareti vuote, ho pensato che dovevo sbrigarmi a completare e pubblicare il racconto che stavo scrivendo, se volevo tirarmi fuori da lì.
Quando cantavo nella band, avrò pur sognato che pian piano ci saremmo fatti un nome. Sono piuttosto certo di aver anche sognato, un giorno, di mollarli e andare a fare il solista, ché già allora fare il darkettino a tutti i costi iniziava a farmi sentire limitato.
Naturalmente ho sognato di viaggiare, scoprire nuovi posti, scattare foto ovunque. E, a questo proposito, sicuramente ho sognato di arrivare di fronte a un certo qualcuno con la mia macchina fotografica.
Quella è l’unica certezza che ho ora. Per il resto, tiro a indovinare: nulla di tutto ciò mi fa sentire nulla, in questo momento. Nemmeno la condiscendenza con cui si ripensa a quando si era giovani e ingenui, quando si pensava che fare il passo più grande della gamba fosse facile. Nemmeno l’imbarazzo per aver immaginato qualcosa di stupido e infattibile.
Niente. Come se fossero appartenuti a qualcun altro.

Per il futuro, non riesco proprio a immaginare qualcosa. Un po’ è perché il mondo sta girando così velocemente che un futuro immaginato dieci anni fa è già obsoleto e inapplicabile. Un po’ perché l’attuale situazione sociale, politica ed economica è talmente disastrosa che fa temere anche solo per l’indomani, figurarsi se permette di fare piani a lungo termine. Ma principalmente non ricordo più come si fa a sognare.
O per lo meno a sognare in grande e nel concreto. Quel fatidico incontro mi aveva fatto ricominciare a fare qualche piccolo, sporadico sogno: non ammazzarmi di commissioni alle fiere, tanto per cominciare. Ma anche qualcosa di più superficiale, tipo potermi permettere un viaggio a Barcellona per farmi un tatuaggio da Elijah, la rosa araldica dei Tyrell per ricordarmi sempre che le miniere si prosciugano, l’inverno finisce e le rose sbocciano di nuovo.
E invece, grazie per l’ennesima delusione.
Se non altro, mi aggrappo alla consapevolezza che non posso prendermela con me stesso, per una volta: più di così non avrei potuto fare.
Però ho di nuovo paura di sognare anche in piccolo. Di sicuro non rimparerò entro breve a sognare in grande.

Where are my pills for broken dreams?
Where are my furs, my plastic gleam?
Please, entertain: the lights are on.

Thursday 21 November 2019

Cristallizzato

Ho sempre pensato che le mie foto fossero, per la maggior parte, dei racconti allegorici. Tolte alcune che nascono solo per essere esteticamente piacevoli, cerco sempre di narrare qualcosa tramite loro: un’emozione, un’idea, una storia, la mia interpretazione di un elemento della cultura a cui appartengo. Del resto, perché creare delle vuote immagini solamente decorative?
L’allegoria, però, sta nel fatto che, a parte alcune immagini apertamente autobiografiche, c’è sempre un filtro, un simbolo che si frappone fra le emozioni che ci metto e l’immagine finita: di solito, questo filtro è la musica. È come un gioco di specchi: ascolto una canzone, ci proietto sopra le emozioni che fa risuonare dentro di me, e quella me le riflette indietro sotto forma di immagine mentale su cui basare la foto. C’è quindi quasi sempre una componente autobiografica, ma indiretta: sono emozioni che sento, sì, ma genericamente, associate più alla canzone che le risveglia che al momento in cui ho scattato la foto.

Non mi aspettavo, quindi, di ritrovarmi a sfogliare foto di qualche anno fa e sentirmi come se mi entrassero sotto le costole e me le strappassero via per lasciare il cuore esposto.

A forza di pubblicare meticolosamente l’intera mia gallery su La Terra dei Cachi, un nuovo gruppo a cui mi sono iscritto, sono arrivato a cavallo fra il 2011 e il 2012, l’anno della mia grande fuga da me stesso (quello durante il quale non riuscivo a resuscitare il blog dopo la morte di Splinder e di cui i miei lettori non hanno idea).
Ebbene, rivedere quelle foto riporta a me quei tempi con la stessa potenza di quando li ho vissuti. Le stesse emozioni, fresche come appena provate: l’incertezza, la confusione, l’isolamento, la delusione, il senso di tradimento, l’euforia, la spensieratezza, la frivolezza… tutti i motivi per cui finivo a Milano almeno una volta al mese, e adesso la evito quanto più possibile.

E mi sono reso conto che la stessa cosa accade con molte altre foto, a tutti i livelli della mia linea temporale. Perché se è facile che le foto che ho scattato nel 2014 subito dopo la morte di Murka mi riportino il lutto di quei giorni – del resto, le ho scattate nello stesso luogo dove l’ho seppellita – è meno ovvio che quelle che ho scattato nel 2013 il week end in cui la Mater mi ha chiamato per dirmi che era stata male la prima volta mi riportino indietro a quel periodo.
E prima di allora, fra il 2010 e il 2011, sento nuovamente il tumulto della mia carriera universitaria che cadeva a pezzi, della nevrosi che iniziava a masticarmi, i sensi di colpa, l’inadeguatezza, ma anche il puro e semplice piacere di riuscire a fregarmene e partire per Londra o per Stavanger a vedere la mia band preferita.

È tutto lì, cristallizzato nelle foto che ho scattato. Non mi aspettavo che, mentre al pubblico raccontano la storia che ho deciso di costruire, a me raccontano la mia autobiografia, riportandomi anno per anno, mese per mese, settimana per settimana, momento per momento, a ciò che ho vissuto negli ultimi dieci anni.
E sono grato di questo. Mi sento spesso come se avessi passato tutto questo tempo addormentato, senza che mi succedesse nulla, senza che io provassi nulla, mentre non è stato affatto così. Le mie foto mi dimostrano che ci sono, ho vissuto, esisto. Ed è una cosa bellissima.

Friday 15 November 2019

Primadonna Boys & Girls

Marina & The Diamonds è diventata meno relatable ultimamente. Al di là dell’insipidità musicale di Love + Fear, che comunque i suoi pregi li ha, il problema è proprio a livello di testi. I fan dello snark, dell’ironia e autoironia pungenti, della disfunzionalità sezionata, analizzata, spiegata ed esorcizzata, della critica sociale tagliente – insomma, i Diamonds – si sono improvvisamente trovati orfani. Gli outsider che trovavano conforto nel vedere una persona così brillante piena delle loro stesse insicurezze sono finiti nuovamente marginalizzati. Tutti i terrorizzati dei sentimenti sono finiti impantanati in una melassa amorosa che ha finito per farli impietrire. Un disastro.

Che poi, non è nemmeno colpa di Marina: lei è cresciuta, è andata avanti con la sua vita, ha trovato un partner, una sua dimensione nel mondo, un equilibrio. Noialtri, che non abbiamo neanche una frazione della sua stabilità socio-economica, figurarsi i mezzi per pagarci la lunga terapia di cui abbiamo bisogno, siamo rimasti indietro ai tempi di Electra Heart, massimo di Froot, e quest’improvvisa positività ci è risultata vuota e artificiosa.
Da fan, sono genuinamente contento che Marina stia bene con se stessa e stia attraversando un momento felice, ma mentirei se negassi che è stata una clip di Bubblegum Bitch postata su Instagram a convincermi a prendere il biglietto: Marina è un po’ un’aliena per me, un po’ come un millennial felice e sano di mente è un ossimoro; sono andato lì per Marina & The Diamonds.

Fatta questa doverosa premessa, il giorno dopo e già sul treno di ritorno, sono contento di essere andato a vederla dal vivo. In primo luogo perché è stata la sua prima volta in Italia da headliner, era visibilmente elettrizzata all’idea e ha dato il massimo. In secondo luogo perché non ha trascurato il passato e ci ha accontentati con tutti i cavalli di battaglia storici – del resto, è evidente che conosca i suoi polli, visto che una canzone l’ha dedicata a “all the primadonna boys and girls”. Così come sa che, tolti i buttafuori, gli etero lì dentro scarseggiavano ed erano lì solo per accompagnare le morose, probabilmente sa anche che non tutti abbiamo raggiunto il suo grado di soddisfazione nella vita.
Il fatto è che la Marina che sento “mia”, quella che “mi ha messo i microfoni in camera e ha scritto una canzone su di me”, era lì sul palco assieme alla nuova, ed è stata un’esperienza a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo.

L’altro highlight della mia breve gita milanese è stato che ho passato buona parte del pomeriggio con Stefano e siamo andati a fare foto al Parco di Villa Reale a Monza. Niente di studiato a tavolino, cambio di programma repentino come ci siamo accorti che non avrebbe piovuto, giusto il suo nuovo cappotto come base per imbastire un mood generale, e siamo partiti all’avventura fra gli alberi.
Ed è stato bello. È stato liberatorio. Mi ha ricordato il divertimento di fare foto senza preoccuparmi di far quadrare i conti, di accontentare un committente, di mostrarmi professionale e impeccabile, di far finta a tutti i costi di essere perfettamente in controllo. Per quanto ami concentrarmi su foto che ho progettato da tempo immemore, è bellissimo anche uscire semplicemente con uno dei miei più cari amici, cogliere l’ispirazione del momento, sperimentare sapendo che, male che vada, cestino tutto, e divertirci assieme.

È bello non sentirsi giudicati nel fare qualcosa che si ama. Così come è bello scoprire che qualcun altro può creare qualcosa di bellissimo dalle stesse brutte emozioni che sentiamo anche noi.

Tuesday 5 November 2019

Girini & compagnia

Sto per fare un’osservazione molto scontata: la mente di un bambino funziona molto diversamente da quella di un adulto.

Quando ero molto piccolo – parlo di quando i miei genitori erano ancora sposati, pensate un po’ – mi fu regalato un libro che spiegava, in un formato comprensibile e adatto alla mente di un quattro-cinquenne, come nascono le cose: i girini, gli uccellini, i gattini e i bambini. C’era un’illustrazione che spiegava che i bambini e le bambine sono anatomicamente diversi, che quando crescono diventano ancora più diversi, e che quando due persone sono adulte e si amano molto possono fare un bambino insieme. Quell’illustrazione la ricordo: erano una signora bionda e un signore bruno (coincidentalmente come la mia mamma e il mio papà) abbracciati sotto le lenzuola. Nell’illustrazione dopo, la signora aveva il pancione.
Sapevo che era così che nascevano i bambini, ma l’intero prcesso era molto vago e privo di dettagli per me: ricordo distintamente un’immagine mentale in cui questi cosettini piccoli piccoli uscivano in qualche modo dal papà, zompettavano in fila indiana sulle lenzuola, si arrampicavano sulla pancia della mamma e così poteva nascere un bambino.
Anche il concetto di “stare insieme” era molto vago e astratto per me: due persone che stanno insieme si tengono per mano, si abbracciano, si danno i baci, hanno una casa insieme, dormono nello stesso letto e si vogliono bene. Qualche volta fanno un bambino.
Ai tempi ancora non si parlava quasi per nulla di omosessualità, ma credo che, se fosse spuntato fuori l’argomento, mi sarebbe stato detto che sono sempre due persone che “stanno insieme”, si tengono per mano, si abbracciano e tutto il resto; al massimo no, tesoro, due uomini o due donne non possono fare un bambino, ne adottano uno già pronto. E la cosa sarebbe rimasta lì.
Ricordo anche che a sei anni ero a casa della mia fidanzatina Vanessa: ci eravamo nascosti sotto il letto perché la Mater era venuta a prendermi ma io non volevo ancora tornare a casa, e ci eravamo addormenati. Wow, avevamo dormito insieme, come fanno gli adulti! Eravamo entrambi piuttosto orgogliosi della cosa, perché quello era il punto massimo che due persone che stanno insieme possono raggiungere, no? Che bravi!

A casa mia, quindi, non ci sono mai state cicogne, api, fiori, foglie di cavolo o altre bugie bianche: i bambini venivano da una mamma e un papà. Eppure, non ho mai nemmeno immaginato cosa potesse essere il sesso fino a molto tempo dopo, quando il mio amico Roberto mi elargì la sua erudizione fatta sulla tv via cavo. Fino ad allora, ero a conoscenza della faccenda, ma aveva connotati molto astratti, innocenti e privi di ramificazioni pratiche.

Ricordando tutto ciò, non posso non incavolarmi pesantemente con quelli che sbandierano i bambini come scudi per i loro pregiudizi.
“Come spiego a mio figlio due uomini che si baciano?”
Nello stesso modo in cui gli spieghi un uomo e una donna che si baciano, semplice. Tanto non afferrerà nulla oltre il concetto astratto che “si vogliono bene” e “stanno insieme”, perché la mente del bambino non elabora oltre.
Se poi è a te, genitore bigotto, che turba vedere due uomini o due donne che si baciano perché li immagini subito a fare sesso (e, segretamente, senti quel languoirino in fondo alla pancia), beh, è un altro discorso. Almeno sii onesto e non nasconderti dietro il dito: è un pregiudizio tuo, il bambino non centra.
Perché, ripeto, la mente di un bambino funziona diversamente da quella di un adulto: vedere due persone che si tengono per mano, che si abbracciano, perfino che si baciano non lo espone al sesso, omosessuale o eterosessuale che sia. Non arriva a fare quella connessione, non deduce cosa faranno quando poi arriveranno a casa.
E se invece lo deducono, beh, il problema non è più la coppia che si bacia. Il problema è che gli assistenti sociali dovrebbero fare una visita a casa di quel bambino il più presto possibile,

Monday 28 October 2019

For want of a nail

Ok, dai, anche quest’anno è arrivato l’ultimo colpo di coda della sfiga pre-lucchese, quindi sono pronto a partire.

Ricordate come il bruttissimo taglio di capelli che ho fatto a metà settembre mi ha portato a procrastinare lo scatto della fototessera, senza la quale ho ritardato la richiesta del rinnovo della carta d’identità, che è caduta proprio il giorno dell’aggiornamento di sistema del ministero, che ha ritardato la spedizione e consegna del documento, che ha ritardato la mia partenza per Trieste, che al mercato mio padre comprò?
Ebbene, quando viaggio da e per Trieste d’estate, spedisco sempre la roba che non sta nel bagaglio a mano RyanAir in una scatola con SDA. A questo giro, ho spedito tutto giovedì, così il pacco sarebbe arrivato comodamente oggi che ero in casa, invece che venerdì che ero ancora in volo.
Beh, così come la richiesta della CdIE è capitata proprio nel giorno dell’aggiornamento, la spedizione del mio pacco è capitata proprio nell’unico giorno di sciopero dei corrieri SDA. Il risultato? Il pacco è fermo a Bologna, cosa che ho potuto scoprire solo contattanto il centro assistenza via Skype – Skype, nel 2019! – e arriverà in data da destinarsi.

Naturalmente, dentro la scatola c’è il pannello riflettente che avevo intenzione di portarmi a Lucca per non bestemmiare anche quest’anno le luci e ombre in postproduzione e, errore mio, il caricabatterie della fotocamera.
Ergo, corsa in centro da Euronics, che però il lunedì è chiuso, salto carpiato sulla prima 29 di passaggio per andare da Mediaworld alle Torri, acquisto di un caricabatterie universale, con tanto di senso di déja-vu per l’anno scorso.
Ovviamente, nella fretta mi sono dimenticato di prendere la batteria della fotocamera per fare la prova, il commesso non ha saputo determinare la compatibilità dell’apparecchio dalla foto che gli ho mostrato su google, ho indovinato che ci fosse dall’illustrazione sul retro, e quindi mi è salita l’ansia di aver potenzialmente buttato via dei soldi inutilmente. Mentre aspettavo si facesse un’ora adatta per mangiare, ché già che ero alle torri almeno mi sarei gratificato dall’ex Old Wild West, ho aperto il pacco e ho notato che il caricabatterie aveva una sola linguetta per collegarsi alla batteria, non due; quindi niente cena finché non sono tornato a casa e non ho notato che la seconda linguetta era rimasta nascosta sotto il coperchio che non si era ritratto del tutto. Quindi niente comfort food per bilanciare la serata, ma la solita, noiosa pizza d’asporto.

Comunque, anche quest’anno me la sono cavata. Il pacco lo ritirerà il coinquilino, mi arrangerò a farmi prestare sapone per il viso, shampoo e balsamo, avrò la barba lunga perché anche il rasoio elettrico è nel pacco (in compenso potrò definire i bordi perché di rasoi normali ne ho sia qui che ad Alghero) e sono già stressato prima ancora di partire.
Tutto questo grazie al Ministero degli Interni e i suoi ritardi. Secondo me non si sono ancora ripresi dallo schifo che ha fatto l’ex capo della baracca ed è per questo che hanno tirato su ‘sto casino.

Monday 21 October 2019

Carta d’identità: l’epilogo

Ok, ‘sta storia della carta d’identità sta sfuggendo a ogni grazia di Dio, ma almeno si è conclusa più o meno bene.
A sorpresa, è arrivata oggi. Il biglietto di ritorno per Trieste l’avevo fatto per il 25 – il 29 parto già per Lucca ed era l’ultima data possibile per avere almeno il tempo di respirare – quindi, senza notizie, la Mater e io abbiamo deciso di cautelarci. Siamo andati alle poste per informarci su come farle la delega, l’impiegato allo sportello consulenze più imbecille nella storia dei raccomandati ci ha detto che avremmo dovuto parlare all’ufficio del piano di sopra… che è inaccessibile senza appuntamento, e il telefono ovviamente squillava a vuoto.
Fortunatamente, la sua collega allo sportello corrispondenza ha avuto pietà delle mie occhiaie, ha controllato e – sorpresa! – ha visto che la raccomandata non solo era partita, ma era in mano al postino, che l’avrebbe recapitata oggi stesso!
Da lì, cosa a perdifiato fino a casa controllando ogni singolo motorino per intercettarlo in caso fosse già in arrivo, perché se non l’avessi ritirata quel giorno, avrei potuto farlo all’ufficio postale solo a partire da venerdì stesso, cosa impossibile visto che ho il volo la mattina prestissimo. Per fortuna, arrivato a casa, non ho trovato l’avviso di giacenza, così ho aspettato nell’androne che la Mater tornasse in modo da cautelarmi in caso il postino avesse suonato proprio mentre ero in ascensore (a questo punto, ero pronto a veder andare storta qualsiasi cosa), poi sono tornato a casa, ho praticamente scavato i solchi in terrazzo a forza di uscire a controllare il traffico e, alla fine, sono corso al citofono come ho sentito il campanello e la tanto agognata tessera è nelle mie mani.

Per inciso, l’impiegato che l’ha imbustata doveva essere davvero ubriaco di mojito, perché ha spalmato l’adesivo per tenerla incollata al foglio di accompagnamento proprio sul codice a barre del retro. Come ho provato a metterla nella custodia, quasi non sono riuscito a tirarla fuori, ché si è prontamente incollata. Non oso immaginare alle schifezze che ci si attaccheranno sopra rendendo il codice illeggibile.
Grazie, uffici pubblici italiani: riuscite a rovinare anche le botte di fortuna come quella di oggi.

Wednesday 16 October 2019

Papeete 1 – Narciso 0

Per inciso, la mia carta d’identità, che avrebbe dovuto arrivare entro sei giorni lavorativi dalla richiesta (leggi: oggi) non è ancora neanche stata imbucata. Mi sa che l’impiegato del Ministero degli Interni addetto alle carte d’identità elettroniche non ha ricevuto la notizia che la pacchia è finita causa cambio di ministro, ed è ancora al Papeete col mojito in mano.

Come l’ho scoperto? Ho provato a tracciare il numero della racomandata (sul sito di Poste Italiane, ripeto, Poste Italiane, a cui hanno affidato un documento importante), e la risposta è stata che la spedizione non esiste.
Volete che muoia d’infarto?
Alle poste (a cui ho dovuto telefonare, cfr. siti inaffidabili) mi hanno detto che significa semplicemente che ancora non è partita: il sistema assegna al documento un numero di tracciabilità preventivo che viene indicizzato dalle Poste solo a spedizione avvenuta. All’ufficio anagrafe mi hanno fatto sapere che la colpa non è di un impiegato ubriaco di rum con l’alito che sa di lime e menta come il suo Capitano, ma di un aggiornamento del sistema operativo del Ministero che, pensa la fortuna, è caduto proprio il giorno in cui io ho fatto richiesta. Naturalmente la ricezione è slittata e non si ha idea di quando mi spediranno ‘sto dannato pezzo di plastica. Sempre per la serie che l’informatica dovrebbe migliorare la vita di tutti, ma non se vivi in Italia.

Intanto, io sto qui, che devo ripartire per Trieste, e non so cosa fare: il documento mi arriverà per raccomandata all’indirizzo di residenza (qui) e devo essere io specificamente a ritirarlo. Se voglio che lo faccia la Mater, devo farle una delega… col documento che non ho.
Che poi, partire come? Potrei andare con i tre fogli A4 del modulo di richiesta stampato, che mi valgono come carta d’identità temporanea, ma poi? Avrei addirittura il passaporto per viaggiare, ma potrei ancora ritirare il documento alle poste quando torno per Natale? La giacenza dura così a lungo? Non so cosa fare.
Forse non resta che fare il biglietto e incrociare le dita, va’. Sto quasi iniziando a capire i rant anti-sistema di quella pazza scoppiata di Heike dei Draconian: non è che voglio sentirmi speciale a tutti i costi, è che la burocrazia moderna è tremendamente fallata.

Comunque, il lato positivo è che, essendo già costantemente in ansia per questa faccenda, ne sto approfittando per sistemare tutte le altre cose che me ne provocano già di loro: il calendario delle commissioni a Lucca, il viaggio a Milano per vedere Marina, e via dicendo. Così almeno mi risparmio l’ansia per la prossima volta.

Monday 14 October 2019

Joker è un film confuso

Ok, togliamoci subito i disclaimer:
1) A parte quel disastro che è Suicide Squad, non ho visto nessuno dei vecchi film con Joker, né ho mai letto i fumetti o guardato i cartoni animati. Mi pare di aver afferrato in giro per il web che questo film sia almeno in parte una decostruzione / risposta / sovversione del Joker presentato lì, soprattutto quello scritto da Nolan, ma la cosa non m’interessa: valuto il film in sé e per sé.
2) La prova recitativa di Joaquin Phoenix è magistrale; sound e fotografia lo sono altrettanto. Ma questi elementi da soli non fanno un film.
3) Ci saranno spoiler.

Detto questo, Joker è un film confuso.

Credo di essere in minoranza, ma sono uscito dal cinema pensando: meh. ¯\_(ツ)_/¯
Probabilmente ciò non sarebbe successo se non avessero fatto vedere l’ennesima scena della morte dei genitori di Bruce Wayne presentato il film come il fratello serio dei cinecomic, ma nel momento in cui mi proponi un film che vuole essere più complesso del solito guerra = brutta, terrorismo = brutto, avarizia = brutta, eroe = salva la situazione, botte da orbi e qualche esplosione per rendere il tutto spettacolare, devi scegliere con attenzione quale messaggio vuoi veicolare e farlo con chiarezza. Joker questo non lo fa.
Di solito sono il primo a dire che un film non va giudicato in base allo hype o al backlash che genera, ma è pur vero che il discorso che se ne fa online – un film di feroce critica sociale e politica, che mostra finalmente la malattia mentale spoglia degli stereotipi hollywoodiani – rende chiaro sia a cosa Joker mirasse in termni di risposta del pubblico, sia con quanta superficialità e cerchiobottismo abbia affrontato, nella pratica, entrambi gli argomenti.
E no, non basta buttare lì una battuta di dialogo su come “Io non sono qui per fare politica, sono qui per intrattenere” per pararsi il culo e assolvere l’intento autoriale: nel momento in cui usi un tema come cardine della trama del tuo film, la direzione che dai alla storia ti fa prendere una posizione; e se il tema che scegli è sensibile e socialmente rilevante, la tua posizione deve essere chiara.

Prendiamo l’ambivalenza sulla malattia mentale, ad esempio.
Il film ci presenta Arthur Fleck come un individuo con un disturbo mentale che viene progressivamente marginalizzato dalla società: nel quotidiano è vessato anche da perfetti sconosciuti, a livello istituzionale un taglio di fondi lo lascia senza assistenza psichiatrica e farmacologica. Le cose iniziano a precipitare finché, più o meno a metà, il film introduce un tema parallelo: “La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi”.
“Wow”, dico io, spettatore in lotta da anni con la depressione e che sente tutto il peso sociale della propria malattia, “mi sento proprio capito da questo film”.
Da lì in poi, però, Arthur inizia a marciarci, sulla malattia, consapevole del suo degenerare ma incurante delle conseguenze. Il film inquadra questo cambiamento come empowering: Arthur non è più timoroso e costantemente vessato ma, grazie alla “libertà” dalle medicine (lo dice testualmente a una certa) è in grado di farsi valere e rispondere ai torti che subisce. E lo fa ripagando la violenza con altra violenza, fino a che un regolamento di conti estemporaneo non lo rende un idolo delle folle, strappandolo definitivamente alla pateticità della sua anonima vita. Tutto ciò mentre si esplora come fosse stata indirettamente la malattia mentale di sua madre a ridurlo in quello stato.
Qual è, allora, il messaggio sulla malattia mentale? Che è un problema da risolvere? Che è la soluzione a un disagio esistenziale? Va curata partendo da una riforma sociale che fornisca le giuste reti di sicurezza per non lasciare il malato solo, o va abbracciata e alimentata come mezzo di emancipazione personale?
Le contraddizioni continuano anche in come il rapporto dei neurotipici con Arthur è mostrato: bello il messaggio su Gary che si salva perché è l’unico che ha trattato bene Arthur. Peccato solo per Sophie, che è stata cordiale con Arthur una volta, è diventata oggetto della sua ossessione ed è finita ammazzata off-screen.
Quindi? Qual è il messaggio? Prendi esempio, spettatore, sii gentile e la gentilezza ti tornerà indietro? O stai attento, spettatore, basta un sorriso e una battuta fuori posto per finire ucciso?

La confusione è aumentata dall’incertezza nel framing del film: vero che lo stato di Arthur non è imbellettato e finisce spesso e volentieri per diventare un cringefest che rischia di alienare il pubblico, ma è mostrato come protagonista indiscusso. Al punto che tutti gli omicidi che compie on-screen sono in qualche modo “meritati”, è lui che reagisce alla brutalità dei suoi aguzzini, lo spettatore deve tifare per lui. Quello più gratuito, la giovane madre single dell’appartamento accanto che uccide perché non è davvero sua morosa, avviene invece off-screen, sia mai che lo spettatore smetta di tifare. Lascio che sia qualche donna, parte in causa, ad analizzare come il film glissa su un femminicidio.
 
Edit: Todd Phillips giura e spergiura che Sophie non è morta, dicendo di aver girato una scena di lei che vede Arthur in TV, tagliata per non distrarre dal punto di vista di lui. E che comunque “si capisce” dal film; anzi, molte persone a cui ha chiesto l’avrebbero capito perché Arthur ha un codice morale e uccide solo chi gli ha fatto un torto.
Il che peggiora solo la situazione, perché a) chiaramente no, non si capisce, quindi il regista ha sopravvalutato il suo film e fatto una pessima scelta in fase di montaggio, e b) mostra un ulteriore tema buttato dentro ma trattato con superficialità. Con tutte le storie che si sentono di uomini in uno stato mentale molto meno precario di quello di Arthur, che diventano violenti perché percepiscono il rifiuto da parte di una donna proprio come un torto, dare per scontato che questa dinamica non si sia innescata dimostra con quanta poca cura l’intero storyline dello stalking e della relazione immaginaria sia stato concepito.

La questione sociale è, se possibile, sviluppata ancora peggio, e ci vuole ingenuità per interpretarla come messaggio progressista e anti-establishment.
Il problema di Arthur – finché è inquadrato come problema, per lo meno – è di natura sociale: la corruzione politica ed economica, che taglia i fondi alle cure, esaspera la sua situazione personale. Parallelamente, l’intera città vive un disagio crescente col progressivo inasprirsi del divario fra classi ricche e povere. I ricchi fingono di interessarsi, ma sono, alla meglio, ciechi verso la reale situazione, alla peggio disonesti e opportunisti. Il messaggio sembra essere che lo status quo è sbagliato, che il capitalismo rampante sta trasformando tutti in esseri cinici e privi di empatia, che un cambiamento è assolutamente necessario perché la situazione è insostenibile.
Eppure, questo cambiamento si concretizza in forma altamente negativa. La scintilla che fa partire le proteste è l’omicidio di tre yuppie da parte di un pazzo: le classi popolari si lasciano accecare dalla cultura dell’invidia e interpretano quel gesto meschinamente personale come socialmente sovversivo. Da lì si arriva alle rivolte nelle strade con morti indiscriminate.
Ma lo spettatore sa che l’eroe della rivolta è un pluriomicida con problemi mentali: per estensione, tutti quelli che lo seguono – che letteralmente gli si radunano intorno che nemmeno Daenerys in Mhysa, partecipano alla follia. Quindi? Status quo brutto e cattivo, o rivoluzione brutta e cattiva?
Questa parte mi urta particolarmente perché strizza l’occhio senza pudore a un pubblico progressista ma, in realtà, veicola una visione di fondo profondamente conservatrice: è durante le rivolte che abbiamo l’ennesima scena della sparatoria degli Wayne, ed è lì che, lo sappiamo, nasce Batman. I moti rivoluzionari sono una follia, un sogno febbrile, le conseguenze delle azioni di un pazzo, sono il nemico: l’establishment, sotto forma di Batman, arriverà a soffocarle e riportare all’ordine le classi popolari che chiedono più diritti! Questo film è ipocrita quanto Rent, dipinge questo bel quadro di riscatto sociale mentre fa di tutto per dimostrare quanto sia futile, effimero e dannoso, e come lo status quo prevarrà sempre.

Fra l’altro, il film non tenta nemmeno di trovare il giusto mezzo, di mostrare come entrambe le fazioni abbiano torto su alcune cose ma ragione su altre: l’élite non ha mai un momento in cui si rende conto di star sbagliando, le manifestazioni non portano a nulla se non a violenza indiscriminata. È una gara a chi ha più torto, e la mitologia di Batman sottintende il resto, che il sistema, per quanto fallato, vada tutto sommato bene così e tentare di cambiarlo peggiori solo le cose.

In conclusione, quindi, Joker è ben lontano dall’essere il film di spessore a cui si atteggia. È un cinecomic che, nel tentativo di sembrare più serio dei colleghi, si imbarca in una serie di discorsi seri che non ha la chiarezza per affrontare. Ci prova in tutti i modi, a ingannare lo spettatore promettendo di diffondere grandi messaggi importanti, ma ciò lo fa risultare semplicemente pretenzioso e, soprattutto, confuso su quale sia la storia che vuole raccontare.

Tuesday 8 October 2019

Burocrazia portami via

Se è vero che ormai ho imparato (o mi sono rassegnato) ad affrontare un po’ tutto nella vita, una fonte di stress che non riesco a ridimensionare sono gli uffici pubblici della Repubblica Italiana. Voglio dire, c’è un motivo se da anni la mia situazione col medico di base è un casino: chi ha il coraggio di andare alla ASL di Trieste per chiarire la faccenda?
Ebbene, per quanto mi lamentassi della mia carta d’identità a forma di lenzuolo, sciupata sui bordi (perfino la custodia in plastica è a brandelli) e con una foto obsoleta in cui avevo i capelli lunghi e giusto un accenno di pizzetto, ora che è arrivato il momento di rinnovarla e fare l’elettronica mi sono ritrovato in un incubo.

Intanto perché devo fare la fototessera e ultimamente in foto mi sembro sempre un mostro; il fatto che il parrucchiere di qui mi abbia fatto un taglio che, appena sono uscito, mi ha provocato un meltdown tale che solo Katia è riuscita a trattenermi dal diventare Britney 2007 non aiuta. Comunque, alla fine mi sono fatto sto benedetto autoritratto su sfondo bianco, ho applicato una quantità generosa di fluidifica ai capelli per dar loro un senso, ho tolto brufoli e occhiaie (fra i vantaggi di essere fotografi c’è uscire bene nei documenti) e quella parte l’ho sistemata.
Per il resto, ho trent’anni, dovrei essere adulto, dovrei saper gestire queste cose. Invece è stata la Mater ad andare all’anagrafe e prendere appuntamento per me, perché io stavo già per rinunciare e tornare a Trieste col passaporto.
Il fatto è che per fissare l’appuntamento serve letteralmente solo parlare con l’impiegato allo sportello, e il giorno dopo sei già pronto ad andare, bollettino del pagamento e fototessera digitalizzata alla mano. Sul sito del Ministero degli Interni, invece, descrivono una trafila interminabile, un appuntamento che può essere dato dall’una alle due settimane dopo, e solo previa registrazione sul sito stesso… che può avvenire solo quando hai la fortuna di beccare online un admin che ti dia manualmente le credenziali dopo che hai fatto richiesta.
Seriamente, Repubblica Italiana, che problemi hai? L’informatizzazione della burocrazia è stata fatta per facilitare le cose sia ai cittadini sia agli impiegati pubblici, non per complicarle. Da quando parlare con le persone risolve i problemi più velocemente che googlare e compilare moduli online? Non hai imparato nulla da JustEat?

Comunque stamattina sono andato e nessuno si è accorto che la mia fototessera è stata beauty-ritoccata. Anzi, l’impiegata mi ha fatto i complimenti per la qualità della foto, ché la gente arriva lì con i selfie fatti alla meno peggio da cellulare, e mi ha ringraziato per avergliela portata già ridimensionata; e meno male che sempre il sito del Ministero paventava regole draconiche sulle fototessere, con istruzioni precise circa il formato, le proporzioni, la posizione, i DPI e le dimensioni, pena la squalifica.
In compenso, ho ricambiato la cortesia aiutandola a navigare l’explorer del computer, che ha un sistema operativo speciale (come un bambino speciale) e fa i capricci con i supporti USB: un po’ di tentativi e ho trovato il modo di aprire la foto, scaricarla sul computer e allegarla al format digitale per la richiesta. Relativamente rapido e indolore.

Naturalmente sono stato accompagnato dalla Mater, che ha dovuto subire i miei nervi a fior di pelle, e altrettanto naturalmente, una volta tornati a casa, mi sono buttato a letto a recuperare il sonno che avevo perso la notte prima per l’ansia e che mi è crollato addosso tutto assieme una volta che la tensione è scemata.
Odio gli uffici pubblici italiani. Riescono a rendere qualcosa che dovrebbe essere semplice – avere un pezzo di plastica che mi identifichi come cittadino del mio Paese – un inferno di complicazioni. Fortuna che da qui al 2029, quando dovrò rinnovare la carta d’identità, la società civile sarà collassata sotto il peso dei cambiamenti climatici, i documenti non avranno più alcun significato e potrò risparmiarmi tutto questo stress.

Monday 30 September 2019

Classifica musicale generale – 2019

Nelle puntate precedenti:
2016;
2017;
2018.

Classifiche dalla 51 alla 100:
2018;
2019.

Classifiche annuali:
2017;
2018.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (Gwen Stefani)
• Mi ha incuriosito molto in versione vedova nera nel video di It’s My Life dei No Doubt, quindi sono stato ben felice di vederla solista. Senza contare che i singoli di Love. Angel. Music. Baby. sono stati fra i migliori singoli pop degli Anni Duemila.
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Emilie Autumn)
• Sono piuttosto sicuro che Veronica mi avesse fatto ascoltare I Know Where You Sleep e/o Marry Me; come al solito, ho snobbato il suo consiglio.
3. Testo preferito della numero 33? (Meg Myers)
• “Only the lonely could understand where I have been: I was on a journey inside myself”. Decisamente Take Me To The Disco.
4. Album preferito della numero 49? (Karen Elson)
• Mi rifiuto di scegliere: sia The Ghost Who Walks sia Double Roses sono dei capolavori.
5. Canzone preferita della numero 13? (Panic! At The Disco)
• Difficile sceglierne solo una, ma forse Casual Affair.
6. Album peggiore della numero 50? (Abney Park)
• Non ho più ascoltato altro dopo The End Of Days, ma fra quelli che conosco voto per l’album natalizio, Dark Christmas. Ne sentivamo davvero il bisogno?
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (Leandra)
Wake Up Call.
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Stream Of Passion)
• Dieci anni fa, le mie quattro settimane a Dusseldorf.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (Evanescence)
• Quattro (Origin, Fallen, The Open Door e Synthesis) più il live Anywhere But Home e tutti i singoli fisici fino a Sweet Sacrifice compreso. L’epoca del self-titled l’ho saltata a pie’ pari.
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Amaranthe)
• Considerando che sono le Spice Girls del metal, praticamente tutto. Dovendone scegliere una, Supersonic, forse?
11. Canzone preferita della numero 40? (Brooke Fraser)
Je Suis Pret.
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Marina & The Diamonds)
• Storicamente Bad Kidz, ma lì Marina era ancora giovane e una cappellata ci sta. La noiosissima Orange Trees è più offensiva nella sua esistenza, essendo stata scritta da una cantante con molta più esperienza.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Emilie Simon)
• La volta che ho costretto Stefano a sedersi su una pila di assi bruciate per fare la foto di En Cendres e, soprattutto, la gita a Bordeaux per il concerto.
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (Les Discrets)
• Associo L’Echappée a uno shoot con Ayl Rose nell’estate del 2010.
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Theodore Bastard)
Будем Жить, anche in versione Земная Доля, mi entra sempre sotto la pelle.
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (The 3rd And The Mortal)
• Purtroppo nessuna.
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (Lady Gaga)
Telephone, mannaggia a lei e al suo video.
18. Album preferito della numero 11? (Eivør)
• Perché mi date questo dolore con questa domanda? (Larva, credo.)
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Susanne Sundfør)
• Come dimenticarla? The Silicone Veil.
20. Canzone preferita della numero 27? (Nemesea)
Release Me, specie in trittico con Rush e 2012.
21. Album preferito della numero 16? (Kari Rueslåtten)
• L’immortale Pilot.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (Placebo)
The Bitter End, e l’avevo pure detestata!
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Draconian)
• Nonostante tutto, sì: The Marriage Of Attaris, The Death Of Hours e, soprattutto, It Grieves My Heart.
24. Come hai scoperto la numero 21? (Alizée)
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (Goldfrapp)
Tiptoe, Hairy Trees, Systemagic.
26. Canzone preferita della numero 3? (Hurts)
• È quasi una di quelle scelte difficilissime, ma Illuminated sta un gradino sopra la spietata concorrenza.
27. Album preferito della numero 2? (Within Temptation)
• Dico sempre The Unforgiving: è un grandissimo album con una struttura impeccabile, ottime melodie e arrangiamenti che hanno rinfrescato e revitalizzato i Within Temptation.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Dead Can Dance)
• Sicuramente avevo sentito qualcosa senza sapere chi fossero, ma con cognizione di causa direi Anywhere Out Of The World.
29. Testo preferito della numero 8? (Florence + The Machine)
Pure Feeling batte una concorrenza spietata.
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Sia)
• Nessuna, e credo sarebbe un’esperienza molto interessante.
31. Come hai scoperto la numero 44? (Gåte)
• Un canale di divulgazione atea ha usato Bruremarsj Frå Jämtland come sottofondo a un video.
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Autumn)
TUTTI. Ma è proprio la band in sé a essere sottovalutata. Comunque Summer’s End è molto migliore di quel che si pensi.
33. Canzone peggiore della numero 29? (Clare Maguire)
• Qualcuno può spiegarmi gentilmente l’utilità di Are You Ready?
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Delerium)
Silence, come ho già raccontato visto che, per qualche motivo, capita loro sempre ‘sta domanda.
35. Album preferito della numero 28? (Epica)
Design Your Universe, senza se e senza ma.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Lucia)
• Purtroppo nessuna.
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Amy Lee)
The Cartoon Network Song. È puro cheese, ma cheese della mia adolescenza, quando qualunque cosa con la voce di Pescy era oro colato.
38. Come hai scoperto la numero 48? (Woodkid)
• Luisa (chi altri, se no?) postò il video di I Love You su Facebook.
39. Album preferito della numero 7? (Delain)
Lucidity conserva il suo posto speciale nel mio quoreh.
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Röyksopp)
What Else Is There? è stata una parte integrale della mia adolescenza, ma ha un posto speciale fra le canzoni nostalgiche dei Röyksopp perché era stata usata in un teaser fanmade per l’ultima stagione di Streghe. Nostalgia su nostalgia, in pratica.
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Sirenia)
• Confesso che ormai li ascolto a malapena, è difficile che qualche loro canzone sia salita nella mia classifica di gradimento.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Anneke Van Giersbergen)
Sunny Side Up! No, ovviamente scherzo. Considerando solo i suoi testi solisti, Lost And Found.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (Alcest)
• Sembrerò un vecchio metallaro brontolone, ma nulla ha più toccato le vette emotive di Souvenirs D’Un Autre Monde, album e canzone.
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Róisín Murphy)
Sunshine è sempre un bel sogno che faccio, nonostante i recenti sviluppi.
45. Canzone preferita della numero 9? (Anathema)
• Questa è facile: Untouchable, Part 1. Non per mancanza di concorrenza, ma perché quella canzone è semplicemente perfetta.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (iamamiwhoami)
Kin: stranamente non sono partito dall’inizio.
47. Membro preferito della numero 4? (The Gathering)
• Scatenerò una guerra, ma Silje Wergeland.
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (White Sea)
Mountaineer, mi pare.
49. Album che possiedi della numero 20? (Tristania)
• Tutti e cinque, più i singoli di Angina, Midwintertears e Sanguine Sky. Poi, tristemente, nel 2007 hanno smesso di pubblicarne…
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Theatre of Tragedy)
• Nulla può schiodarli dalla numero uno, quindi ho già risposto mille volte. Quest’anno però ci tengo a menzionare il periodo di trepidazione subito prima dell’uscita di Forever Is The World, lo shoot con Federica, in parte ispirato a quello, e la gioia quando ho comprato la copia fisica. Era dieci anni fa.

Wednesday 25 September 2019

Scontri generazionali

Non immaginavo che scendere a patti con l’età di un genitore fosse così difficile. Però è proprio vero: la Mater ha quasi settant’anni. Per quanto sia giovanile, attiva, tecnologica, open-minded e livello quaranta di Pokémon Go, ci passiamo pur sempre quasi quattro decenni. E questi quattro decenni pesano.
Pesano soprattutto a un’età in cui la visione del mondo continua a estremizzarsi e i filtri mentali ad assottigliarsi, lasciando emergere indisturbati certi pregiudizi. C’è poi anche la consapevolezza di non durare poi tanto a lungo, che fa sentire assolti dalle responsabilità sociali, e la rassegnazione per come il mondo sta andando senza avere più le forze di opporvisi, che rende ipersensibili anche verso problemi secondari o anche fasulli, specchietti per le allodole montati ad arte.

E comunque, come cerco di spiegare ai vecchi meno vecchi che non capiscono perché ho dei limiti di età così rigidi su Grindr, trascorrere gli anni formativi in un determinato contesto storico e sociale dà una visione della realtà drasticamente diversa che non trascorrendoli dieci anni dopo, e da lì non si esce: saremo sempre figli della storia e del clima socio-politico-economico in cui siamo cresciuti, le incompatibilità reciproche sono inevitabili.
Questioni che sono impellenti ora possono sembrare remote o triviali a chi è cresciuto in un’epoca in cui non esistevano o se ne parlava poco; costumi e usanze sociali che oggi sono la norma possono risultare assurdi e oltraggiosi; giudizi positivi o negativi su alcuni gruppi sociali che adesso non sono ben tollerati possono sembrare invece lampanti.

Tutto questo discorso non è per giustificare il fatto che la Mater, una donna colta e intelligente, abbia per esempio abboccato alla retorica su Greta Thunberg che dovrebbe andare a giocare con le amiche e studiare a scuola invece che essere arrabbiata al Palazzo di Vetro. È solo per ricordare a me stesso che è un’anziana con gli inevitabili limiti: è inutile che cerchi di spiegarle che, dietro Greta, c’è un problema reale, ineluttabile, che contribuisce al mio desiderio di addormentarmi una sera e non svegliarmi più, e che concentrarsi su cosa dovrebbe o non dovrebbe fare una sedicenne con l’Asperger è lo stesso atteggiamento con cui le generazioni fra la sua e la mia si sono concentrate su qualunque cazzata a disposizione pur di non occuparsi del problema finché si faceva in tempo.
È anziana, dicevo: non resta che prenderne atto e trattarla come tutti gli anziani: lasciarla sbraitare in sottofondo mentre la sua visione del mondo si spegne con la sua generazione e la mia lentamente subentra al comando e cerca di mettere una pezza al casino che si è trovata in eredità. Ammesso e non concesso che non si finisca per morire tutti assieme indipendentemente dalla generazione di appartenenza.